“Dal liceo ad Auschwitz”, di Louise Jacobson
Lettere piene di ottimismo dall’anticamera dell’inferno
Nel febbraio scorso il quotidiano “l’Unità”ha pubblicato e diffuso insieme al giornale, in centinaia di migliaia di copie, un libretto inedito in Italia ma molto conosciuto in Francia, dove qualcuno ha parlato di una nuova “Anne Frank di Lione”. Esso raccoglie le lettere che una ragazzina di 17 anni, Louise Jacobson, scrisse ai familiari e alle amiche dal campo di concentramento di Drancy, dove fu rinchiusa dopo l’arresto, avvenuto nell’agosto dei ’42, fino alla partenza per Auschwitz, il 13 febbraio ’43. Là la sua esuberanza e la sua giovanile freschezza furono annientate nella camera gas, immediatamente dopo il suo arrivo.
Custodite per decenni dalla sorella Nadia, le lettere sono state pubblicate nell’89 per l’insistenza di Serge Klarsfeld, presidente dell’Associazione dei figli e delle figlie degli ebre deportati di Francia, di fronte al montare delle polemiche degli storici revisionisti.
Alla sua prima uscita in Italia il libro è diventato un eccezionale “best seller”, entrando in centinaia di migliaia di case grazie all’abbinamento con il giornale.

 

Da: “L’Unità” – giovedì l’ febbraio 1996.
Presentando il libro, “l’Unità” ha pubblicato l’intervista con Nadia Jacobson che qui di seguito riportiamo.
 
Parla Nadia Kaluski, sorella della piccola ebrea francese deportata e uccisa
“No, non dovete dimenticare Louise”
Nadia Kaluski è la destinataria di gran parte delle lettere che sua sorella, Louise, scrive dalle prigioni di Fresnes e dal campo di concentramento di Drancy prima di essere deportata ad Auschwitz. Come sua madre, anch’essa arrestata, non farà mai ritorno. Ma a differenza di tanti altri “cancellati”, Louise ha lasciato “tracce concrete e tangibili” di sé, del suo carattere di diciassettenne che sa, eppure non può credere all’orrore che sta vivendo. Un epistolario ricchissimo d’amore e di gioia di vivere che Nadia, dopo 45 anni, decide e fa di tutto affinché venga pubblicato in Francia, nel 1989. Lunedì, le lettere di Louise Jacobson, Dal Liceo ad Auschwitz, saranno in edicola con L’Unità.

Signora Kaluski, perché ha aspettato tanto prima di pubblicare le lettere di sua sorella?
E’ stato lo stesso per i sopravvissuti: non hanno parlato per 45 anni. C’è voluto il processo Barbie, hanno chiamato dei testimoni e finalmente sono riusciti a parlare. E’stato orribile, ciò che avevamo vissuto era troppo mostruoso e si desiderava occultare tutto ciò. Mio marito tornava dalla prigionia…

Suo marito è il Gilbert di cui parla Louise?
Si, la nostra luna di miele è stata sei anni di separazione. Abbiamo immediatamente avuto la nostra prima figlia e subito dopo la seconda. Non potevamo immaginare di farle vivere in un’atmosfera da incubo. Ho l’impressione che non ne parlavamo. Un fallimento totale: le mie figlie sono perturbate da questa storia. Ho creduto di essere stata discreta, non è vero.

Cosa l’ha decisa tirarle fuori?
Quando negli anni Settanta i revisionisti hanno cominciato a dire che noi mentivamo, che erano storie, che non c’era stato l’Olocausto, è stato insopportabile. Noi che l’avevamo vissuto eravamo ancora là per testimoniare. Le lettere di mia sorella le rileggevo, di tanto in tanto, le trovavo meravigliose. Quarantacinque anni dopo, a causa dei revisionisti, mi dicevo: non è possibile che assassinino nuovamente Louise e mia madre. Di mia sorella avevamo tracce concrete che era esistita e non andata semplicemente in fumo. Almeno nel suo liceo, visto che era stata deportata quando era liceale. Ho preparato un dossier con le sue lettere. Ho scritto al preside del liceo, e non ho ricevuto risposta. Qualche mese dopo ho ricominciato, di nuovo nessuna risposta. Finalmente l’ho avvertito che mi sarei recata a Parigi, da trentanni abito a Digione. Eravamo già negli anni Ottanta, quando mi sono presentata al liceo, non posso certo dire di essere stata ben ricevuta. Ho inviato lo stesso dossier al ministro dell’Educazione nazionale all’epoca era Lionel Jospin, al rettore dell’Accademia e a Serge Klarsfeld, il presidente dell’Associazione figli e figlie dei deportati ebrei di Francia che ha fatto un lavoro straordinario ed è grazie a lui che siamo al corrente di tutto. E’stato lui a dirmi: “Una simile testimonianza è rarissima, di tale qualità non ne esistono, e io la pubblico”. Ed è così che le lettere sono state pubblicate.

