Bruno VASARI, Milano-Mauthausen e ritorno, a cura di Barbara Berruti, Firenze, Giuntina, 2010.
Pp. 210, € 15.

Rileggere i testi della prima ondata di memorie sui Lager, all’indomani della liberazione, significa, soprattutto oggi, ritornare a quella “vividezza delle pagine scritte quando la vicenda è ancora quasi in corso, non ha subito mediazioni o rielaborazioni successive, è ancora bruciante” che sottolineava Federico Cereja nel 2003 riproponendo Mauthausen città ermetica di Bizzarri, quale apparve nel 1946. E proprio per queste ragioni, alla trentina di testi apparsi a stampa tra il 1945 e il 1948 ci si può ormai accostare con una  prospettiva filologica, che disveli i percorsi, che oggi non sempre ci appaiono con chiarezza, compiuti  da queste narrazioni per vedere la luce (una luce spesso effimera, come la vita delle piccole case editrici che li stampano).
Il libro ottimamente curato da Barbara Berruti, attenta conoscitrice del Fondo “Bruno Vasari” acquisito dall’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti” (www.istoreto.it), ci ripropone, apparentemente, qualcosa di simile a una riedizione del primo testo di memoria della deportazione pubblicato in Italia (agosto 1945), ossia Mauthausen bivacco della morte di Bruno Vasari; ma lo fa in maniera per così dire indiretta, come indica il titolo, Milano-Mauthausen e ritorno, che è quello pensato dallo stesso Vasari per una riedizione-revisione di Mauthausen bivacco della morte: progetto mai realizzato, di cui resta però il dattiloscritto. Due libri in uno, insomma, e collocati in una prospettiva cronologica complessa, nel loro divenire progettuale, grazie alla ricostruzione della biografia e dell’attività di Bruno Vasari da un lato (Introduzione) e a un’indagine specificamente filologico-testuale dall’altro (Nota ai testi). In questo libro trova così spazio, accanto al racconto-testimonianza dell’autore, la ricostruzione di tappe cruciali del percorso  attraverso cui si è mantenuta ed è evoluta la memoria (e con essa la storia) della deportazione italiana, almeno per quanto attiene alle molteplici attività  di Vasari, che notoriamente esulano dal solo ambito regionale (l’indagine Doxa del 1969-70, l’”Archivio della Deportazione piemontese” degli anni ’80, i convegni internazionali tenuti a Torino).
Barbara Berruti è partita dalla scoperta, nel Fondo Vasari, del manoscritto originale (anche se pare essere una “bella copia”) servito alla stampa di Mauthausen bivacco della morte, e, parallelamente, del ritrovamento di un progetto di revisione risalente agli anni ’70. Questo progetto, assai strutturato, introduce un cambiamento nel titolo (quel “bivacco della morte”, scopriamo, è redazionale) e una serie di varianti (soppressioni e aggiunte) la cui chiave di lettura è finemente analizzata dalla curatrice, e che indicano il passaggio dalla testimonianza alla rielaborazione della memoria, “intesa più letteralmente come ricostruzione di un passato suscettibile di assumere valore storico o affettivo”. Compaiono, o sono esplicitamente nominati insieme a rapide aggettivazioni affettive, nomi precedentemente taciuti di compagni di prigionia (Calore, Stucchi-Sanna, Magini, Ambria, Giorgio Puecher e altri); e accanto ai nomi, viene dato maggiore o nuovo rilievo a episodi che, rileva la curatrice, “rispondono a una necessità più ideologica, poiché pongono l’accento su momenti di resistenza e di solidarietà all’interno del Lager e risentono fortemente delle riflessioni maturate nei decenni successivi alla liberazione”.
Un mutamento di prospettiva che giustifica oggi la pubblicazione autonoma di Milano-Mauthausen e ritorno, nonostante fosse rimasto inedito per ragioni che la curatrice discute arrivando alla conclusione che “forse Vasari  maturò la consapevolezza che non si poteva modificare la prima, fondamentale testimonianza. Bisognava trovare altre forme per ritornare sulle memorie di allora”: e ai risultati di tale ricerca di “altre forme”, in termini di scrittura privata e di attività pubblica, è dedicato il resto dell’Introduzione.

La storia di Milano-Mauthausen e ritorno è dunque, in un certo senso, la storia di una specie di scacco, non tanto di una sconfitta ma del raggiungimento di una impasse. Fertile scacco, perché il superamento dell’impasse ha portato a un’attività trentennale di estrema importanza per la storia della deportazione italiana.
Il lettore scoprirà da sé gli altri testi che (riprendendo il progetto editoriale di Vasari) completano la pubblicazione. Qui voglio solo sottolineare, in fine, due di essi che mi paiono particolarmente preziosi. Il primo, per importanza, è la ripubblicazione di un testo dimenticato, che potremmo definire l’ur-bivacco della morte: la “Testimonianza di un superstite” comparsa il 19 giugno 1945 in “Giustizia e libertà: quotidiano del mattino”, a. 1, n. 47. Questo è il nucleo di quanto, un mese dopo, Vasari svilupperà in Mauthausen bivacco della morte, nella cui stesura svolse un ruolo fondamentale (altro felice ritrovamento) la moglie Nanni de Giorgio (nome partigiano “Giovanna”). Il secondo è la ripubblicazione di Mauthausen bivacco della morte, in riproduzione fotografica che ci restituisce il clima editoriale e per così dire grafico dell’epoca, secondo un procedimento poco usato nelle riedizioni, che possono perdere non solo il fascino, ma anche la dimensione informativa di quello che gli specialisti chiamano “paratesto”.
Completano il volume le schede biografiche delle principali persone citate, che costituiscono uno strumento utile anche al di là della lettura del libro.

(Lucio Monaco)