La relazione di Gianni Araldi
Sono stato invitato a presentare una relazione sul campo Dora. Ho accettato perché è la prima volta che se ne parla in 50 anni, anche se è per me un compito molto difficile. La storia del campo Dora sta diventando interessante in ambito europeo. Perciò invito la nostra Associazione a prenderne in mano la situazione. Non si può più restare alla finestra, perché altri Paesi da oltre due anni stanno lavorando seriamente su questa storia. Quello di Dora è l’unico campo di sterminio che è stato tenuto segreto per oltre 50 anni. Come mai un complesso enorme com’era questo campo, che, dopo essere diventato indipendente da Buchenwald, aveva sette sottocampi e 32 comandi di lavoro, è stato ignorato per tanto tempo? Secondo dati statistici ufficiali c’erano al Dora 34.521 prigionieri, compresi i sette sottocampi. La prima volta che si è parlato di Dora è stato attorno al 1963, quando la Germania aveva stanziato un indennizzo per i deportati politici dei Kz. Il Dora non era compreso nelle liste degli aventi diritto. Con la preziosa collaborazione dell’ex segretario nazionale Giovanni Melodia ed anche del nostro presidente con un lavoro di circa due anni e grazie alle documentazioni originali del Dora in mio possesso (uniche esistenti), sono riuscito a far riconoscere dalla Croce Rossa Internazionale di Ginevra e da quella di Arolsen Dora come campo di sterminio. Io non sono un deportato politico. Faccio parte di quei 600.000 militari prigionieri di guerra internati, e di quel migliaio e poco più di sfortunatissimi, che sono finiti al Dora. Come socio Aned (che non ho mai voluto tradire), per diverso tempo sono stato com-pletamente ignorato e il mio inserimento è stato un po’ difficile. Nemmeno i 19 raduni, che abbiamo organizzato a Salsomaggiore, sono stati sufficienti a smuovere le acque in campo nazionale. Si è continuato ad ignorare la nostra situazione, nonostante questi raduni non siano stati svolti in sordina. Anzi, ci sono state delle grandi manifestazioni. Nei 19 anni di manifestazione e in tutte le mie partecipazioni alle assemblee, ai Consigli e Congressi nazionali, eccetera, non ho mai incontrato un ex deportato politico superstite di Dora, tranne quei tre che frequentano i nostri raduni. Mi sapete spiegare voi questo fatto? Io non sono riuscito a capirlo. In 50 anni non ho capito come mai un deportato politico del Dora non si è mai presentato come deportato politico. Noi organizzatori dei raduni a Salsomaggiore abbiamo avuto grandi soddisfazioni dalle autorità, dai cittadini, ospiti e dalle giovani leve studentesche. Noi crediamo di aver raggiunto ottimi traguardi, pur essendo tutti semplici soci. Sottolineo ex militari. Perché solo noi possiamo vantare un assoluto primato, perché presentiamo da oltre 30 anni la storia del campo Dora, mentre tutti cercavano di ignorarla. La mia lunga attività è dovuta un po’ alla mia testardaggine e alla mia assoluta convinzione che, presto o tardi, il campo Dora doveva emergere come campo di sterminio e passare alla storia come fabbrica bellica più importante della seconda guerra mondiale. Tutte le massime gerarchie militari te-desche, comprese quelle dei militi delle SS, puntavano sul Dora, cioè la fabbrica della morte dove veniva costruita la famosa e micidiale V2 per la “vittoria finale” della Germania. Perché, se partiva la V2, Hitler aveva già in mano la vittoria. Ricorderete la relazione tenuta durante il Congresso nazionale a Prato dal delegato francese del Comitato internazionale di Dora Mittelbau. Il delegato francese aveva detto: “Tutti gli scienziati, gli ingegneri, che hanno lavorato e che lavorano ancora oggi ai progetti spaziali e allo sviluppo dei razzi sanno in quale condizione la partenza di questa tecno-logia ha avuto luogo”. Negli Stati Uniti ci sono state delle istruzioni ufficiali, che vietavano di parlare delle condizioni nelle quali i razzi V2 erano costruiti, perché Von Braun è uno dei padri della NASA e gli dobbiamo la conquista dello spazio e della luna. Anche i russi hanno usato questi scienziati ed ingegneri, ed ho saputo recentemente che anche il razzo Ariane è stato costruito con l’aiuto di questi ingegneri tedeschi, che l’esercito francese aveva raccolto alla Liberazione. Le autorità tedesche hanno creato per conservare la memoria dei campi di concentramento di Buchenwald, di Dora, una Fondazione. Questa Fondazione ha alla sua testa un Consiglio di amministrazione, che è presieduto dal ministro delle Scienze e della Cultura dello stato federale di Turingia. Questo organismo si circonda dei pareri dei Consigli, e riconosce l’indipendenza del campo Dora in rapporto a quello di Buchenwald. Questo risultato, che prima non era stato raggiunto, è dovuto agli sforzi del Comitato europeo e in particolare ai nostri compagni Mialet, Brown; oltre che a molti altri compagni belgi ed olandesi. In tutti i bollettini che ricevo non si parla mai, mai, di un italiano. Il secondo bollettino del ’96 riporta il discorso di Ètienne