Sua madre non ha potuto scrivere?
Mia madre ha scritto, veniva dalla Russia non era andata a scuola, sapeva comunque scrivere in russo ma non in francese.

Anche sua madre è finita ad Auschwitz?
Si, lì è scomparsa, non ne abbiamo saputo più nulla. Mia madre è stata deportata molti mesi dopo Louise, non ha mai saputo che Louise era partita. Era stata lei a scrivere nella sua ultima lettera: è inutile dirlo alla mamma. A nostra madre davamo sempre notizie molto belle di Louise e.. non era affatto facile.

Louise fu arrestata perché non portava la stella ebraica?
E’ una storia. La stella l’avevamo tutti, ma non la portavamo, volevano che ce la mettissimo proprio per deportarci.

Quando sono state arrestate, lei non era a Parigi?
No, ero a Lione. Voglio aggiungere qualcosa sull’arresto. Sono venuti a casa due ispettori della polizia francese, inviati dalla Gestapo, per arrestare me. Nel libro non c’è questa parte del rapporto di polizia. Dunque vennero ad arrestarmi, non mi hanno trovata e hanno arresto mia madre e Louise, dovevano assolutamente prendere qualcuno.

Come è stato accolto il libro in Francia?
Non c’è stata una tiratura enorme, come qui da voi. Ma una giovane coppia di attori fu colpita dagli attentati terroristi alla sinagoga Copemic e dal dramma del cimitero di Carpentras. Entrambi non sono ebrei e cercavano una base da cui partire, con molta sensibilità e intelligenza l’hanno trovata nelle lettere di Louise. Lo spettacolo è stato presentato per tre anni di seguito al festival di Avignone, già più di 20mila persone lo hanno visto, ho ricevuto lettere straordinarie, sconvolgenti. La mia piccola Louise non l’hanno dimenticata questa volta.

Nel silenzio dei sopravvissuti, ha pesato anche il senso di colpa?
Esattamente. Ascolti ho avuto notizie di Louise da Auschwitz, perché Irma la sua grande amica che aveva conosciuto laggiù, era ingegnere chimico ed è la sola donna tornata da Auschwitz di quel convoglio. lo l’ho incontrata e lei mi ha raccontato: “Prima di passare davanti alle SS che dicevano a sinistra, a destra, avevo detto a Louise, quando ti chiederanno qual è il tuo mestiere, rispondi che sei chimica”. Ma la mia piccola Louise non sapeva mentire e ha detto: “Studentessa”. Ed è così che è andata a sinistra, dritta alla camera a gas. In quell’incontro io ero orribilmente imbarazzata e a disagio, perché non avevo vissuto ciò che aveva vissuto Irma: l’inferno era laggiù e io non l’avevo attraversato; dal canto suo Irma aveva vergogna perché era tornata e Louise no. L’una di fronte all’altra eravamo infelici, non ci siamo riviste. Mai più.

Sulla lapide che commemora le allieve dei liceo deportate, non c’è scritto ebree. Cosa lo ha impedito?
Quando abbiamo fatto notare che non c’erano né le date, né il motivo per cui erano state deportate, hanno risposto: “C’è scritto Auschwitz, tutti sanno cos’è”. Ci vuole ancora del tempo ma l’iscrizione sarà corretta.

Non si vuole guardare in faccia la collaborazione del governo di Vichy con le SS?
Si è dovuto attendere Chirac perché fosse detto ufficialmente. Nessun presidente della Repubblica, nemmeno socialista, ne ha mai parlato. E’ stato Chirac, quando è diventato presidente, che ha detto: è chiaro che il governo di Vichy si era sporcato le mani con questi crimini. Il 17 luglio si commemora, a Parigi, la grande retata del Velodromo d’Inverno, quando la polizia francese catturò più di 13mila ebrei. In quell’occasione il rabbino che è persona molto gentile, dice sempre: hanno perseguitato i miei correligionari per la loro fede. Ora io mi ricordo che quando andavo a ritirare la stella ebraica c’erano anche suore e preti, ebrei convertiti. Non la fede, ma la nascita è stato il loro crimine.

Sua madre e sua sorella sono state anche accusate di idee comuniste.
Si, a casa nostra mio padre e mio fratello leggevano L’Umanité e anche mio marito nella sua giovinezza. Noi avevamo molti libri di tendenza comunista, rnio fratello era partito con sua moglie, mio marito era prigioniero, io facevo dei pacchetti e li buttavo nella spazzatura. Ce n’erano molti, sono stata imprudente, non ho gettato tutto, ne ho conservato una parte in cantina, qualcuno deve avermi visto. Quando i poliziotti hanno fatto domande ai vicini, qualcuno ha detto se avevano guardato in cantina, li hanno trovati e siamo stati accusati di comunismo.