Inaugurato al termine delle manifestazioni del Cinquantesimo

Un ricordo dell’ex prirnario dell’allora sanatorio. La violenza delle brigate nere di stanza a Bollate
In chiusura del cinquantesimo della Liberazione è stato inaugurato un monumento all’ingresso dell’ospedale di Carbagnate Milanese (ex sanatorio) che descrive l’arresto, le torture, le condanne e la deportazione nei Lager di sterminio nazisti di medici ed infermieri, arrestati nel novembre 1944, dalle SS e brigate nere di stanza a Bollate.
Così li ricorda il prof. Luigi Cogo, ex primario dell’ospedale allora in servizio in sanatorio, il 17 novembre 1984 in occasione del 40° anniversario di quegli eventi.
“Tutto cominciò nella mattinata del 3 novembre quando si presentarono in ospedale alcuni appartenenti alla brigata nera di stanza a Bollate, i quali perquisirono l’ufficio e il domicilio del capo infermiere Arialdo Bianchi e portarono alla caserma di Bollate lui e il vice capo Giovanni Gianetti. Contemporaneamente venivano arrestati il capo disinfettatore Emilio Lattuada e l’infermiere Beniamino Ortolani. I due capi infermieri furono rilasciati il giorno dopo, mentre il Lattuada e l’Ortolani furono trasferiti a S. Vittore, dopo una serie di percosse e di violenze, e successivamente inviati nei campi di sterminio tedeschi. Il Lattuada mori nei giorni in cui terminava la guerra, l’Ortolani poté tornare in patria ma gravemente minato nel fisico morì poco dopo”.
“Nella notte del 14 novembre le brigate nere tornarono in ospedale ed arrestarono la dottoressa Osvalda Borelli, aiuto primario. Portata nella caserma di Bollate fu crudelmente seviziata fino ad essere gettata a terra e calpestata, così da riportare numerose lesioni. Il giorno dopo brigatisti neri e italiani delle SS bloccarono tutto l’ospedale e procedettero all’arresto del dottor Lionello Ribotto, aiuto primario e dell’infermiere Luigi Mantica in servizio al centralino telefonico, proseguendo poi nell’interrogatorio di numeroso personale medico, arrestarono il dottor Angelo Pasquale, il dottor Mario Gandini, consulente laringologo, il capo infermiere Arialdo Bianchi mentre, nel suo domicilio di Milano veniva arrestato il primario Virgilio Ferrari”.
“Tutti gli arrestati furono sottoposti a trattamenti violenti, solo il prof. Ferrari fu rispettato, forse per l’imponenza fisica e morale della sua figura, forse perché egli affermò subito di essere sempre stato antifascista. Trasportati alle carceri milanesi furono poi avviati al campo di concentramento di Bolzano. Quasi tutti ebbero la fortuna, se tale si può dire, di rimanere nello stesso campo fino al termine della guerra, probabilmente perché essendo tutti specialisti nella lotta contro la tubercolosi, furono trattenuti per impedire un’eventuale epidemia della malattia. Il solo dottor Pasquale fu inviato al Lager di Flossemburg e di lui non sapemmo più niente, uno dei tanti che “passarono per il camino”. Era un giovane pugliese entusiasta, dinamico, pieno di vigoria fisica, bastarono pochi mesi di Lager per condurlo alla morte”.
“Particolarmente penoso fu il caso dell’infermiere Mantica. Era un uomo di mezza età, buono, generoso, sempre disponibile per tutti. Portato a Bollate, fu torturato a lungo perché essendo egli di servizio quel giorno al centralino telefonico, i brigatisti neri erano persuasi che fosse al corrente delle telefonate fatte con i partigiani. Dopo tre giorni ci fu riportato il suo cadavere col divieto di esaminarlo e con l’affermazione che si era suicidato: io riuscii però ad esaminare il cadavere e rilevare che Mantica era deceduto per impiccagione e che su tutto il corpo c’erano lividi ed escoriazioni provocate da percosse ricevute. Pensate a cosa dovevano essere stati quei tre giorni per un uomo così mite e così buono lasciato solo in balia dei suoi aguzzini”.
“Diversi sono stati i casi dei dottori Porcelli e Ziliotto: il primo era stato in servizio nel nostro ospedale negli anni precedenti, ma si era già dimesso quando scoppiò la guerra. Avendo aderito al movimento partigiano, il suo corpo fu crivellato di colpi in una via di Milano durante i giorni della Liberazione”.
“Molto penoso fu il caso del dottor Ziliotto, un giovane medico triestino, figlio unico, che dopo qualche mese di servizio nel nostro ospedale, essendo ormai divenuto elemento sospetto, riparò in montagna e mori combattendo sui monti tra la val d’Ossola e il lago Maggiore. Questa morte ebbe uno strascico tragico, a Trieste le SS avevano arrestato e subito eliminato la nonna materna: pensate quale pericolo poteva rappresentare per il terzo Reich una vecchia ebrea di 80 anni! I genitori fecero in tempo a fuggire e a riparare in Toscana e qui l’avanzamento del fronte di guerra li separò dall’alta Italia così che non poterono avere alcune notizie del figlio. Appena terminata la guerra corsero a Milano e, appresa la tragica notizia, vollero recarsi sulla tomba di Fulvio e poi si suicidarono, incapaci di resistere a tanto dolore”.
Il monumento, opera dello scultore Francesco Paolo Ciaccheri, ha avuto il patrocinio della Regione Lombardia ed il finanziamento dei Comuni di Garbagnate, Senago, Cesate e dell’UssI 32. La cerimonia è iniziata alle ore 10.30 con una messa solenne concelebrata da Mons. Sala e dai cappellani dell’ospedale, seguita dal “Coro Alpino” di Senago. Erano presenti i sindaci di Garbagnate Mil., Senago, Cesate e il direttore generale dell’Ussi 32 dottor Umberto Fazzone, i carabinieri in alta uniforme, con alla testa il capitano Antonio Diomeda di Rho e la stazione di Garbagnate con il maresciallo maggiore Antonio Lenza, le forze combattentistiche dei tre comuni e le varie associazioni dei paesi limitrofi, con gonfaloni e bandiere.
All’ingresso dell’ospedale dove è stato posto il monumento, il “Corpo Musicale S. Cecilia” ha eseguito “Bella ciao”. Daniele Piombi ha presentato la cerimonia, ricordando i sei Martiri cui il monumento è dedicato. Dopo uno squillo di tromba due studenti hanno scoperto il monumento. Dopo gli interventi del sindaco di Garbagnate PierMauro Pioli, il sindaco di Senago Lino Pogliani, il sindaco di Cesate Bruno Manini e Umberto Fazzone direttore generale Azienda UssI 32, ha concluso Tino Casali, presidente dell’ANPI provinciale.

Giuseppe Castelnuovo