Lafont, tenuto davanti all’ ingresso del tunnel di Dora a studenti universitari. Perché c’è lo Sputnik? Com’è andato l’uomo sulla luna? E Ariane? Tutti questi razzi derivano dalla V2, che veniva concepita in questo tunnel, che veniva costruita in questo tunnel e concepita – pensate, così dice il bollettino – “dalla SS Von Braun-“e realizzata a colpi di ecatombe. È per cancellare questa storia scandalosa che i nomi di Dora e dei suoi Comandi furono radiati dalla storia, occultati. In questo periodo ho potuto capire che questo Comitato europeo sta lavorando seriamente e con grande impegno. Perciò mi sono sentito in dovere di ritirare le mie dimissioni ed offrire piena collaborazione, perché ritengo di essere uno dei pochissimi superstiti di Dora ancora vivi e che ancora oggi aggiornatissimo e documentato. Gli americani, i russi, i francesi avevano tutti un buon motivo di tener segreto questo campo perché dal Dora hanno pre-levato progetti, scienziati e ingegneri tedeschi per poterli sfruttare per la conquista del-lo spazio e lo sbarco sulla luna. L’Italia è l’unico paese che non aveva interessi del genere e, nonostante tutto, ha concorso a fare ignorare a tutti gli italiani questa importantissima pagina di storia. Perché non ne hanno mai parlato? Dopo aver ascoltato una minima parte di questa storia, che ne pensate? E come giudicate quei cervelloni che conquistarono lo spazio, lo sbarco sulla luna e sono stati osannati in tutto il mondo, sapendo che quei cervelloni operavano per Hitler, impegnando tutto il loro intelletto per consegnargli quella micidiale arma segreta che avrebbe spianato Londra e distrutta tutta l’Europa? A mio avviso sono stati commessi degli errori, ne abbiamo commessi anche in Italia. In tutte le assemblee, manifestazioni, Consigli e Congressi nazionali ognuno presenta la propria storia del campo, e le proprie attività di sezione, ignorando spesse volte tutto il resto che ci circonda. Così facendo si è inculcata nella mente degli italiani la convinzione che i campi di sterminio in Germania erano soltanto quei 6 o 7, che ancora oggi si continuano a presentare. Questo errore ha portato, specialmente a noi, una situazione difficile: non potevamo mai pronunciare il nome del campo Dora perché eravamo considerati dei fanfaroni reduci dalla prigionia. E su questo io posso portare decine e decine di esempi. Noi abbiamo dovuto metterci in letargo – questa è la parola giusta – perché nessuno ci credeva e nessuno ci considerava. Prima di chiudere mi sento in dovere di ringraziare chi mi ha aiutato e mi ha seguito in questi 50 anni, l’ex segretario nazionale Giovanni Melodia, la carissima e compianta Ada Buffulini e il nostro presidente nazionale avvocato Maris, che, per essere stato a Salsomaggiore una volta sola, ha capito il nostro impegno e si è subito interessato a noi. Grazie.
La risposta di Italo Tibaldi ad Araldi
Proponiamo allo Stato Maggiore
un convegno nazionale su Dora
Ringrazio Araldi per questo intervento. Io sono stato a vedere Dora. Sono andato a vedere le gallerie e mi sono convinto che è una traccia assolutamente importante. Non era la stessa cosa di Ebensee anche se gallerie erano anche quelle. La VI e la V2 erano un’altra cosa decisamente. Non avevamo, forse, neanche noi bene in mente il quadro. Io sento questa amarezza di Araldi e la capisco anche in funzione del fatto che, ripeto, per un militare I ‘atteggiamento di non riconoscimento – lo dico serenamente – è partico-larmente grave, soprattutto perché questo riconoscimento non è mai venuto neanche dalla parte militare. Araldi dice “Io non sono un politico “, però questa attività politica l’ha fatta nel momento in cui è rimasto a Dora, quando, forse, una scelta diversa avrebbe dovuto portarlo da altre parti. Quindi, questo mi pare che sia un riconoscimento che gli dobbiamo. Ora, caro Araldi, non siete più soli. Il nostro rapporto internazionale col campo Dora, con il Museo, con l’archivio, con i funzionari, con la direttrice di Dora, l’abbiamo creato direttamente. L’ha creato l’Aned, per la circostanza era l’Aned di Torino, caro Maris, ma è una casualità. Io ho esaminato la documentazione; mi sono messo a fare passare tutto l’archivio e ho scoperto che, dei 1.600 nomi circa, 800 erano militari, gli altri erano anche dei politici. Alcuni sono giunti direttamente lì, altri invece arrivavano da Buchenwald. Oggi i politici transitati a Dora ancora in vita sono solamente 6 o 7 e, però, chiaramente noi dobbiamo tener conto di queste indicazioni. Parlo di superstiti, di deportati a Buchenwald, che sono transitati a Dora, tuttora viventi. Adesso si tratta di andare avanti, anche sollecitando la componente militare. Io credo che noi possiamo andare ad un Convegno su Dora, da tenere naturalmente a Salso-maggiore, auspicando che ad esso assicuri la propria partecipazione l’ ufficio storico dell’esercito. Lo stato maggiore dell’esercito deve poter rispondere anche a questi militari della loro carenza, che non è solo la nostra. Grazie.