La relazione di Bianca Paganini
Io per prima cosa voglio ringraziare e la Presidenza e le compagne perché mi hanno designato a sostituire Lidia Rolfi nel comitato internazionale di Ravensbrück. Un incarico che io ho accettato ben volentieri, per il quale però ho avuto come compagna Vanna Mas-sariello, che è figlia di una nostra compagna di Ravensbrück. Io ho preso questo impegno e cercherò di portarlo in fondo con lo stesso entusiasmo con cui lo portava Lidia. Il campo di Ravensbrück. È inutile che io ve ne faccia la storia. Però, è un campo che ha parecchi problemi. Prima di tutto perché, fino a poco tempo fa, del campo erano liberi soltanto il muro perimetrale, i forni crematori e l’edificio nel quale erano le celle e i bunker di punizione. L’altra parte del campo, cioè la grande maggioranza del vecchio Lager, era occupata – mi hanno detto – dai russi, i quali occupavano anche il campo vicino, quello dove noi eravamo: Il campo Ravensbrück e Siemensee e il campo della sartoria. Oggi questa parte del campo è stata liberata da chi ancora lo occupava. Perciò adesso il Comitato si deve preoccupare di tutelare tutto l’insieme, restituendo di nuovo tutta l’area del Lager a una dimensio-ne unitaria, capace di dare a tutti i visitatori l’impressione esatta non soltanto della sua vastità, ma anche del numero enorme di persone che vi erano internate e, soprattutto, il numero grandissimo delle baracche che sorgevano nell’area. Perciò il campo, secondo il Comitato internazionale, deve essere non solo completamente ripulito dall’erba -e mi hanno assicurato che questo è già stato fatto – ma in qualche modo ridisegnato, in modo da indicare con precisione l’ubicazione delle vecchie baracche, così come avviene a Dachau e a Buchenwald, in maniera tale da dare proprio l’impressione dell’affollamento del campo. Secondo noi il campo deve comprendere l’area del campo Siemensee, quella del campo della sartoria e il complesso delle ville costruite dai prigionieri che servivano d’alloggio alle SS. Tutto questo complesso deve essere gestito dal Comitato internazionale di Ravensbrück. È perciò un onere non indifferente anche perché il Comitato non ha molti soldi. Ci hanno assicurato che il contributo che lo Stato darà sarà piuttosto elevato. Speriamo perciò di riuscire a fare tutto. Tra l’altro, c’è anche la discussione delle famose ville delle SS che sorgono sopra la strada delle Nazioni, quella che costeggia il lago. Queste case, che sono state costruite dai prigionieri, sono fonte di discussione perché il Land del Brandenburgo non le vuole restaurare perché dice che questo intervento sarebbe per lui troppo oneroso. D’altra parte, il Comitato internazionale di Ravensbrück rifiuta di mettere a posto lui queste case, per il semplice motivo che tutto il territorio è di proprietà del Land del Brandenburgo. Francamente non so come si attiverà il Comitato Internazionale per riuscire a dirimere questa questione. Tra l’altro in queste case il Comitato tedesco vorrebbe mettere una casa di incontro per la gioventù tedesca. E anche questo è fonte di una certa quale discussione nel Comitato internazionale, perché, se è giusto che ci sia un posto dove i giovani tedeschi possano andare vicino al campo a discutere, è vero che anche gli altri giovani europei dovrebbero avere il loro spazio per potere parlare della deportazione. Perciò ancora è piuttosto incerto quello che si deve fare. Tra l’altro, poi, le tedesche avrebbero voluto che a dirigere questa casa della gioventù ci fosse una ex soldatessa. La cosa è stata decisamente respinta. Per il resto si sta costruendo un museo: i lavori in una fase sono piuttosto avanzata, e la direttrice del museo è una donna veramente squisita, di una grande capacità professionale, oltre che di una grande disponibilità. Nel museo si dà notizia anche di un certo numero di cadute italiane. Però, man mano che andiamo avanti nel-la ricerca, scopriamo che altre donne sono morte nel campo, il cui nome finora è rimasto sconosciuto. Perciò bisognerà ancora allungare e riprendere di nuovo in mano la lista, in maniera tale da potere aggiornare per quanto possibile e nella migliore sincerità possibile la lista delle nostre compagne decedute. Tra l’altro, ancora, vicino al campo di Ravensbrück abbiamo scoperto un campo maschile, il campo di Bart. Io stessa non lo conoscevo, e credo che neanche le mie compagne sapessero l’esistenza di questo campo maschile. Un nostro compagno spezzino che ora vive in Inghilterra mi ha mandato una lunga lista di prigionieri provenienti dal campo di Dachau che sono stati portati a questo Bart, che si dice fosse un campo terribile, nel quale la maggior parte i deportati sono morti. Ora, perciò, bisognerà vedere se anche gli uomini dovranno essere uniti all’elenco delle donne cadute oppure se nel campo di Bart faremo una cosa particolare, una cosa a parte. Questa è su per giù la situazione del campo di Ravensbrück. Il Comitato Internazionale ha promesso di tenerci sempre aggiornate e speriamo che questo sia fatto, in uno spirito di collaborazione tra noi e loro. Ora, però, vorrei rivolgermi alla Presidenza. Noi a Ravensbrück abbiamo una cella, che è stata sistemata da poco, e che ancora non è stata ufficialmente inaugurata. Io propongo di organizzare in occasione dell’inaugurazione un pellegrinaggio che coinvolga tutte le sezioni. La manifestazione non deve essere organizzata in un periodo in cui già ci sono le celebrazioni di Dachau e di Mauthausen perché, altrimenti, ci si troverebbe coinvolti in troppi appuntamenti, con una deleteria sovrapposizione di date e di commemorazioni. La liberazione del campo la si celebra il 25 di aprile, ma forse sarebbe meglio se noi il nostro pellegrinaggio lo facessimo o prima o un bel po’ dopo, cioè verso la fine di maggio, in maniera tale da poter concentrare su Ravensbrück il maggior numero di ex deportati possibile per rendere omaggio a quelle 500 donne italiane che sono morte lassù.