Intervento di ALDO PAVIA Milano
Chi mi ha preceduto poco fa vi ha già detto quelli che sono i sentimenti di un familiare nel cinquantesimo della Liberazione dai campi di sterminio. Il parlare a voi come fratelli, addirittura come padri, per noi a 50 anni dalla liberazione dei campi non è solo doveroso, ma è estremamente imbarazzante, per non dire doloroso, perché per noi voi siete la nostra famiglia, siete coloro che con il loro esempio di quei giorni e dei giorni che si sono succeduti hanno dato a noi la forza che altrimenti un certo tipo di disperazione, un certo tipo di abbandono, un certo tipo di sradicamento dalle nostre radici ci avrebbe portato a essere qualche cosa di molto debole in questa società.
In realtà, non è demagogico, non è per farvi un complimento, noi abbiamo camminato sì con le nostre gambe, ma soprattutto con le vostre. Perché noi abbiamo attinto dalla vostra esperienza, dal vostro coraggio, dalla vostra voglia di affrontare ancora ciò che il quotidiano, che il giorno per giorno, che la vita proponeva, da questa vostra grossa capacità e volontà noi abbiamo attinto sangue e linfa per carriminare a nostra volta. Dico questo anche perché se questo non fosse riconosciuto, ed è giusto che sia riconosciuto, non avrebbe senso quella frase: Diamo un futuro alla memoria.
Ora io, siccome sapete che sono uomo un po’ provocatore, un po’ uomo d’azienda, faccio pubblicità, promuovo delle vendite, ritengo che lo slogan, che è molto più di uno slogan, non è solo parole, ma è un impegno, è un imperativo, sia un po’ monco: manca la seconda parte. Dare un futuro alla memoria è importante, ma direi che proprio nei confronti di chi verrà, chi già oggi cammina e di chi verrà dopo di noi a portare avanti quello in cui noi crediamo, bisogna far sì che il futuro abbia una memoria. Perché un futuro che non ha memoria è il passato, e il passato si ripresenta.
Oggi sentivo alcuni tra di noi che dicevano, perché questo accanimento nei confronti di Berlusconi? Credo che l’accanimento da parte di chi non la pensa come quei signori, si spieghi benissimo. Ci sono mille cose che potrebbero spiegarlo. lo non mi faccio mistero di ritenere questo signore un grande bugiardo, qualcun altro può guardare agli interessi più che legittimi, le pensioni, la sanità; la realtà però è che questo signore è diventato il simbolo non solo di se stesso, ma di un mondo che è esattamente l’opposto di quello per cui i miei genitori, voi, io e chi la pensa come voi, ha combattuto ieri e combatte oggi. Allora, quando in nome di non si sa bene che cosa, di una provvidenza che tutti noi abbiamo pagato nel modo disperato con cui abbiamo pagato, questo signore parla di cose, ma queste cose negano la solidarietà ad esempio.
Che significato ha avuto l’antifascismo, la deportazione, la Resistenza se la solidarietà è un qualche cosa che non ha più valore? Anzi, meno se ne parla meglio è, è una grande scocciatura. Poi arriva qualche esperto e dice che costa anche. Ma l’uomo ha pagato dei prezzi e a fronte di questi pezzi noi vogliamo quello per cui si è pagato, e noi si è pagato per la solidarietà, per l’uomo, per la dignità. Ma chi è questo buffone? E noi dobbiamo stargli a credere, a credere in nome di che cosa?
Ieri era l’8 marzo, credo che più o meno tutti noi abbiamo regalato mimosa; ma il signor Berlusconi e chi come lui pensa che la donna è un amrnasso di curve, di cellule che si agglornerano più o meno bene, permettetemi di essere un tantino pesante, per lui esistono tette e natiche, l’intelligenza non conta, perché non ci vuole, perché l’intelligenza fa riflettere, e se si riflette si può anche dire no. Ora questo no voi l’avete detto, vogliamo dirlo anche noi. Allora ci accaniamo contro Berlusconi. E poi, amici, fratelli, vogliamo ricordarci che quest’uomo, i suoi accoliti, Fini, Previti, ecc., a cinquant’anni dalla liberazione dai campi di sterminio hanno presentato all’Europa che ha subito il flagello della svastica un governo con quattro ministri fascisti? E questo non basta?
Se questo non basta allora vuol dire che forse non abbiamo capito, che forse abbiamo sbagliato. lo non credo che tutti noi si sia sbagliato. Quattro ministri fascisti; qualcuno dice neofascisti, postfascisti, mettete tutti i termini che volete, io però, e lo dico in maniera presuntuosa, ho imparato una grande lezione da una piccola frase di un grande uomo.
A Milano, al teatro Dal Verme, Pietro Nenni rivolgendosi a Bettino Craxi, che aveva teorizzato un minimo, non un massimo come oggi, ma un minimo di attenzione nei confronti di quello che allora si chiamava MSI, disse: “Caro Bettino, i fascisti sono fascisti, punto e basta”. Questo è quello in cui io credo, per questo io sono, sarò e continuerò ad essere accanito nei confronti di ciò che Berlusconí oggi rappresenta.
