Il 13 aprile scorso, dopo una lunga, dolorosa malattia sopportata con grandissimo coraggio, è scomparso il compagno Alberto Berti, ex deportato a Buchenwald (matricola 10.682) e a Langenstein.
Consapevole del suo stato, aveva dedicato gli ultimi mesi della sua vita a organizzare le proprie carte, a completare alcune ricerche, a rivedere gli ultimi scritti in vista di una possibile pubblicazione.
Il nostro giornale, che ha potuto contare sull’esperienza e sul rigore scientifico di Berti per molti anni, ne onora la memoria nel modo che a lui certamente sarebbe piaciuto di più: pubblicando un suo ampio articolo inedito, nel quale egli non si è sottratto alla polemica e alla denuncia. Ciao Berti, ci mancherai.
Il vescovo Neuhausler
L’amico Melodia, parecchi mesi fa, recensì criticamente un libercolo del vescovo cattolico Neuhausler che ebbe la ventura di essere deportato nel Lager di Dachau da dove, il 25 aprile 1945 assieme ad altri deportati del cosiddetto “bunker d’onore”, venne trasferito nel Sonderlager SS di Innsbruck e quindi a Villabassa in Val Pusteria dove fu liberato. Egli scrisse nell’immediato dopoguerra un libro “Kreuz und Hakenkreuz” (Croce e croce uncinata) edito a Monaco nel 1946.
Nel libro parla un po’ di tutto. E’ in sostanza un tentativo di difesa della posizione delle gerarchie cattoliche durante il nazismo, spesso omettendo dei particolari particolarmente significativi che, se conosciuti, non avrebbero certamente fatto onore ai vescovi e cardinali tedeschi dell’epoca. Ciò di cui non parla, cosa che invece a me sembra importante, è la posizione che lui “Fiero avversario del nazismo” assunse nel dopoguerra.
Il sostegno della Chiesa cattolica ai crimnali nazisti
Nel dopoguerra in Germania vennero istituiti i tribunali per la condanna dei crimini nazisti gestiti dai vincitori. Vennero arrestati e giudicati ufficiali delle SS, comandanti di quei reparti speciali che sterminarono gli ebrei in Polonia, Russia, ecc., vennero arrestati comandanti dei Lager, SS guardiane dei Lager, medici che ordinarono o sperimentarono medicinali usando i deportati come cavie, coloro che fecero parte dello staff che praticò l’eutanasia, dirigenti e proprietari dei grandi gruppi industriali, funzionari ministeriali, ecc. ecc.
Questi criminali, perché altro non erano, trovarono un valido sostegno negli ambienti delle Chiese cattolica ed evangelica, le quali fecero a gara per difenderli. Il vescovo Neuhausler si trovò in prima fila fra i difensori di costoro.
La difesa del capitano SS trafugatore di opere d’arte
Iniziò nell’immediato dopo-guerra ad interessarsi dell’Obersturmbannfuehrer delle SS Waldemar Meyer che aveva diretto un reparto speciale avente lo scopo di trafugare opere e tesori artistici dalla Russia. Lo raccomandò al Commissariato di stato affinché gli venisse assegnato un alloggio. In quei giorni il Meyer concordava con la posizione politica assunta dalla Chiesa ed infatti scriveva: ” Il comunismo sta estendendo la sua influenza, senza una Germania pesantemente armata l’ondata bolscevica non si può arrestare. ( … ) Anche l’antisemitismo è in forte aumento a causa della condotta provocatoria degli ebrei immigrati dall’Est. Gli ebrei dell’Est, che sono arrivati qui vestiti di stracci, oggi possiedono immense ricchezze e vengono chiamati vermi”. Nell’autunno del 1948 la Chiesa cattolica si mobilitò a favore del comandante del Lager di Chelmno (300.000 ebrei gasati), Alexander Piorkowski, dopo che erano stati condannati e già giustiziati alcuni aguzzini del Lager di Flossenbürg e alcuni responsabili dell’uccisione di aviatori alleati lanciatisi col paracadute dal loro aereo in fiamme o costretti ad atterraggi fortunosi sul suolo tedesco. Poiché erano previste altre esecuzioni di condannati, il vescovo Neuhausler inviò un telegramma di protesta al ministro americano delle forze armate chiedendo la revoca dei provvedimenti, spalleggiato in questa protesta dalla stessa Segreteria di Stato vaticana che aveva inviato al presidente Truman una nota diplomatica su suggerimento del cardinale Frings. Il sostituto della Segreteria di Stato, Montini, futuro papa Paolo VI, confermò che la nota di protesta era stata inviata. Così come cercherà di salvare dalla condanna a morte il generale della SS Pohl, Neuhausler intercedette in maniera pesante anche a favore di Paul Blobel, sterminatore- come risulterà dal processo di Francoforte – dei 90 bambini di Belaja e delle migliaia di ebrei di Luzk.
