Vincenzo Pappalettera
Nazismo e Olocausto
Mursia, Milano 1997
Il tema dello sterminio nazista è tornato spesso al centro della discussione pubblica in questi anni. Dietro al processo alla storia contemporanea come macchina sostanzialmente governata dalle passioni ideologiche, era sembrato per un momento che i conti pubblici con il Novecento si potessero chiudere con il “crollo del Muro di Berlino”. Sotto le sue macerie da più parti è stata conclamata la fine di un’epoca. Qualcuno, addirittura, ha dichiarato che con quella scena finiva la storia. Dopo si sarebbe trattato di un normale processo di sviluppo lineare dove sarebbero tornate a cantare le note delle sorti progressive della storia.
Ma la questione non era né facilmente risolvibile, né rapidamente archiviabile. Essa riguardava nientemeno che la struttura di funzionamento dei totalitarismi contemporanei. Più volte esorcizzati come sistemi “marziani” a fronte del governo umano degli uomini rappresentato dai sistemi democratici, i totalitarismi sono apparsi lentamente molto meno alieni dalla storia dell’umanità come spesso il senso comune ha voluto dichiarare.
E allora di nuovo quella domanda – com’è potuto accadere? – che un tempo veniva formulata sulla scorta della naturale estraneità di quelle esperienze alle vicende della natura umana – e perciò intesa come antiumanismo – si è lentamente riaffacciata come storia della deumanizzazione, ovvero come vicenda che si colloca tutta dentro alle società storiche e che, per quanto le stravolga e le snaturi, risulta spiegabile e comprensibile solo a partire da un dato ineludibile: al centro sta l’individuo, la dinamica di gruppo, la storia sociale e culturale di un gruppo umano.
L’ultimo libro di Vincenzo Pappalettera (Nazismo e olocausto, Mursia, 255 p., Lit. 30.000) si colloca all’ interno di questo tipo di inchiesta e lo potremmo paragonare ad altri contributi che la storiografia contemporanea ha tentato di dipanare intorno alla questione dei comportamenti all’ interno della macchina del lager (di concentramento e di sterminio) e, più in generale, dell’assassinio di massa nel corso della seconda guerra mondiale (per tutti si veda Christopher Browning, Uomini comuni, Einaudi; Raul Hilberg, Carnefici, vittime e spettatori, Mondadori).
La domanda da cui parte Pappalettera è semplice: com’è potuto accadere il genocidio di 11 milioni di esseri umani nel cuore dell’Europa? e subito dopo: Che individui erano gli aguzzini che infierivano spietatamente su prigionieri inermi? In entrambi i casi Pappalettera insiste su un punto: ossia il nazismo, prima ancora che un’esperienza politica, è una macchina ideologica, fondata su un programma dichiarato ed esplicito. E dunque in prima istanza è l’apparato ideologico che occorre indagare in termini di formazione dell’opinione, di macchina della convinzione, di struttura di formazione della personalità.
Ma se tutta la questione fosse riducibile ad un livello programmatico dichiarato noi dovremmo concludere che la diffusione del nazismo il suo successo consistette essenzialmente in un’opera di persuasione. Per Pappalettera questo è uno dei binari che permisero al nazismo di strutturare una tipologia e, conseguentemente dei comportamenti. Ma non solo. Accanto ed oltre agirono anche altri meccanismi. L’adesione al nazismo, la trasformazione di individui comuni in macchine programmate per la morte di massa non passò solo per un processo di convinzione ideologica. Esso si concretizzò anche, attraverso un processo di annichilimento degli avversari, trasformando prigionieri, nemici e vittime in operatori ed esecutori diretti dello sterminio.
In sostanza il nazismo fu il risultato di un doppio processo: il primo direttamente connesso con la formazione di individui ideologicamente orientati; il secondo determinato dal totale dominio sugli individui non convinti ma lentamente deumanizzati e trasformati in macchine di morte.
Questo secondo aspetto sembrerebbe costruire un’ immagine ancor più diabolica del nazismo. In realtà Pappalettera ha la sensibilità di introdurre attraverso l’ analisi di casi concreti una dimensione che rende altamente problematica e avvincente qualsiasi indagine sul nazismo. Centrando l’ attenzione sui processi di spersonalizzazione Pappalettera, infatti, non risolve la questione attraverso un’ analisi generica dei processi di coinvolgimento e di soggezione, ma individua storie tra loro molto diverse che rinviano non solo a livelli diversi della resistenza e della sottrazione al meccanismo di spersonalizzazione, ma anche a vicende e decisioni di individui che non si piegano, che si sottraggono, che comunque riaffermano la loro personalità.
E allora ciò che si riapre non è più una partita in cui è in discussione la dimensione del terrificante sulla base del conteggio delle vittime, bensì la vicenda dei meccanismi di persuasione, di resistenza e di affermazione della personalità, all’interno della quale la rianalisi del sistema concentrazionario si delinea come un cosmo popolato di individui ciascuno caratterizzata da una propria storia personale, da scelte in cui entrano in gioco forza e debolezza, valori e stravolgimenti. Ma soprattutto dove al centro stanno ancora gli uomini, in carne ed ossa, con la responsabilità delle loro scelte.
David Bidussa
Pubblicato sul Triangolo Rosso n. 3/97 – Giugno 1997