Le polemiche giornalistiche (e non solo) sul cosidetto “oro dei nazisti”

Passati cinquant’anni dalla fine della guerra, si sono aperti gli archivi sui quali storici e ricercatori di vario calibro si sono buttati alla caccia del documento inedito per creare possibilmente il caso clamoroso.
Così è stato con la scoperta, da parte di uno studioso inglese dell’origine ebraica di alcuni anche alti ufficiali delle forze armate naziste, così è stato per il libro di Goldhagen tendente a dimostrare che in Germania tutti sapevano dei Lager e quindi ne sono tutti responsabili, il che non è vero. Così è stato con la scoperta del cosiddetto “oro dei nazisti” subito ribattezzato per “l’oro degli ebrei” che il Congresso mondiale ebraico si è messo a reclamare a gran voce.
Sappiamo che chiunque sia entrato in un Lager nazista è stato spogliato e derubato di tutti i propri averi.
È toccato a tutti, non solo agli ebrei. Questa immensa quantità di valori è stata dai nazisti depositata in Svizzera e usata per acquistare, attraverso un paese neutrale, quelle materie prime, quegli alimenti, quelle armi di cui avevano estremo bisogno.
Una parte di questo patrimonio è tutt’ora giacente nelle banche svizzere. È su questo che il Cme vuol mettere le mani.
Noi sappiamo che, nell’immediato dopoguerra, la Germania Federale ha negoziato con i vari paesi un indenizzo destinato ai superstiti ed ai familiari dei caduti.
Ne abbiamo goduto anche noi.
Senonché alcuni stati dell’area sovietica, invece di procedere alla ripartizione dell’indenizzo, hanno preferito incamerarlo e gestire in altro modo l’assistenza ai superstiti e familiari secondo l’ideologia ufficiale vigente. La Svizzera si è dichiarata disponibile a sanare queste situazioni creando una Fondazione apposita.
Resta da vedere chi e con quale criterio sceglierà gli eventuali aventi diritto e quale voce avremo noi superstiti (perché si tratta dell’oro sottratto a tutti noi) nella ripartizione dell’immenso patrimonio.
Parallelamente alla questione dell’oro ne è sorta un’altra si tratta di conti correnti che a suo tempo persone che evidentemente avevano una certa disponibilità finanziaria, hanno aperto in banche svizzere e non si sono più fatti vivi.
S’è sparsa la voce che sarebbero morte tutte nei Lager nazisti e dato che le banche svizzere nicchiano nel mettere a disposizione il saldo, sono state accusate di appropriazione indebita. A questo punto le banche svizzere hanno perso la pazienza e hanno pubblicato in 27 giornali di tutto il mondo nome e cognome dei titolari dei conti, invitando eventuali aventi diritto a dimostrarlo ed a farsi avanti.
È risultato che, fra i duemila cognomi, solo alcuni sono attribuibili ad ebrei, che molte famiglie ignoravano che il proprio congiunto avesse aperto quel conto e che ben pochi sono andati in fumo nei Lager nazisti. L’intero scandalo si è risolto in una bufala.
Infine v’è stata una cavillosa vicenda di una signora che pretende il pagamento del capitale derivante da una polizza di assicurazioni che un suo parente avrebbe acceso, a suo tempo, presso una compagnia d’assicurazioni polacca.
Essendo questa compagnia stata nazionalizzata, la richiedente pretende che le Generali di Firenze che in quella compagnia hanno avuto una partecipazione si addossi l’onere ed onorino la polizza. È questione tutt’ora aperta e controversa ma che, come quelle precedentemente citate hanno rimesso in circuito una campagna antisemita che proprio non ci voleva.
È triste che su un tema drammatico che coinvolge tante vicende umane si scatenino polemiche e interessi la cui validità è tutta da dimostrare.

 

Due libri utili per saperne di più

All’argomento dell’oro dei nazisti la stampa internazionale ha dedicato innumerevoli servizi giornalistici. Sono usciti in italiano recentemente anche due libri sull’argomento. Il primo dal titolo decisamente fuorviante Oro di razza, è stato scritto dal corrispondente dell’Ansa da Tel Aviv Furio Morroni, ed è edito dalle edizioni del settimanale “Il Mondo” (1997, 24.000 lire).
A dispetto del titolo, Morroni spiega bene la diversa natura dei fondi di cui si cerca di ricostruire la provenienza: una cosa sono l’oro e le valute strappate dai nazisti a tutti i deportati e alle popolazioni dei territori occupati; un’altra i fondi depositati in Svizzera da famiglie poi travolte dalla guerra e dallo sterminio nazista; altra ancora infine le risorse rapinate da Hitler nelle casse delle banche centrali dei paesi occupati.

Ancora più fuorviante l’impostazione redazionale data dalla Rizzoli a un testo della canadese Isabel Vincent, pubblicato con il titolo L’oro dell’Olocausto (1997, 30.000 lire). In copertina la celebre immagine della cassetta di vere d’oro ritrovata dagli alleati dopo la liberazione a qualche chilometro dal campo di Buchenwald, con questa didascalia: “Gioielli appartenuti a ebrei ritrovati nel campo di Buchenwald” (quasi che gli antinazisti tedeschi e gli operai e i partigiani rastrellati in tutta Europa non avessero avuto la vera all’anulare).
Il testo della Vincent, a dire il vero, è più corretto e documentato di quanto non lasci supporre la sciatta presentazione editoriale della pur importante casa editrice italiana.

T.D.