La promessa del deportato francese: “Verrete un giorno a Parigi
nel mio ristorante”

Caro Dario
all’avvicinarsi del Natale, anche se sono trascorsi 53 anni, ricordo con grande dolore il Natale trascorso nel Lager. E, voglio raccontarti quel triste giorno perché sei giovane e potrai testimoniare.
Era la sera della viglia di Natale del 1944.
Dalla finestrella della baracca non si vedeva che neve e neve ed entrava un freddo gelido. Io e la mia compagna Gisella ­ diciottenne lei ed io ventiquattrenne ­ stavamo abbracciate sul letto a castello.
 

Piangevamo disperate ricordando le nostre mamme a Ferrara e a Mantova, che cucinavano i tortelli di zucca e noi con una fame che ci obbligava a tenere lo stomaco compresso per non sentire il dolore, il dolore del vuoto.
Era notte l’ora non la sapeva nessuno perché orologi catenine d’oro bracciali ci erano stati portati via dai boia tedeschi.Ebbene era buio e la finestrella si spalancò ed apparve un soldato francese di Petain che solitamente ci distribuiva la zuppa di rape. Aveva fra le mani un ben di Dio, un catino pieno di patatine e qualche costina di maiale.
 
 

Io e Gisella non riuscimmo a scendere dall’alto del letto. Le altre compagne della baracca al contrario assalirono il catino delle patatine in una tremenda baruffa. Io e Gisella rimanemmo impietrite, di patatine non ne abbiamo trovate nemmeno una; metà mangiate e metà per terra nello sporco.
Il francese s’arrabbiò a vedere il suo catino vuoto ed io e Gisella che non avevamo preso nulla: “Verrete un giorno, al mio ristorante di Parigi” ci disse.
Aveva scritto bene quel nostro compagno “Si fa presto a dire fame” ma a sopportarla è un’inferno.
Tanti carissimi saluti
ed auguri di Felice anno nuovo

Bice Azzali