Io credo che la mia relazione si collochi in un rapporto diretto e immediato con la relazione del prof. Enzo Collotti. Una relazione, sulla quale noi dovremo molto meditare perché è di altissimo valore. Come tutte le illuminanti riflessioni di carattere storico-culturale, può costituire per noi una guida preziosa nel nostro agire politico e culturale. Intanto, forse, è bene chiarire il significato del nostro ordine del giorno: “Per quale democrazia ?”In effetti abbiamo, nel marzo di quest’anno, sviluppato tutti insieme una riflessione. Alla vigilia delle elezioni quel “Per quale democrazia?” voleva dire anche per chi votare. Era, cioè, un modo di rinverdire quasi un impegno diretto, vorrei dire politico, degli ex deportati politici e dei familiari dei caduti. Oggi “Per quale democrazia ?” vuol dire: per quale democrazia dobbiamo operare? Che cosa dobbiamo fare? Che cosa dobbiamo dire? Sottolineo il valore di questa impostazione perché qualcuno potrebbe pensare ad un mutamento di indirizzo, un mutamento di fondo dell’attività dell’Associazione. Noi abbiamo alle spalle 50 anni di attività di ricerca, di studio, di allestimento di mostre, di viaggi nei campi con i ragazzi e con i professori: un’attività squisitamente culturale. Si potrebbe pensare invece ad un trasferimento o a un ritorno, quasi impossibile e velleitario data la nostra età, a una diretta e immediata azione politica. Non è propriamente questo il nostro intendimento perché evidentemente è vero che all’età media dei nostri soci si addice di più il silenzi o o la riflessione intima, che non la loquacità e l’esternazione. A noi si addice più il De senectute di Bobbio che non un’azione politica tout court. E, però, Bobbio scrive il De senectute e dice “lo scelgo il silenzio”, però parla. Ecco, io vorrei dire “Facciamo anche noi così”. A noi si addice il silenzio, però riflettiamo e parliamo e diciamo quello che pensiamo. Parliamoci chiaro. Noi viviamo in una società dove l’essere equivale all’apparire. Se non apparisci, non sei. E, allora, se vuoi fare un’attività culturale e vuoi che gli altri ti prendano in considerazione, devi anche essere qualcuno che può dire “Non sono d’accordo” o “Sono d’accordo”. lo ho visto che anche l’Anpi, in un’ultima riunione che ha tenuto a Milano alla presenza di Boldrini, ha cominciato ad orientarsi su questo terreno; terreno sul quale da tempo, da tempo e da tempo io spingo. Noi dobbiamo apparire e discutere anche di questioni politiche e vedere di trovare un canale per farci ascoltare. Dobbiamo continuare le nostre ricerche, dobbiamo fare i viaggi, dobbiamo pubblicare i giornali, dobbiamo dibattere ed indurre a dibattere, insistere per lo studio; organizzare mostre e tutto il resto, però dobbiamo anche esistere come Associazione, che ad un certo punto può dire o scrivere o fare un comunicato stampa dicendo che non è d’accordo su quello che avviene – che so io – nel campo della scuola, che è d’accordo o non è d’accordo su quello che avviene in altri campi politici, sul piano della finanziaria piuttosto che sul piano di altre questioni politiche. Ecco, questo è il significato di fondo di questa nostra riunione. Partiamo dai fatti perché ogni riflessione non può trovare, per essere valida, premessa migliore che i fatti. Qual è la fenomenologia politica alla quale noi assistiamo? La fenomenologia dell’agire politico oggi nel nostro paese? Una somma quotidiana infinita di esternazioni individuali. Noi al mattino ci alziamo, sentiamo la radio per sentire cosa ha detto Tizio, Caio o Sempronio e, addirittura, è venuta vanificandosi completamente la nostra capacità di Previsione, perché tu, se sei uomo di radici di sinistra, senti ad un certo punto uno di sinistra che dice delle cose che, se le avesse dette quello di destra, le avresti anche capite. Poi, invece, senti quello di destra che dice delle cose di