Ancora una testimonianza sullo sfortunato tentativo di evasione
Il racconto del siciliano Nunzio Di Francesco, poi finito a Mauthausen e Gusen II.
di Nunzio Di Francesco
Ero l’unico siciliano “etneo” già condannato a morte dal Tribunale nazifascista presso Le Nuove di Torino essendo stato catturato il 18.10.1944, assieme a due delle mie squadre della XV Brigata Garibaldi in Val Girba – Busasco – Piemonte, a seguito di una spiata di un indisciplinato partigiano veneto sceso a valle per bere vino. I nazisti lo costrinsero a parlare e durante la notte subimmo una imboscata rimanendo prigionieri senza poterci difendere. Solo la terza squadra, situata più in alto della valle riusciva a sottrarsi alla cattura. Dopo le carceri giudiziarie di Saluzzo e Le Nuove di Torino giunsi a Bolzano a tarda notte del 16 dicembre 1944. Nel mentre che i nazisti ci ispezionavano all’entrata del campo vidi un prigioniero attaccato a un palo, punito forse per un tentativo di fuga. Era conla faccia e le mani anneriti per il forte freddo, la neve era gelata, e per i solchi delle frustate ricevute ben evidenziate sul viso. Acqua, chiedeva borbottando a bassa voce. Mi abbassai per prendere a terra un po’ di neve per porgerla fra le sue labbra. Ma sulle spalle mi arrivò un colpo del calcio di fucile da un nazista. Sbattuto a terra venni pestato ed una pedata mi arrivò in faccia rompendomi il setto nasale. Ma bocca e il naso gonfiarono e il dolore era atroce.
Venni assegnato nel blocco “E” in un castelletto di legno accanto al blocco “F” delle donne. Dopo qualche giorno riuscivo, aiutato anche dall’altro lato delle donne, a comunicare con una ragazza neveta coetanea (ventenne), catturato solo perché studiava lingua inglese e perché sua madre era scozzese. Quando era possibile ci vedevamo nel recinto spinato davanti ai blocchi, appoggiati al muro dei due baracconi divisi dal filo spinato. Ci guardavamo senza parlare per poi comunicare dal buco del muro confinante coperto entrambi dai due castelletti. In quel breve soggiorno a Bolzano Lei mi diede un gran sollievo morale, inoltre mi portava di fuori sempre qualcosa da mettere fra i denti.
Dopo alcuni giorni dal mio arrivo venni avvicinato da un compagno, credevo che fosse un giovane ingegnere bolognese, e che si chiamasse Bolognese; dopo avermi intervistato con un interrogatorio a 360 gradi mi parlò della costruzione del tunnel e che saremmo evasi tutti da quel baraccone nel corso della notte di quel successivo Natale, organizzati in squadre, ripartendo gli anziani fra i giovani per essere aiutati nel corso dell’evasione. Mi fece vedere anche una cartina geografica stampata su un fazzoletto militare e i luoghi di destinazione per sottrarci alla cattura. Accettai di partecipare e anche il mio pagliericcio veniva riempito di terra durante la notte sostituendo i riccioli che venivano bruciati in quella specie di stufa collocata nel centro del baraccone.
Il traditore che ci ha spiato, sin da allora pensai che fosse un vecchio alquanto taciturno e appartato. I guai furono creati dagli ultimi minuti del nostro faticoso lavoro lasciando sporco di terra vicino il castelletto ove iniziava il tunnel. Il vecchio lo rapportò al capo blocco. Il capo blocco ne rimase sconvolto e demoralizzato. Io mi accorsi del caso e riferii subito a Bolognese che intervenne subito rassicurando anche il capo blocco. Il traditore, non vedendo agire il capo blocco lo comunicò a quel nazista bolzanino che veniva sempre ad ispezionarci. Ed ecco la fine della nostra ultima speranza verso la libertà.
Il primo nucleo che tentò di uscire dissuaso da una raffica, mentre noi rimanemmo terrorizzati nel baraccone. Successivamente entrarono i nazisti nel blocco sbattendoci, con le solite violenze, fuori nel recinto spinato, minacciandoci che se non fossero usciti fuori i responsabili ci avrebbero massacrato tutti, eravamo circa trecento deportati. Rientrati nel baraccone per qualche ora alcuni compagni stabilirono di dichiararsi responsabili, ma erano in pochi, quattro o cinque. Tuttavia seguì la solidarietà di una dozzina di compagni, io ero con loro. Fummo massacrati e poi alcuni portati in cella. Io ricevetti frustate e fui calpestato sul viso, tanto che al rientro dalla prigionia venni ricoverato all’ospedale militare di Torino presso il Mauriziani e fra l’altro subii un intervento al naso per lo spostamento del setto.
L’8 gennaio 1945 fummo inquadrati per la stazione di Bolzano per la deportazione a Mauthausen. Un tentativo della Resistenza per evadere dai carri bestiame lungo il percorso non è mancato. Già trovammo un martello e uno scalpello, questa era l’ultima speranza di evadere. Purtroppo, andò peggio anche quest’altro tentativo e i morti con i feriti seguirono con noi lo sciagurato destino.
Io andai a finire a Gusen 2 e liberato il 5 maggio 1945. Di questo trasporto su 501 i sopravvissuti siamo stati 47. Il mio numero di matricola era “It 115.503”.
Fra i compagni del Lager di Bolzano mantenni cordiali rapporto con Piero Caleffi. Ricevetti in omaggio una sua memoria: “Si fa presto a dire fame”. Conobbi e ne restai amico, il sacerdote di Trento, solo ora dal T.R. ho appreso che si chiamava don Narciso Sordo. Allora, essendo militante nell’A.C. me lo tenevo come assistente spirituale.
Vorrei incontrari con gli altri compagni sopravvissuti del XIII trasporto di Bolzano. Vorrei incontrare anche quella compagna del Blocco “F” che fu affettuosa e non ho dimenticato fra le righe della mia memoria “Il costo della libertà”. I compagni che vogliono incontrarsi con me potranno chiederlo all’Aned ovvero scrivere a:
95015 Linguaglossa (Ct) – via 2^Vignitti, 25 – tel. 095/647.211 Nunzio Di Francesco.
– Raramente abito qualche giorno nella casa di Catania: via Sergio Forti, 26 – tel. 095/530.364 95130 Catania.
Nunzio Di Francesco