La relazione di Italo Tibaldi  
 
Io sarò brevissimo per Mauthausen perché credo che Mauthausen non abbia bisogno di una mia relazione. La relazione migliore su Mauthausen è quella che fate tutti voi quan-do siete presenti alle manifestazioni che si tengono annualmente al campo. Questa non è demagogia; è un modo per dirvi con affetto quanto sia importante essere presenti a que-ste manifestazioni. Si è iniziato con Ebensee e adesso siamo lavorando ad una mostra nel tunnel. Stiamo lavorando su Melk, anche qui con qualche successo. Siamo presenti, direi, ormai massicciamente a Mauthausen. Ci sono importati progetti di gemellaggio che possono costituire un significativo momento di incontro. Stiamo andando, credo, al ricupero di Harteim raccogliendo le sollecitazioni che sono venute anche da alcune sezioni nostre, che naturalmente ci siamo preoccupati di trasferire al Comitato internazionale. In particolare abbiamo chiesto al ministero degli Interni austriaco che su Harteim si faccia chiarezza, perché non è possibile continuare ad avere le famiglie che vivono in quel luogo sacro alla memoria di tanti caduti innocenti. Abbiamo molto rispetto per tutti; difficoltà ci sono, ma ci pare che non sia neanche per loro dignitoso poter rimanere in un luogo che fu così tremendo. Quindi, una soluzione dovrà pur essere trovata. In generale a me pare che la situazione austriaca, che si andava deteriorando (di questo mi pare che tutti ce ne eravamo accorti), aveva anche lasciato intendere a chi aveva orecchie che qualcosa di nuovo si presenta anche a proposito del futuro del campo di Mauthausen. È un destino che interessa tutti noi, che vogliamo che questo campo sia trattato nel modo dovuto. Noi abbiamo chiesto con vigore, nelle sedi opportune, che si cominciasse a pensare che il discorso della sorveglianza del campo è importante, ma che la sorveglianza si può fare con organi di polizia mentre invece, quella che è la storia del campo, la cultura del campo (scusate se io parlo di cultura del campo, ma lo dico in termini di conoscenza profonda di quello che è successo) possono essere tutelate soltanto in un rapporto diverso con il ministero della Cultura. Devo dire che il prof. Enzo Collotti con me – lui principalmente, con quella capacità interpretativa che ha – ha saputo dare oltre che il tono la musica, come si dice, e anche l’impostazione giusta per cercare di ottenere i risultati che ci eravamo prefissi. Al momento mi pare che non siamo ancora nella condizione di dirci soddisfatti. Anzi. Notiamo che la componente austriaca si sta chiudendo, quasi pensasse in cuor suo che in fondo il campo di Mauthausen è un problema interno agli austriaci. Be’, noi abbiamo chiaramente molto rispetto per i compagni austriaci che furono internati nel campo; ci rendiamo conto delle difficoltà obiettive che incontrano; ci rendiamo conto che, dopo i risultati delle ultime elezioni, i problemi sono aumentati; eppure continuiamo a pensare che quello non sia il modo migliore di procedere, perché vorrebbe dire isolarsi dalle altre componenti proprio nel momento in cui invece si avrebbe bisogno del massimo dell’unità e della coesione. C’è una grossa preoccupazione, dunque. Tutti vorremmo capire un po’ meglio che cosa sta succedendo in quel paese. La nostra apprensione nasce anche dalla considerazione che Mauthausen è uno dei campi principali che visitiamo, con Dachau. Per questo vorremmo avere risposte molto più confortanti. Non possiamo certo limitarci ad andare ogni anno in visita al campo disinteressandoci di quanto avviene intorno. Cosa voglio dire con tutto questo? Che alla “solita” manifestazione, alla “solita” ricorrenza dobbiamo collegare assolutamente dei momenti di ricerca. C’è gente, tra noi, che non ha mai parlato e non ha mai trovato un giovane che ha saputo porgli, forse, una domanda nel modo giusto. Forse noi stessi non abbiamo saputo trovare i giovani che potevano essere in condizione di farci queste domande. Io credo che vada fatto un passo avanti. A Dachau mi pare stiano lavorando nella direzione giusta, con l’idea di una specie di luogo di incontro (c’è anche una giovane italiana che partecipa), un momento importante di socializzazione. Però a Mauthausen noi siamo abbastanza esposti, perché se prendiamo i Lander e li verifichiamo con i risultati delle recenti elezioni, forse ci facciamo un quadro di come sta oggi il Salisburghese, di come sta oggi la zona di Linz, di come sta la zona di Graz e come quindi stanno il campo ed i sottocampi di Mauthausen. Ebensee è nel Salisburghese, non è da un’altra parte. Allora, io direi che ormai sia-mo tutti d’accordo nel privilegiare il canale dei rapporti con i giovani locali e con le istituzioni locali, a cominciare dalla scuola. Questo è un orientamento che noi abbiamo già assunto a Prato, devo dire con grande preveggenza. Adesso però bisogna che cominciamo a valutare se è sufficiente soltanto portare i ragazzi in visita ai campi, o se non dobbiamo ancora fare un’azione più profonda a monte. In fondo la mia proposta è molto semplice. Io chiedo che l’Aned, con gli opportuni accorgimenti che il prof. Collotti ci dirà, e con la capacità di Maris di cogliere queste esigenze, proponga un incontro al ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer, per un confronto con il ministero attorno all’insegnamento della storia contemporanea nelle scuole italiane. Questa è la prima proposta. Chiaramente, questo non significa che noi abbiamo soltanto il problema di Mauthausen, perché per andare a Mauthausen gli italiani sono partiti da Fossoli, sono partiti da Bolzano; per andare ad Auschwitz sono partiti da Borgo S. Dalmazzo, o dalla Risiera di San Sabba. Ecco allora davanti a noi il problema dei cam-pi in Italia, e della ricerca storica. Noi tutti siamo consapevoli che la storia della deportazione non può più essere fatta soltanto così, come testimonianza orale, che pure è importante. Va corredata dalla ricerca che gli storici devono avere il coraggio di affrontare. A questo proposito vorrei esprimere, quindi, un ringraziamento a Enzo Collotti per il suo impegno. E voglio dire che Collotti deve avere la bontà di dire ai suoi colleghi e a quanti hanno sensibilità ed orecchio per queste cose che noi siamo disponibili a fare ancora uno sforzo, per la capacità che abbiamo, ma che non possiamo essere soli, se vogliamo colmare il ritardo oggettivo della cultura italiana su questo tema. Grazie.