Gusen I, Gusen II, Gusen III
sottocampi di Mauthausen 1940-1945
Lucio Monaco
I tre sottocampi costruiti intorno al villaggio di Gusen (a 5 km da Mauthausen), denominati Gusen I, Gusen II, Gusen III, hanno costituito una realtà a sé per quantità di deportati e durezza di condizioni di prigionia e di lavoro.
I lavori di costruzione di Gusen I furono avviati nel marzo del 1940; anche in questo campo uno degli obiettivi economici era costituito dallo sfruttamento delle vicine cave di granito. Fin dall’inizio il lavoro costituì uno dei mezzi di eliminazione dei prigionieri, in prevalenza polacchi, fra cui molti religiosi, e repubblicani spagnoli deportati dalla Francia. Nel 1941 fu installato il crematorio e si avviarono le eliminazioni sistematiche di malati, inabili, portatori sospetti di malattie contagiose, sia al castello di Hartheim sia nel campo stesso (bagni di acqua gelida, annegamenti anche di massa, iniezioni al cuore, gassazioni su veicolo).
Nell’arco di tre anni il campo viene a contenere un numero di prigionieri superiore a quello del campo principale di Mauthausen, con l’arrivo di deportati sovietici, jugoslavi, francesi, italiani (dall’agosto 1943) e l’apertura di altre attività produttive (Steyr-Daimler-Puch AG) legate alla produzione bellica. Nel marzo del 1944 iniziano i lavori per la costruzione del campo di Gusen II (St. Georgen). I deportati, oltre a costruire il campo, lavorano allo scavo di un sistema di gallerie entro le quali vengono collocati impianti per la produzione di armi e parti di aerei (Steyr-Daimler, Messerschmitt). In dicembre inizia la costruzione di Gusen III, destinato alla produzione di laterizi (DEST).
Furono scavati nella montagna circostante e nei pressi di St. Georgen 7 chilometri di tunnel (larghi da 6 a 8 metri, alti da 10 a 15) per ubicarvi la produzione bellica e i macchinari dell’Istituto di ricerca della Scuola Superiore Tecnica di Vienna, per ricerche connesse alla produzione missilistica (V1 e V2). I lavori furono eseguiti senza badare alla sicurezza degli operai, provocando quotidianamente morti e feriti.
La ricostruzione delle presenze di prigionieri e della mortalità lascia intravedere le durissime condizioni di vita e di lavoro dei deportati. Secondo le ultime ricerche, su circa 21.000 presenze registrate fra il 1940 e il 1942, si sono avuti almeno 14.000 decessi. Nel 1943, il numero di prigionieri più alto registrato è di 9.000 unità, quello dei morti è di 5.225. Nel 1944, si contano rispettivamente 22.000 e 4.700 unità; nel 1945, 15.000 e 8.800.
Sono documentate almeno due circostanze in cui si procedette a eliminazioni di massa col gas Zyklon-b, in baracche adattate per tale operazione: il 2.3.1944 (164 prigionieri di guerra sovietici) e il 22.4.1945 (più di 800 malati e invalidi). Una terza strage, il 2.3.1942 (300 polacchi e spagnoli malati di tifo), non risulta sufficientemente documentata.
Il Memoriale di Gusen e la conservazione dell’area.
Il campo di Gusen I ha subito vicende che ne hanno alterato irrimediabilmente la fisionomia. Alla fine degli anni ‘50 se ne è decisa la lottizzazione ed è sorta una fitta serie di costruzioni abitative. È naturalmente scomparsa la recinzione, sono state eliminate baracche e strutture concentrazionare. Rimane riconoscibile, per quanto riconvertito in abitazione, l’edificio dell’ingresso e del comando del campo, ben visibile dalla rotabile asfaltata Mauthausen-Gusen. L’associazione dei superstiti ha acquistato un lotto di terreno e vi ha eretto una struttura commemorativa, opera dell’architetto Lodovico Barbiano di Belgiojoso, che fu egli stesso prigioniero a Gusen. All’interno di questo edificio, la cui materia e il cui spazio alludono all’universo chiuso e al labirinto di morte costituiti dal Lager, è stato collocato il forno crematorio.
Bibliografia italiana.
Testi e disegni nel Diario di Gusen di A. Carpi (Milano, Garzanti, 1971, 1993); si vedano anche i testi poetici di Q. Osano, Perché ricordare. Ricordi e pensieri di un ex deportato, Alessandria, ANED-Ed. dell’Orso, 1992, e le memorie di F. Malgaroli, Domani chissà: storia autobiografica 1931-1952, Cuneo, L’Arciere, 1992 e di F. Maruffi, Codice Sirio. I racconti del Lager, Torino 1992.