5. Nel panorama contraddittorio, di ombre più che di luci, che ho tracciato finora sicuramente positiva è da valutare l’iniziativa del ministro della Pubblica istruzione Berlinguer relativa all’introduzione della storia del nostro secolo come asse portante dell’insegnainento della storia nell’ultimo anno di ogni ordine di scuola. La carenza dell’insegnamento della storia contemporanea ripetutamente denunciata come anello mancante nel rapporto tra scuola e società, soprattutto per la funzione insostituibile che alla scuola spetta nella formazione civica dei giovani, dovrebbe essere ora fronteggiata con una netta inversione di tendenza. L’intervento del mini- stro è importante sotto vari aspetti. Non è che finora la storia contemporanea non fosse prevista dai programmi; ma nuovo intanto è il fatto che il potere politico avverta l’esigenza di superare il livello burocratico per pronunciare un’opzione precisa e assumere l’apprendimento, della storia contemporanea tra le condizioni essenziali per contribuire alla formazione di cittadini responsabili e consapevoli di una moderna società democratica, informati delle grandi questioni del secolo. Un secolo che è stato definito “buono”, ma che è stato attraversato con inusitata intensità da ideologie totalitarie e guerre di sterminio, da sommovimenti sociali senza precedenti e da odii di razza anch’essi di distruttività senza precedenti. Nuovo è soprattutto, rispetto ai programmi attuali il fatto dell’estensione non solo quantitativa che viene attribuita all’insegnamento della storia contemporanea, da intendere sperabilmente nel senso più ampio, nel quadro più generale della civiltà contemporanea, senza esclusione di alcuna delle sue manifestazioni centrali, la letteratura, le arti, i progressi della tecnica e della scienza. Naturalmente, si tratta di una operazione tutta da costruire, la cui attuazione non sarà automatica, alla luce delle strutture di una scuola che come non è stata in grado sinora di assicurare l’integrazione della storia contemporanea nei programmi esistenti, ancor meno lo sarebbe di assicurare la concentrazione dell’attenzione di un intero anno scolastico sui problemi del Novecento. Basti pensare alla dotazione necessaria della strumentazione idonea per sostenere gli insegnanti nell’attività didattica testi di storia e di storiografia, testi documentari, supporti cartografici, audiovisivi e supporti informatici, per rendersi conto dei compiti e anche degli investimenti che sono richiesti per ammodemare le strutture didattiche e mettere gli insegnanti in grado di assolvere ai nuovi compiti che sono loro richiesti. Ma non è da nascondersi che il problema più grosso è rappresentato dallo stato di prepa- razione degli insegnanti per i quali, tranne una piccola minoranza, i nuovi programmi pongono prospettive di lavoro del tutto nuove, anche a non pensare ai difficili problemi di coordinare il nuovo anno d’insegnamento della storia del Novecento con gli anni precedenti, nei quali si impone un riordino complessivo delle materie d’insegnamento e un ridimensionamento delle attuali partizioni cronologiche e tematiche nell’insegnamento della storia. Il problema è delicato, perché già si sentono resistenze e opposizioni tanto generiche quanto diffuse e pericolose di fronte alle prospettive di un nuovo impegno degli insegnanti: la prima forma di opposizione deriva dalla diffidenza nei confronti di ogni novità, per il fatto stesso che essa scuote ogni posizione di pigrizia, sollecita e impone un atteggiamento di partecipazione attiva a un processo di rinnovamento e di aggiornainento culturale. La seconda opposizione deriva dal preconcetto, diffuso e radicato in molti, che la generalizzazione dell’insegnamento della storia contemporanea possa equivalere ad una politicizzazione dell’insegnamento e ad una sorta di partitizzazione della scuola. Si tratta di atteggiamenti sotto i quali spesso si nasconde soltanto una formna di pigrizia mentale. Ma proprio la presenza di stati d’animo come quelli descritti sottolinea quanto sarà importante e al tempo stesso difficile il compito della formazione e dell’aggiomamento degli insegnanti. Sappiamo anche che questo compito deve essere assolto con garanzie di competenza storica e di correttezza dal punto di vista delle metodiche didattiche. Il fatto che con una recente convenzione il ministero della Pubblica Istruzione abbia riconosciuto lo statuto di agenzia di formazione all’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione risponde alle esigenze ed alle garanzie richieste dal compito dell’aggiomamento degli insegnanti; l’attribuzione di questo compito a quello tra gli istituti storici nazionali che istituzionalmente si è sempre occupato della ricerca storica nel campo della storia contemporanea, acquisendo una larga esperienza anche nel campo dell’aggiornamento e della didattica, è un motivo di fiducia e legittime positive aspettative. Già altra volta accennavo all’importanza che il canale della formazione scolastica ha dal punto di vista della conservazione della memoria. Credo che non sia necessario sottolineare ulteriormente la funzione della memoria come antidoto e difesa contro il dilagare di una visione revisionista degli eventi storici che sono particolare oggetto della nostra attenzione e che sono alla base stessa della nostra formazione culturale e civica. Ma da questo punto di vista non è inutile ricordare e sottolineare che qualsiasi forma di revisioniamo trova il terreno fertile laddove è venuta meno la memoria ed è stato coltivato l’oblio, quale che sia la ragione per cui questo è avvenuto, o dove, per carenze culturali o per convenienze politiche, si aprono circostanze favorevoli all’accettazione delle grandi e sommarie semplificazioni che in genere e indissolubilmente accompagnano i teoremi revisionisti. Non è né con l’ignoranza né con l’equidistanza che si fronteggia una cultura che tende all’omologazione delle posizioni e che nella ricerca del consenso tende ad appiattire le differenze, proiettando una riduzione interpretativa di questa natura anche sul passato. Una lettura del passato che non renda conto degli scontri e delle divisioni che hanno attraversato la nostra storia e la nostra società non implica se il pericolo di un grande impoverimento culturale, è anche uno strumento negativo dal punto di vista della riconoscibilità delle radici del nostro presente, della riconoscibilità delle matrici storiche, politiche e culturali dei valori dei quali si è nutrito il patrimonio della Resistenza e contro i quali hanno infierito il fascismo e il nazi- smo. La storicizzazione del ruolo delle parti in conflitto non può e non deve comportare alcuna confusione; nessuna conciliazione può avvenire sulla base di una equivoca e antistorica imparzialità. Solo preservando una memoria che, tenendo conto delle ragioni di tutte le parti in lotta, come è nello statuto della critica storica, non abdichi alla rivendicazione dei contenuti ideali propri della tradizione democratica e resistenziale sarà possibile rinnovare anche per il futuro una base di consenso fondata sui valori della libertà, della democrazia repubblicana e della responsabilità sociale.
Enzo Collotti