Aa. Vv.
Dalle leggi antiebraiche alla shoah. Sette anni di storia italiana 1938-1945,
Skira, Milano-Ginevra 2004, pp255, € 40.
Si tratta del catalogo dell’omonima mostra esposta a Roma al Vittoriale dall’ottobre 2004 fino al gennaio 2005, realizzata dalla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano e curata da Alessandra Minerbi. La prima sezione del catalogo è composta da quattro saggi scritti rispettivamente da Tullia Catalan, Alessandra Minerbi, Valeria Galimi e Guri Schwarz che consentono al lettore poco esperto di orientarsi e di comprendere in tutta la sua portata il dramma della shoah in Italia. I saggi hanno tutti il grande pregio di essere sintetici, ma nello tesso tempo esaustivi e estremamente chiari. Di particolare interesse il saggio di Tullia Catalan che ripercorre le tappe dell’ emancipazione dell’ebraismo italiano e il contributo dato dagli ebrei, subito dopo il 1848 alla vita culturale e sociale italiana. Oltre a soffermarsi sulla composizione numerica e sulle attività economiche degli ebrei italiani, sfatando tra l’altro il mito dell’ebreo ricco, tanto diffuso e così duro a morire, questa studiosa segnala come l’antisemitismo in Italia fosse complessivamente limitato a pochi gruppi legati per lo più a circoli cattolici particolarmente retrivi.
Alessandra Minerbi affronta invece la fase della persecuzione dei diritti, ossia il periodo che va dalla emanazione delle leggi razziali all’occupazione tedesca dell’Italia, come conseguenza dell’armistizio firmato dal governo Badoglio con gli alleati nel settembre 1943. In modo assai preciso e circostanziato Alessandra Minerbi dimostra come il diffondersi di un razzismo politico e biologico abbia segnato una deriva pericolosa: a partire dal 1935 con la guerra d’Africa e con la proclamazione dell’Impero. Mussolini infatti assume una politica sempre più razzista: occorreva preservare la razza ariana italiana da possibili contaminazioni con le razze inferiori. Da questo momento in poi si ci avvia verso la catastrofe che colpirà l’ebraismo italiano a partire dall’autunno del 1938 con l’emanazione delle leggi razziali che come ricorda Alessandra Minerbi furono”seconde per durezza e puntigliosità solo a quelle naziste” (p. 30). In realtà le leggi razziali furono preparate da una serie di provvedimenti, fra cui spicca il censimento della popolazione ebraica dell’agosto del 1938: le liste meticolosamente preparate e mai distrutte dopo la caduta del fascismo nel luglio 1943 e neppure dopo l’8 settembre, costituirono un strumento formidabile nelle mani dei tedeschi e dei repubblichini, allorquando iniziò la caccia agli ebrei braccati da più parti. Alessandra Minerbi analizza anche la reazione della comunità ebraica di fronte alle misure razziste: superata la fase della sorpresa, gli ebrei si organizzarono rapidamente e si dedicarono soprattutto all’allestimento di scuole che potessero offrire asilo agli studenti e ai professori cacciati dalle scuole del regno, secondo quanto previsto dalle norme emanata il 5 settembre 1938. Pochi furono coloro che decisero di lasciare il paese, nella speranza che non si sarebbe arrivati alle estreme conseguenze, come già accadeva oltralpe. In realtà, con la guerra le misure antiebraiche si inasprirono e gli ebrei non italiani furono internati nei campi, mentre agli ebrei italiani dal 1942 fu imposto il lavoro coatto.
A Valeria Galimi si deve la parte in cui si ricostruisce la fase dello stermini la macchina dell’annientamento funzionò con estrema rapidità: grazie alle leggi fasciste e al muro d’isolamento che esse avevano costruito intorno alla comunità ebraica, non fu difficile per i tedeschi, in questo aiutati e supportati dalle forze di polizia della Repubblica Sociale Italiana arrestare gli ebrei, rinchiuderli nei vari campi di transito fino alla partenza per ignota destinazione Assai giustamente Valeria Galimi si sofferma su due questioni cruciali: la responsabilità della Repubblica di Salò nella guerra contro gli ebrei e i non pochi casi di delazione e di collaborazionismo che spinsero non pochi italiani a denunciare gli ebrei che cercavano disperatamente di sfuggire alla morte. Infatti, oggi, troppo spesso si tende ad attribuire la colpa dello sterminio ai soli tedeschi, dimenticando le disposizioni vessatorie e criminali emesse dalla Repubblica di Salò e le molte delazioni, tra l’altro ampiamente studiate recentemente da Mimmo Franzinelli in un volume significativamente intitolato Delatori.
Non deve neppure essere dimenticato il contributo offerto da molti strati della Chiesa cattolica e di ampi stati della società civile che si adoperarono in favore degli ebrei, così come non va sottaciuto l’ambiguo silenzio del Papa anche dopo la catastrofe che colpì la comunità ebraica romana.
La ricostruzione storica si chiude con il saggio di Guri Schwarz, che affronta un tema assai spinoso e del quale complessivamente si sa molto poc il difficile ritorno alla vita normale per gli ebrei dopo la Liberazione. Infatti se le disposizioni antiebraiche vennero tutte abrogate, molto più difficile fu per i sopravvissuti che ritornavano dai campi di sterminio in Polonia rientrare in possesso dei propri beni, delle proprie cariche, dei propri appartamenti. Così alla vicenda tragica della morte dei propri cari si aggiungeva la pena di dover affrontare lunghi e dolorosi processi per ottenere quanto si era perduto o era stato nel frattempo occupato da altri. Del resto eco di un ritorno difficile si trova spesso anche nelle parole dei testimoni.
A questa interessante parte squisitamente storica segue la riproduzione dei documenti di cui si compone la mostra. I documenti sono disposti seguendo un ordine strettamente cronologic i primi riguardano la vita degli ebrei all’interno della società italiana e gli ultimi il ritorno alla vita. Si tratta di documenti di varia natura: dalle disposizioni di leggi, agli articoli di giornali, alle fotografie, fino alle lettere e ai diari. Questi ultimi sono quelli che maggiormente hanno colpito chi scrive: se infatti i documenti ufficiali sono circolati in modo abbastanza diffuso in questi ultimi anni, grazie anche all’interesse che si è sviluppato sulla storia della shoah, i documenti familiari, che rimandano al privato e soprattutto ad una storia vissuta da persone non più astratte, ma divenute vive grazie a stralci di lettere o pagine di diario, costituiscono uno degli elementi più interessanti per chi sfoglia il catalogo come per chi si è recato a visitare la mostra. Infatti, anche pensando ad una fruizione della mostra in chiave didattica, sono proprio questi reperti che possono richiamare l’attenzione e suscitare l’interesse degli studenti: non solo lontani, astratti proclami o pagine della Gazzetta Ufficiale, ma le parole vive e le immagini di coetanei che hanno subito l’esclusione prima e che sono stati costretti a fuggire poi per evitare una morte senza scamp in tal modo la storia non è più immagine sfocata, lezione frontale noiosa o ripetitiva, ma diventa storia viva di uomini, donne, ragazzi e ragazze che hanno vissuto una della pagine più drammatiche del secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle.
Alessandra Chiappano