Riprendiamo da il Manifesto del 9 febbraio 2007 questo articolo del prof. Enzo Collotti, membro del Comitato d’Onore dell’ANED a proposito del Kalendarium di Danuta Czech. Ringraziamo l’autore e il giornale.

Materiali per un catalogo degli orrori

Ricostruendo con un paziente lavoro di archivio la cronologia di Auschwitz dal ’39 al ’45, la storica Danuta Czech ha evidenziato in «Kalendarium» il processo con cui ha preso forma la tragica macchina di morte del lager

di Enzo Collotti

Costituisce una pietra miliare della storiografia su Auschwitz l’opera di una studiosa polacca, Danuta Czech, dal titolo Kalendarium. Gli avvenimenti del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau 1939-1945, che – messa on line nel 2002 per la cura della sezione milanese dell’Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti – è ora uscita presso le edizioni Mimesis, nella traduzione di Gianluca Piccinini e con l’introduzione di Dario Venegoni. Come risulta evidente già dal titolo, non si tratta di una storia del Lager simbolo dello sterminio degli ebrei ma di una cronologia del divenire del Lager. Prima ancora di fornire i materiali per pervenire alla ricostruzione storica, però, la vicenda del Kalendarium è significativa delle modalità attraverso le quali si è venuto formando il patrimonio documentario di cui si alimentano la storia e la memoria di Auschwitz.
Figlia di un resistente polacco deportato a Auschwitz, Danuta Czech, che aveva essa stessa militato giovanissima nella Resistenza, fece parte dalla metà degli anni ’50 dell’équipe di ricerca del Museo statale del Lager nella ripolonizzata città di Oswiecim, che i tedeschi avevano incorporato al Grande Reich, espropriandola della sua nazionalità e attribuendole quel destino di anus mundi che le rimarrà indelebilmente cucito addosso. A partire dal 1956 l’autrice si dedicò incessantemente a raccogliere dalle fonti più diverse le notizie che, ordinate giorno per giorno, sarebbero sfociate nel Kalendarium. Per l’edizione tedesca del 1989, la prima diffusa in occidente, che sistematizzò i materiali pubblicati in precedenza in organi ufficiali polacchi a uso informativo e prevalentemente giudiziario e che sarebbe servita per le successive edizioni, compresa ora questa italiana, la Czech scrisse un’introduzione nella quale dava conto della molteplicità delle fonti alle quali aveva attinto per la cronologia. A partire dagli atti processuali relativi all’ex comandante ad Auschwitz Rudolf Höss (processo di Varsavia del 1947) e al processo di Cracovia contro quaranta appartenenti alla guarnigione del Lager, la Czech risalì a una prima serie di documenti provenienti direttamente dagli uffici di gestione del Lager, in aggiunta alla documentazione originale tedesca sopravvissuta alla distruzione ordinata nelle settimane che precedettero l’arrivo dell’Armata rossa e già raccolta nell’Archivio del Museo. Una documentazione senz’altro lacunosa che ci fa solo immaginare quale immensa mole di materiali avesse prodotto la burocrazia del Lager, al di là delle testimonianze di sopravvissuti, ex deportati e resistenti.
Ancorché carenti, però, i documenti tedeschi da cui proveniva la maggior parte delle notizie di prima mano, rispecchiavano puntualmente l’organizzazione interna del campo, le modalità di gestione, l’attuazione delle disposizioni disciplinari e comprendevano fra l’altro le liste d’ingresso con attribuzione dei numeri che venivano tatuati sul braccio di coloro che non venivano selezionati immediatamente per le camere a gas, i registri dei detenuti presenti nel campo a determinate date, le carte del dipartimento che si occupava dell’impiego della manodopera, lo schedario dei prigionieri di guerra sovietici e il registro dei relativi morti, i registri della Compagnia disciplinare, i registri dell’obitorio, il registro del campo degli zingari, le statistiche dell’infermeria, le liste di quarantena e le disposizioni ad uso delle unità delle SS e in generale della guarnigione. Una quantità di materiali a disposizione per il lavoro scientifico ma anche per procedimenti giudiziari, come il processo di Francoforte aperto nel 1963 contro alcuni dei maggiori responsabili dei crimini commessi nel Lager.
