Un intervento di Gianfranco Maris
La fine del secolo evoca i grandi temi della colpa e del perdono. E non per millenarismo, ma per intrinseco bisogno di verità.
Anche la Chiesa cattolica ha sentito il bisogno di affidare a sessanta saggi una rilettura attenta del Nuovo Testamento, per appurare se nell’interpretazione delle Sacre Scritture non si sia annidato, sin dall’origine, un errore dal quale nacque un pregiudizio, l’antigiudaismo, fonte culturale, per la sua parte, qualsiasi essa sia stata, del moderno odio razziale, l’antisemitismo.
Ricerca per identificare l’errore, per riconoscerlo, per rimuovere il pregiudizio, per riscattarsi con la confessione dalla colpa, essendo l’antigiudaismo e l’antisemitismo peccati contro Dio e contro l’umanità.
Cosa buona è l’ansia di chiarimento della identità della fede cristiana; cosa buona è la riflessione rivolta ai credenti perché eliminino errori e pregiudizi e approdino alla verità; cosa buona è la denuncia degli errori nell’interpretazione dei testi dell’origine, che non potrebbero essere sacri se contaminati dall’errore; cosa buona è il riconoscimento che, a causa dell’errore e del pregiudizio, i cristiani non hanno fatto tutto ciò che avrebbero dovuto fare contro il nazismo e, aggiungo io, contro il fascismo.
Tutto ciò riceviamo ed accettiamo con animo grato, ma nella ribadita consapevolezza che sarebbe errore ancora più grave affievolire che la strada per raggiungere traguardi di vera giustizia, di diffusa e di consolidata pace per la definitiva vittoria non solo sui pregiudizi ma sui risultati pratici dei pregiudizi medesimi, le violenze e i crimini, è ancora molto molto molto lunga. Le riletture e le riflessioni sul Nuovo Testamento, che sciolgono l’intreccio tra teologia e politica, che separano la teologia dai fatti storici, che distinguono, nell’intreccio del potere degli uomini, i momenti della fede da quelli dell’azione, sicuramente servono per la purificazione della memoria cristiana e con il riconoscimento della colpa introducono, correlativamente, la giustizia della riconciliazione e del perdono; ma sottolineano anche che non vi può essere remissione né di peccati né di delitti, che non vi può essere riconciliazione senza riconoscimento delle responsabilità storiche.
E poiché l’antigiudaismo fu cultura della versione moderna dell’odio razziale, non ci si può dimenticare che l’antigiudaismo e, quindi, l’antisemitismo non furono soltanto pregiudizio, ma furono leggi, spoliazioni, riduzioni degli uomini a cose, lutti, lacrime, massacri. Il tempo del perdono e della riconciliazione per le responsabilità storiche è, dunque, ancora lontano. Anzi, viviamo tempi ipocriti e mistificatori, nei quali si immergono troppe volte anche uomini di cultura e persino delle istituzioni repubblicane e democratiche.
Da più parti ci si affanna a pungolare la cultura laica, la politica laica, gli uomini delle ideologie più o meno tramontate e gli uomini del pragmatismo di ogni tempo perché tutti, ciascuno per conto suo e tutti insieme, coralmente, proclamino la colpa delle loro idee, badiamo bene, non delle loro azioni.
Nel giorno di tutti i Santi, al Cimitero di Musocco a Milano è accaduto qualche cosa di simile, che si è risolto, nella sua sostanza, in una pratica laica di revisionismo storico, che tutto equipara, che ogni responsabilità storica cancella sulla base di una malintesa pietà per i defunti, che tutto cancellerebbe, anche le responsabilità per le azioni delittuose contro gli uomini e contro le istituzioni. Il 1° novembre è il giorno di tutti i Santi, non quello di tutti gli uomini, qualunque cosa essi abbiano fatto. È lontano il tempo del perdono perché è lontano il tempo del riconoscimento delle responsabilità storiche e perché, ancora oggi, si opera per evitare tale riconoscimento, battendo le strade dell’ipocrisia e della mistificazione.
Oggi, sino ad oggi, è stata condannata soltanto la persecuzione ebraica come delitto, ma neppure questa condanna è sufficiente, perché, con essa, debbono essere condannate come delitto tutte le persecuzioni indistintamente, compresa la persecuzione politica. E ciò che accade nel nostro tempo lo impone, perché le persecuzioni continuano, e milioni e milioni di uomini a causa di esse perdono la vita, come narrano gli orrori di Pol Pot, del Ruanda, della Bosnia, dell’Algeria. Esistono tante persecuzioni quanti sono gli interessi degli uomini e quante sono le loro avidità, di denaro o di potere. Questa è la lezione della storia: che tutte le persecuzioni debbono essere combattute e tutte insieme, e, massimamente, la persecuzione politica che delle altre si avvale. Non esistono vittorie separate e nessuna persecuzione sarà mai vinta se altre ne sopravvivono.