Apertura: 20 ottobre 1943
Ubicazione: Italia, nella periferia di Trieste.
In seguito all’Armistizio le province di Udine, Trieste, Gorizia, Pola e Fiume, vengono sottoposte al diretto controllo del Terzo Reich e la zone prende il nome di Adriatisches Küstenland.
Costruito nel 1898 nel periferia di San Sabba a Trieste, il grande complesso di edifici dello stabilimento per la pilatura del riso, oggi monumento nazionale, è stato l’unico campo di sterminio in Italia.
Viene dapprima utilizzato, dopo l’occupazione nazista, come campo di prigionia provvisorio per i militari italiani catturati dopo l’8 settembre 1943 (Stalag 339). Verso la fine di ottobre, viene convertito in Polizeihaftlager (Campo di detenzione di polizia), destinato sia allo smistamento dei deportati in Germania e in Polonia e al deposito dei beni razziati, sia alla detenzione ed eliminazione di ostaggi, partigiani, detenuti politici ed ebrei.
Supervisore della Risiera è l’ufficiale delle SS Odilo Globočnik, a capo dell’Einsatzkommando Reinhard, triestino di nascita, in precedenza stretto collaboratore dello stesso Reinhard Heydrich, responsabile dei campi di sterminio attivati nel Governatorato Generale, nel quadro dell’operazione Reinhard.
A favore di cittadini imprigionati nella Risiera interviene direttamente presso le autorità germaniche il vescovo di Trieste, monsignor Santin, in alcuni casi con successo ma in altri senza alcun esito.
Il primo stanzone posto alla sinistra di chi entra è chiamato “cella della morte”. Qui vengono stipati i prigionieri tradotti dalle carceri o catturati in rastrellamenti e destinati ad essere uccisi e cremati nel giro di poche ore. Secondo testimonianze, spesso i detenuti si ritrovano a condividere la stanza con cadaveri destinati alla cremazione. Nel pianterreno dell’edificio a tre piani sono sistemati i laboratori di sartoria e calzoleria, dove vengono impiegati i prigionieri, e le camerate per gli ufficiali e i militari delle SS; inoltre si trovano 17 micro-celle, in ciascuna delle quali vengono stipati fino a sei prigionieri: tali celle sono riservate particolarmente ai deportati destinati all’esecuzione a distanza di pochi giorni. Le prime celle vengono usate a fini di tortura o di raccolta di materiale prelevato ai prigionieri: vi sono stati rinvenuti, fra l’altro, migliaia di documenti d’identità, sequestrati non solo ai detenuti e ai deportati, ma anche ai lavoratori inviati al lavoro coatto. Le porte e le pareti di queste anticamere della morte sono ricoperte di graffiti e scritte che con il tempo si sono rovinate.
Nel successivo edificio a quattro piani vengono rinchiusi, in ampie camerate, gli ebrei e i prigionieri civili e militari destinati per lo più alla deportazione in Germania: uomini e donne di tutte le età e bambini anche di pochi mesi. Da qui finiscono soprattutto a Dachau, Auschwitz, Buchenwald e Mauthausen.
Nel cortile interno, proprio di fronte alle celle, si trova l’edificio destinato alle eliminazioni con il forno crematorio il cui impianto è interrato. Dopo essersi serviti dell’impianto del preesistente essiccatoio, i nazisti lo trasformano in forno crematorio. Questa nuova struttura viene collaudata il 4 aprile 1944, con la cremazione di settanta cadaveri di ostaggi fucilati il giorno prima nel poligono di tiro di Opicina.
L’edificio del forno crematorio e la connessa ciminiera vengono distrutti con la dinamite dai nazisti in fuga, nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1945, per eliminare le prove dei loro crimini. Tra le macerie vengono rinvenute ossa e ceneri umane raccolte in tre sacchi di carta, di quelli usati per il cemento.
Il numero di persone che ha perso la vita nella Risiera di San Sabba varia tra le 3 mila e le 5 mila. Ma in numero ben maggiore sono stati i prigionieri e i ”rastrellati” passati dalla Risiera e da lì smistati nei lager o al lavoro coatto.
Nel dopoguerra i responsabili del lager vengono condannati da un tribunale italiano, ma riescono a sfuggire alle pene che sono state loro inflitte.
Georgia Mariatti
Per saperne di più consultare il sito del Monumento Nazionale della Risiera di San Sabba