Il vescovo si scatena scrivendo contro le “cose sgradevoli”
Neuhausler in quei tempi divenne un grafomane: scriveva e telegrafava dappertutto. Scrisse, sempre al cardinale Frings, che “alcuni addetti dei processi di Dachau gli hanno fatto delle rivelazioni sconvolgenti. In questa situazione capisco sempre di più che un ricorso in appello è da escludersi; pare che vengano fuori troppe cose sgradevoli”. In una lettera da lui scritta all’OMGUS, governo militare americano in Germania, del 27 agosto 1948 definisce i deportati, chiamati a testimoniare al processo contro gli aguzzini di Flossenbürg, “omosessuali, stupratori di bambini, ruffiani, comunisti e criminali di professione “.
Dopo aver avuto alcuni attriti con i rappresentanti delle forze armate americane e con i direttori delle carceri dove erano rinchiusi i criminali nazisti, sorse il 26 novembre 1949, nella sede dell’arcivescovado di Monaco, il “Comitato per l’aiuto ecclesiastico ai detenuti” il cui presidente è “Sua Eccellenza Johannes Neuhausler” ed i cui scopi primari sono:
-attirare, concentrare ed incrementare l’attenzione della stampa sui processi che si vanno celebrando contro i criminali di guerra;
-garantire ogni forma di assistenza giuridica “ai detenuti degni e bisognosi, in particolare a quelli di Landsberg”. Nella richiesta di contribuire alle spese del Comitato il solerte presidente firma una lettera in cui si richiama anche ad un altro scopo: “L’opportunità che il popolo tedesco tracci la sua strada verso il futuro libero da complessi di colpa imposti dall’estero”.
Si adopera perchè il popolo tedesco non abbia sensi di colpa
Cerchiamo di vedere chi sono i detenuti nel carcere di Landsberg.
Troviamo: gli industriali Flick, Krupp e Roechling proprietario della Rheinmetall, i dirigenti dell’IG Farben, il grande trust chimico-farmaceutico che, oltre alla benzina sintetica ed ai medicinali, produce la Buna, la gomma sintetica la cui produzione costò la vita in due anni a decine di migliaia di deportati di Auschwitz, i comandanti dei reparti speciali destinati a sterminare gli ebrei dell’Est Europa (ad esempio Otto Ohlendorf), altri esponenti delle SS come Gottlob Berger, Bach-Zelewski, Hildebrandt, F. Knoechlein, Kurt Meyer, Jochen Peiper, Oswald Polil, Max Simon, Franz Six, Waldeck-Pyrmont, Walter Warlimont, diplomatici e politici del Terzo Reich che collaborarono nello scatenamento e nella conduzione della guerra, come K.W. Best, Walter Funk, H. Jost, W. Keppler, Paul Koerner, H. Lammers, H. Lohse, F. Schlegelberger, L. Schwerin von Krosigk, G. S. von Moyland, E. von Weizsaecker, ed una notevole schiera di medici, avvocati, ufficiali e sottufficiali delle SS e guardiani dei Lager. Queste erano le persone che Neuhausler ed altri prelati della Chiesa difendevano!
Parlare del vescovo Neuhausler e delle sue difese continue a favore dei criminali di guerra nazisti ci porterebbe molto lontano: si potrebbe farne un saggio e pubblicarlo a parte.
Hitler chiede un parere alla Chiesa sull’eutanasia dei pazzi
Neuhausler nel dopoguerra era diventato un vero maniaco: difendeva tutto e tutti, meno ovviamente i suoi compagni ex deportati nei Lager per i quali non aveva parole gentili. Questa sua mania lo portò a difendere l’atteggiamento che le gerarchie della Chiesa cattolica avevano tenuto nei confronti del nazismo di fronte all’operazione eutanasia (T4) e lo obbligò a raccogliere una figuraccia tale che solo la sua faccia tosta gli permise di presentarsi nuovamente sul pulpito.
Albert HartI, prete spretato, arruolatosi nelle SS, divenne capo delle informazioni per il culto al comando della polizia di sicurezza (SD) a Berlino.
Nell’estate del ’38 il suo capo, Heydrich, gli diede l’ordine di presentarsi alla cancelleria del Führer da Brack il quale gli chiese di sondare se la Chiesa cattolica avrebbe fatto una grande opposizione ad una legge sull’eutanasia che avrebbe avuto per oggetto l’eliminazione dei pazzi incurabili.