Vorrei venire poi sulla questione dell’articolo di Dario Venegoni, e vorrei porvi una domanda. lo so già, sono convinto di quella che sarà la risposta. Voi pensate che il figlio di Venegoni e di Ada Buffulini pensi che il compito dell’Aned e ciò che sono i superstiti dei campi non abbia più significato? lo non lo credo proprio, io credo che tutti siamo pronti a mettere la mano sul fuoco, perché Dario Venegoni non pensa questo. Però vorrei richiamare quello che ha detto Dario, che io non conosco molto, ma al quale sono affettuosamente vicino, è come me, siamo dei figli e viviamo la condizione dei figli. Io non so, mi arrogo il diritto di pensare ciò che forse lui ha pensato, di spiegare in chiave psicanalitica ciò che noi proviamo e ciò che forse anche lui prova.
Noi siamo un po’ impauriti. Prima cosa perché noi non abbiamo mai pensato di ritrovarci davanti certe cose che voi avete conosciuto in prima persona e che noi oggi vediamo riproporci. Seconda cosa, noi abbiamo camminato un po’ anche con le vostre gambe, chi ha avuto la fortuna di avere ancora i genitori vivi con quelle dei genitori, chi ha avuto quella di avere amici e fratelli come voi, con le vostre, però quando voi per motivi biologici scomparite noi perdiamo delle stampelle, e i tempi che ci aspettano non mi sembrano dei più rosei, anche se io non sono così pessimista.
Allora a volte non lo confessiamo ma ci poniamo la domanda: ma noi saremo capaci di resistere a questa aggressione? Avremo la forza, la capacìtà che avete avuto voi, la vostra esperienza, la capacità di riconoscere il mostro anche quando si presenta con vestiti dì Armani piuttosto che di Krizia? E questo cì spaventa, e questo ci fa pensare che forse ci sia bisogno di qualcos’altro, dì qualche stampella in più di quella che ormai è sempre un po’ meno solida rappresentata dai superstiti. Noi sappiamo, ad esempìo, che noi non potremo dire ìo c’ero, noi non c’eravamo, noi sappiamo e crediamo, e non abbiamo mai posto ìn dubbìo, ed è la colonna su cui noi ci fondìamo, noi sappiamo quello che voi cì avete raccontato. Perché prima ancora dei testì paludati di storia, quello che per noi conta è quello che voi ci avete raccontato.
Voi ci avete detto la verità, il resto dìmostra e rafforza questa verìtà, ma la verità. sono chi è stato a Mauthausen, a Dachau, a San Sabba, ad Auschwitz ecc. Quello è ciò che è intoccabile, Nolte racconti quello che vuole, dica pure che i campi di sterminio sono la risposta ai gulag, dìca, dica, dica. Per me conta di più quello che mi dice Geloni, che mi dice Vìsmara, quello che mi ha raccontato Maris, quello che mi ha detto Teo Ducci, perché mio padre era con voi, non era con Nolte che legge dei documenti e che soprattutto vuole giustificare.
Allora io penso che Venegoni, al quale sono vicino anche nella sua intelligente provocazione voglia dire dell’altro. Voglia dire: ma quella memoria che deve avere un futuro come si fa a dargli un futuro quando voi sarete deboli, o non ci sarete, e noi sicuramente saremo deboli? Questo è il senso della provocazione. L’Aned non ha finito la sua spinta, non ha cessato i suoi compiti, non ha perso una goccia del suo enorme valore, però noi dobbiamo pensare a dopo di noi, pensare a dare forza a chi porterà avanti questo discorso. E io qui, per trovare la forza e la capacità di andare avanti, sono tomato alle mie radici. lo sono ebreo e sono tomato alle mie radici, alla mia cultura ebraica; chi è cristiano tomi alla sua radice cristiana. Chi è il testimone? Il mio popolo è testimone oggi di un patto, un patto che fu fatto fra il Signore degli eserciti, tra Colui che è, noi non possiamo nominare Dio, ma tra questo enorme valore e il suo popolo io non ho visto Mosè, non c’ero su quella montagna, ma io credo in quello e quindi sono testimone di quello, e io morirò per quello, come è morto mio padre per non abiurare il suo nome.
Chi è cristiano non ha visto Gesù Cristo, non c’era sul Lago di Tiberiade, non ha assistito al sermone della montagna, ma poiché ha quella fede è testimone dì quella fede, testimone per chi per quella fede è morto. E quindi non è necessario, e questa non è un’offesa, è un atto d’amore, che voi ci sìate, perché se noi saremo testimone, se crederemo nei vostri valorì, quei testimonì ci saranno sempre, voi non sarete scomparsi se io credo in voi, e se mio figlio crederà in me voi non sarete scomparsi. E il mondo si misurerà con Auschwitz, con Birkenau, con Mauthausen, con Dachau, con la Risiera.
