Kalendarium – Gli avvenimenti nel campo di concentramento di Auschwitz 1939-1945
Traduzione di Gianluca Piccinini
Prima edizione italiana a cura di Dario Venegoni
deportati.it, gennaio 2002

Un testo fondamentale
finalmente disponibile
per il pubblico italiano

di Lucio Monaco

La pubblicazione in italiano del Kalendarium di Danuta Czech apre finalmente la possibilità per tutti di accedere a un testo fondamentale per la storia di Auschwitz, ma poco noto in Italia e comunque finora frequentato soprattutto dagli specialisti, o paradossalmente, presente perché violentemente attaccato e delegittimato dalla pubblicistica negazionista, soprattutto negli anni ’80.

La storia del Kalendarium è lunga, perché nel corso del mezzo secolo di ricerche che hanno portato al suo assetto attuale si è andato ampliando e completando, come è ovvio data l’estrema complessità della materia per un lavoro così minuzioso.

Le mille pagine dell’edizione tedesca (Reinberg bei Hamburg, 1989) o dell’ultima polacca (Museo di Oswiecim-Brzezince, 1992) raccolgono infatti, con arricchimenti, la serie di testi pubblicati progressivamente nei “Quaderni di Auschwitz” (Hefte von Auschwitz) tra il 1959 e il 1964. L’impianto del libro potrebbe essere definito “annalistico” (nel senso specialistico del termine): sette sezioni sono ciascuna dedicata a uno degli anni compresi fra il 1939 e il 1945. Ad eccezione della prima, le sezioni registrano, sotto l’indicazione progressiva del mese e del giorno, gli avvenimenti del Lager, anzitutto quelli che potremmo definire più “amministrativi”: l’assegnazione dei numeri e l’arrivo dei trasporti con indicazione sulla loro composizione, le modifiche subite dalla struttura del campo principale e dei sottocampi, le partenze di convogli per altri Lager (un argomento tutto da approfondire, come accennerò più avanti), i risultati dei censimenti periodici e le strutture di alcuni Kommando; e poi naturalmente anche quelli che appaiono più marcatamente come eventi veri e propri, le selezioni, le fughe, le esecuzioni di singoli prigionieri, i massacri come quello degli Zingari del settore 2B di Birkenau (1944, 2 e 3 agosto), e infine le partenze per le “marce della morte” e gli avvenimenti legati allo smantellamento, all’abbandono e alla liberazione del campo.

Data la struttura cronologica e diaristica, l’esposizione è estremamente sintetica ed essenziale. Si riescono così a cogliere, nonostante la capillarità degli avvenimenti, una visione di insieme e un senso complessivo anche per periodi piuttosto ampi (il mese cruciale del luglio 1944, per esempio). Ogni avvenimento risulta descritto in un numero contenuto di righe (talvolta una o due) e viene sigillato dal riferimento alla fonte. Quest’ultima è normalmente archivistica (per lo più l’APMO, l’archivio del Museo di Oswiecim) e in misura decisamente minore il rinvio è alla saggistica, alla storiografia o alla memorialistica. È il caso di sottolineare la scientificità del procedimento, che permette in tal modo di controllare non solo la fondatezza dell’evento, ma anche di rapportarlo con precisione alla tipologia della documentazione che ne trasmette la memoria. I fatti del Kalendarium si pongono, più che come “veri”, come “verificabili”, ragione forse non ultima degli attacchi negazionisti. In questo senso il libro si differenzia dalle esposizioni cronologiche (quasi piccoli calendari) che si incontrano frequentemente nelle storie di molti Lager, esposizioni altrettanto sintetiche ma per forza di cose non così minuziosamente (archivisticamente) documentate.

Una simile forma di raccolta di dati sarebbe auspicabile per ogni Lager, e infatti il modello del Kalendarium è stato recentemente riproposto in un’opera ancora poco nota in Italia, il Calendario degli avvenimenti di Ravensbrück (Kalendarium der Ereignisse im Frauen-KL Ravensbrück 1939-1945) di Grit Philipp (Metropol, Berlino, 1999). Qui i riferimenti archivistici sono svariati, e il ricorso alla saggistica e alla memorialistica è più ampio, ma il metodo e le caratteristiche della esposizione sono i medesimi.

Si potrà obiettare che, data la tipologia testuale, questi libri resteranno comunque opere destinate agli specialisti, non al lettore comune, per quanto interessato all’argomento. In realtà questo non è vero, perché un’opera come il Kalendarium può essere suscettibile di letture e di utilizzazioni diverse. Proporrei qui tre tre assi di scorrimento. Il primo è quello storico, in senso stretto: è un volume che ricostruisce la storia di Auschwitz in tutta la sua estensione, secondo una scelta cronologica sequenziale, cronachistica. Il lettore potrà utilmente affiancarlo ad altre opere che propongono maggiore elaborazione e approfondimento, siano esse di piccole dimensioni (Till Bastian) o meno (Gilbert), o ancora procedano per temi, come il noto Uomini ad Auschwitz di Hermann Langbein. Forse, il Kalendarium si può proporre come la più indicata lettura propedeutica per affrontare l’universo di Auschwitz, che va oltre la normale capacità di comprensione dei fenomeni.

Ma il libro è anche percorribile come archivio, e cioè repertorio di documenti e di fonti, rigorosamente individuati, definiti e collocati, a cui si può ricorrere per verifiche e approfondimenti. Qui le possibilità sono molte: può esserci il semplice uso di verifica, per controllare la collocazione cronologica precisa di un avvenimento descritto da un’opera di memoria ma di cui non è indicata, quasi sempre per forza di cose, la collocazione temporale precisa (scopriremo così che il toccante episodio del trasporto delle carrozzine per bambini narrato da Giuliana Tedeschi in C’è un punto della terra… si svolge il 25 giugno del 1944); si possono riaggregare i dati (il destino degli ebrei italiani nell’estate 1944) e compiere ricerche trasversali, per argomento. Un’attenzione particolare meriterebbero i trasporti da Lager a Lager. Citerei il caso del trasporto Mauthausen-Auschwitz giunto il 3 dicembre 1944. La verifica del documento dell’APMO permette di individuare, fra i circa 1.120 deportati del convoglio, 165 nominativi di italiani: si tratta di triangoli rossi politici, che verranno tutti spostati a Monowitz. Ma una riflessione più attenta permette di individuare un problema di non facile soluzione: per quale ragione questi prigionieri furono inviati ad Auschwitz, apparentemente in via di smantellamento? Ecco che il libro offre uno spunto di ricerca tutt’altro che banale (forse risolvibile con un’analisi attenta del documento, che reca l’indicazione delle professioni) e suscettibile di molte considerazioni.

Vi è infine una terza possibilità di lettura del Kalendarium: lo si può percorrere anche come una narrazione, paradossalmente (perché non vuole essere, di per sé, opera letteraria) caratterizzata da una forte e caratterizzante componente stilistica: quella stessa sobrietà e asciuttezza, quell’”estremo sforzo di obiettività” che Primo Levi, nella sua prefazione all’edizione italiana di Uomini ad Auschwitz (1984), elogiava come virtù specifica del libro di Langbein. Come il Libro della memoria di Liliana Picciotto Fargion, anche questo Calendario può costituirsi, per intervento del lettore, in opera letteraria, certo non di svago, certo problematica perché scomoda, e appunto per questo “alta”: uno degli esempi possibili di come scrivere, e di come leggere e riflettere, dopo Auschwitz.