Brack aggiunse nel corso del colloquio che, avendo ricevuto alcuni mesi prima manifestazioni di sostegno dalla Chiesa in occasione dell’occupazione dell’Austria, Hitler voleva avere delle informazioni precise per non provocare conflitti o tensioni con i cattolici. HartI rispose che un’opinione su questo argomento, per avere un valore anche propagandistico, doveva venire espressa da un uomo di scienza e, con l’accordo di Brack, andò a parlarne col professor Josef Mayer, insegnante di teologia morale nell’Università cattolica di Paderborn, il quale accettò l’incarico di preparare un lavoro “sull’atteggiamento della Chiesa cattolica nei riguardi dell’eutanasia”.
Per la Chiesa cattolica l’eutanasia dei pazzi era difendibile
Un lungo studio del Mayer, consegnato alcuni mesi dopo allo HartI, terminava dicendo che l’eutanasia dei malati mentali era difendibile.
Qualche settimana dopo Brack informò HartI che Hitler aveva superato la sua indecisione e aveva dato ordine di iniziare l’operazione.
Era quindi venuto il momento di informare le Chiese, cattolica ed evangelica, e lo HartI stesso consegnò una copia dello studio del Mayer a Josef Roth, un prete che a quel tempo era a capo della sezione cattolica del ministero dei culti, il quale provvide ad informare sia l’arcivescovo Berning che il Nunzio Apostolico a Berlino. Mentre Berning osservò che alcune pagine del documento erano “molto imbarazzanti per la Chiesa”, il Nunzio Apostolico non espresse alcun commento e si limitò a dire che riceveva “informalmente” nota di quanto consegnatogli.
Per i protestanti fu informato un pastore che era a capo di un manicomio il quale non avanzò alcuna protesta, ma richiese che il suo ospedale fosse escluso da quell’operazione. Successivamente venne dato incarico allo HartI di contattare un gruppo di medici e uno di giuristi ai quali illustrò il documento chiedendo la loro opinione. Non vi furono voci contrarie: si limitarono a stare zitti.
Queste dichiarazioni HartI le fece a Norimberga nel 1947 quando venne chiamato a testimoniare nel processo Brack e le ripeté nel 1965 e 1967 durante i processi intentati ai medici ed al personale che aveva partecipato all’operazione eutanasia.
Con il teologo Mayer il vescovo preparò”l’opinione favorevole”
Quando nel 1967, al processo di Francoforte venne chiamato a testimoniare, si trovò in compagnia del professor Josef Mayen
Questi, non solo negò di conoscere lo HartI, ma disse anche che della famosa “Opinione” che HartI sosteneva di avergli commissionato, lui non sapeva niente. Nel contro-interrogatorio, il Mayer, incalzato dalle contestazioni della pubblica accusa e delle precisazioni dello HartI, dovette vergognosamente ammettere che aveva avuto l’incarico di preparare”I’Opinione” che aveva poi consegnato allo HartI ed aggiunse che di ciò erano stati informati tutti i suoi colleghi.
La discesa in campo per ridare credibilità alla Chiesa tedesca…
Si ricordi che i suoi colleghi, come del resto lui stesso, erano professori di una Università cattolica, quella di Paderborn, che operava sotto la sorveglianza delle autorità ecclesiastiche.
Queste testimonianze costituivano chiaramente una vergogna infamante per le Chiese tedesche e da parte cattolica non potevano venire supinamente accettate, pena la perdita di credibilità e la disaffezione dei cattolici tedeschi nei confronti del loro clero e dei loro vescovi.
E così l’ex nazista si schierò dall’altra parte…
Perciò il vescovo Neuhausler, con un passato di antinazista e di ex deportato nel campo di concentramento di Dachau, ritenne opportuno scendere in campo e difendere il clero tedesco e la posizione della Chiesa cattolica.
La difesa della Chiesa cattolica, intrapresa dal vescovo Neuhausler, non riscosse risultati tangibili: egli cominciò col dichiarare che tutti coloro che erano stati informati dell’operazione eutanasia erano dei preti spretati, scrisse che il professor Mayer aveva negato di essersi mai pronunciato a favore dell’eutanasia, citava personalità della Chiesa e documenti che secondo lui avrebbero dovuto ridare una verginità alla Chiesa ed all’episcopato tedesco. Raccontò, durante la sua testimonianza sempre al processo di Francoforte, che lui stesso aveva fatto delle indagini in due località dove si svolgeva l’operazione eutanasia, ma che nessuno dei popolani che aveva avvicinato sapeva niente di quella operazione, tanto essa era coperta dal segreto di Stato.
Per questa ragione – spiegò – mancarono sino a guerra inoltrata le proteste del clero tedesco.”
Alberto Berti