Sarebbe difficile sottovalutare il significato del complesso delle notizie su cui si basa il corpo del Kalendarium, che tende a coprire l’intera rete delle articolazioni che si aggregavano intorno al Lager – Auschwitz I, Auschwitz II (Birkenau), Auschwitz III (Buna o Monowitz) – e l’intero arco temporale della sua esistenza attraverso le fasi della sua trasformazione, da originario campo per prigionieri di guerra polacchi e sovietici a campo di sterminio per ebrei, zingari e deportati politici, con l’appendice (Monowitz) dei deportati affittati alle industrie di guerra per il lavoro forzato: quest’ultimo rimane tuttavia nell’opera della Czech marginale, dato che per rintracciare la sorte dei deportati al lavoro forzato bisognerebbe attingere, ove esistessero, alle fonti prodotte dalle grandi aziende (IG Farben, Krupp, Siemenz e via dicendo) che profittarono del loro sfruttamento.
Sfogliare il Kalendarium potrebbe significare a prima vista passare con incessante monotonia da un episodio raccapricciante a un altro, in una galleria degli orrori apparentemente priva di senso. In realtà l’orrore e il terrore avevano un metodo. Il vertice del funzionamento della macchina per triturare vite di uomini, donne, bambini è il risultato di un processo di graduale approssimazione all’orgia di sangue e di distruttività che si compendia nel nome di Auschwitz. L’estrinsecazione dei mille modi di torturare e annientare il prossimo purtroppo non è affatto monotona. Il 6 luglio 1940 a seguito della prima fuga di un detenuto dal Lager «durante l’appello punitivo è eseguita pubblicamente per la prima volta la fustigazione sullo sgabello costruito nella falegnameria del lager». Il 23 aprile 1941 il comandante Höss «sceglie per la prima volta… dieci detenuti del blocco 2 come ostaggi e li condanna a morte per fame come rappresaglia per la fuga di un detenuto… Vengono rinchiusi in una cella nel sotterraneo del Blocco 11 e non ricevono né cibo né acqua. La cella, completamente buia, è aperta a distanza di alcuni giorni per portare fuori i cadaveri dei detenuti morti». Il primo muore il 27 aprile, il 26 maggio l’ultimo.
Con il passare del tempo ai polacchi si aggiungono i russi; il primo trasporto di non slavi arriva il 30 marzo 1942: sono ebrei di diversa nazionalità provenienti dalla Francia. Seguiranno tedeschi, austriaci, olandesi, tra gli ultimi italiani e ungheresi. Festeggiamenti di varia natura danno occasione a variazioni nel rituale di morte. L’11 novembre 1941 «in occasione del giorno della festa nazionale polacca, ha luogo la prima esecuzione con un colpo di arma da fuoco di piccolo calibro sparato alla nuca da distanza ravvicinata». Ricorrenze naziste sono festeggiate con impiccagioni, alla maniera di riti antichi con sacrifici umani. Dalle esecuzioni più primitive si passa con un crescendo alla morte tecnologica (le gassazioni). La prima selezione con gas ha luogo il 4 maggio 1942. Il 2 settembre 1942 la Czech annota: «Il medico di campo SS Kremer scrive nel suo diario: “Presente per la prima volta a un’azione speciale; fuori alle 3 di notte. In confronto a qui l’Inferno di Dante mi sembra quasi una commedia. Non per niente Auschwitz è definito campo di sterminio!”». Potrebbe essere l’epigrafe dell’intero Kalendarium.
Un’ultima annotazione, alla data del 22 febbraio 1943: «Il comando del KL Auschwitz decide che in futuro i numeri dovranno essere tatuati sull’avambraccio sinistro non solo agli ebrei, ma a tutti gli uomini e donne internati nel lager, in modo da facilitarne il riconoscimento. Il tatuaggio dei detenuti ebrei è stato introdotto nel corso del 1942. Non vengono tatuati solo i detenuti «cittadini tedeschi» e «tedeschi etnici», oltre ai detenuti da rieducare e ai «detenuti di polizia».
Queste citazioni dovrebbero bastare per fare comprendere la ricchezza degli spunti che offre il prezioso repertorio cronologico redatto dalla Czech. Naturalmente, rispetto alla redazione del Kalendarium del 1989, che fu supervisionata dall’autrice (morta nel 2004) negli ultimi anni della sua attività, la ricerca è andata avanti, ma questo non sminuisce l’importanza di un lavoro che, proprio per il modo in cui è stato concepito, registrando giorno per giorno una pluralità di eventi, si può prestare a più di un percorso di lettura: per cui non sembri fuori luogo, ad onta della mole, suggerirne l’uso anche in sede didattica.