sinistra. Nell’ambito del medesimo schieramento politico due che dicono due cose contrapposte e diverse fra di loro. Abbiamo una prospettazione di idee non meditate e non supportate da progetti, ma sono, così, estemazioni vaghe, che per la loro vaghezza determinano ulteriore scontro e contrasto. Abbiamo una generalizzazione del conflitto e dei contrasti sulla Bicamerale, uno scontro sul metodo che addirittura dimostra come egualmente, attraverso il metodo, si vuole portare avanti fino alle ultime e estreme conseguenze, una presa di posizione sul merito della cosa. Intervengono anche e vengono rievocati gli spettri. Arriva Cossiga per dire che, invece della Bicamerale per le rifonne, ci vuole la Costituente. Hai poi gli oscillanti: Segni che non sai mai se sia di destra o sia di sinistra, se voglia la Costituente o voglia la Bicamerale. E così in ordine ai magistrati, che devono andare a fondo, che devono essere molto severi. Le separazioni delle carriere: e chi dice di sí e chi dice di no, anche nell’ambito di uno stesso schieramento. La vicenda dello stato sociale, la sua rilettura o la sua trasformazione o modificazione. Necessità profonda, ma che crea anche questo spaccature. E col per il contenuto delle riforme dello Stato. Presidenzialismo: noi ne parlammo anche nel marzo scorso. Presidenzialismo all’americana, semipresidenzialismo alla francese, con potere di scioglimento della Camera, con necessità o no d i avere l’investitura, il cancellierato, eccetera. Ecco, questa situazione è veramente, secondo me, pericolosa, perché può portare ad una disaflezione totale. Poi, il revisionismo culturale, che si intreccia con questa situazione, può contribuire a creare disaffezione per la stessa democrazia. Ecco, noi possiamo tacere in situazioni di questo genere? Ora è tempo di bipolarismo. Per una serie di vicende, che sono nate con il dissolvimento dell’Unione Sovietica, con la riunificazione delle due Germanie, con il dissolvimento o la trasformazione dei Partiti comunisti, abbiamo superato il tempo e la stagione delle intese contingenti, del centrosinistra, del tripartito, del quadripartito, (quello che per 40 anni abbiamo conosciuto) e siamo entrati nel bipolarismo. Il vecchio sistema funzionava con certe regole: le regole di un Parlamento che aveva accentuato certe possibilità di presenza dell’opposizione, come garanzia, in un patto fondamentale, escludendo certe altre forze politiche. Adesso con il bipolarismo, invece, tutte queste regole non sono più sufficienti. Il mondo è diviso in due. L’Europa è divisa in due. L’Italia è divisa in due, culturalmente e politicamente, in un bipolarismo, però, ingovernabile, perché non ci sono regole. I poli, poi, al loro interno sono anche eterogenei, per cui l’attività faticosa all’interno di ciascun schieramento – anche dell’attuale maggioranza – è quella della mediazione quotidiana. Senza una mediazione quotidiana, non c’è neanche possibilità qi sopravvivenza. E una transizione, è evidente. Però dalle transizioni bisogna uscire. Non si può vivere nella transizione eternamente. Quindi, bisogna uscine, lavorare,costruire. E infantile l’addebito che anche Di Pietro ha mosso: “Il Parlamento non lavora”. Il Parlamento ha strumenti regolamentari, che sono quelli della proporzionale, che sono quelli di un sistema nel quale vi erano accordi contingenti che formavano maggioranze, escludendo le altre e dando, però, più forza a certe opposizioni. Ora resta un’ opposizione con più forza senza strumenti per far funzionare la maggioranza. Non è una questione di:” I parlamentari vanno, stanno; non è che scaldino i banchi. Lavorano, chiacchierano; le Commissioni discutono nella sede delle Assemblee; però, la produzione è una produzione perversa perché guidata da regole che non sono quelle che possono disciplinare il bipolarismo, ma sono regole addirittura opposte e contrarie.