Allora l’Aned non ha finito, l’Aned è sempre più viva e l’Aned continuerà ad essere viva. Il mio popolo dice e ha detto per millenni, dalla diaspora in poi, “L’anno prossimo Gerusalemme”. Lasciatemi fare una battuta che è demagogia ma è amore: noi saremo a Prato tra cinquant’annì, per il centenario, e il nome di Pavia, di Vismara, di Maris, di Ducci, di Todros ci sarà; non avrà il vostro viso, avrà altri visi, ma avrà la stessa fede, crederà nelle stesse cose, e quindi l’Aned non sarà morta.
L’Aned sarà diversa, sarà fatta in altro modo, forse si chiamerà anche in maniera dìfferente, ma questa testìmonianza ci sarà. Però bisogna anche, al di là delle parole, fare discorsì concreti, e allora se vogliamo sempre dare un futuro alla memoria, bisogna che l’Aned si dia degli obiettivi. Io ne sento uno fondamentale, e credo che se questa mia proposta sarà recepita debba essere uno dei compiti del prossimo Consiglio nazionale. Io sento, oggì più che mai, di fronte anche a questo rìalzarsi della testa di questo cerbero, di questa Idra della destra, sento necessario che si arrivi a una unica organizzazione dell’antifascismo, della deportazione e della Resistenza. Perché ognuno di noì può aver avuto interpretazioni, obiettivi forse differenti, ma i valori di fondo in cui i cattolici, i comunisti, i liberali, giustizia e libertà, gli Ebrei, i deportatì politici credevano erano, sono e rimarranno gli stessi.
Per far fronte alla minaccia della destra la Resistenza, la deportazione e l’antifascismo devono presentarsi con un’unica faccia, non con la faccia di diversità. Liberi poi, all’interno di questa organizzazione, unica e unitaria, di mantenere le differenze, perché la democrazia vive di diversità, però deve trovarsi unita e non attaccabile sui valori fondamentali. Non c’è una libertà vista da destra o da sinistra; la libertà è una, la democrazia è una. Chi comincia a dire che la democrazia è un po’ così e un po’ cosà, chissà perché finisce da quella parte, a chiamarsi neofascista, postfascista, Alleanza nazionale e via dìcendo. Per noi la libertà è una cosa, la giustizia è quella, e via dicendo.
Io non sono così pessimista rispetto al futuro che ci aspetta, e non sono pessimista per un semplice motivo, perché riguardo alla storia della deportazione, nel momento in cui il male organizzato, non episodico, non frutto delle follie, nel momento in cuì questo male dominava, prevaricava, nel momento in cui era nata Dachau, ’33, e poi è spuntata questa pianta malvagia carnivora e tremenda che si chiama Auschwitz, l’uomo ha trovato dentro se stesso le più grandi rìsorse.
Se è vero che Auschwitz segnala quanti abissi imperscrutabili, insondabili ci siano nella natura umana è altrettanto vero che ciò che è accaduto nei campi (parlo da parte dei deportati) la solidarietà, la fratemità, spinta addirittura al sacrìflcio umano, perché io non voglio fare nomi ma ricordo che cosa ha raccontato uno di noi, come ha trovato un uomo che l’ha sollevato e cantando l’ha portato avanti a camminare nelle notti glaciali della marcia della morte da Auschwitz a Mauthausen. Ebbene, se è vero che l’uomo è capace di abissali malvagità, nella natura dell’uomo ci sono picchi, vette di grande umanità, di riscatto, c’è coraggio, c’è ìntelligenza, c’è solidarietà, soprattutto c’è l’uomo. lo credo che se anche i momenti che abbiamo davanti non saranno dei più felici, se anche memori della storia so che ci saranno, e spero di no, ma potrebbero esserci, questi famosi buchi neri, so anche che ci sarà chi in quel momento saprà alzare la testa.
Allora, se questo è, e questa è la mia fede, io credo di essere fiducioso, e voglio essere fiducioso anche perché stamattina una grossa iniezione di fiducia me l’ha data quella ragazza che ha parlato. Ha detto tante cose interessanti, ma credo che la cosa più interessante che ha detto e che conforta come la scelta dell’Aned di dedicare una giornata ai giovani che ci diranno loro, che parleranno loro a noi, sia stata una scelta giusta, vincente, e che questa ragazza ha chiesto a noi di aiutarli a scegliere, a decidere in piena autonomia. Se i giovani sono capaci di rivolgerci questo invito estremamente maturo di aiutarli a scegliere, ma in piena autonomia, io sono convinto che il futuro nostro, dei nostri figli, dei giovani non sarà così tragico come in altri momenti della storia. E voglio salutarvi con la parola che per noi Ebrei significa pace: shalom fratelli, shalom.