Le udienze della Corte canadese in trasferta a Verona si prestano ad alcune considerazioni. Pubblichiamo in proposito un intervento di Dario Venegoni, autore della ricerca Uomini, donne e bambini nel Lager di Bolzano, e figlio di due deportati in quel campo. Saremo lieti di ospitare al riguardo altri interventi. Sul caso dell’ex criminale nazista questo sito ha già pubblicato un ricco dossier.
In una sala dell’Hotel Holiday Inn di Verona una Corte canadese in trasferta sta celebrando un nuovo processo attorno al caso di Michael Seifert, il terribile “Mischa” del campo di Bolzano.
Seifert è un criminale di guerra che dal 1951 vive a Vancouver, in Canada, e che la giustizia militare italiana ha già condannato all’ergastolo per gli orribili delitti commessi tra il 1944 e il 1945, quando prestava servizio come caporale delle SS nel Lager di via Resia.
Grazie al lavoro di indagine del procuratore Bartolomeo Costantini, che pescò il fascicolo relativo a Seifert tra le carte dell’”Armadio della vergogna”, si arrivò alla sentenza di primo grado nel novembre del 2000. Seifert ricorse in appello, e perse nuovamente: nell’ottobre del 2001 la Corte Militare d’Appello di Verona confermò la condanna all’ergastolo. Altro ricorso, e altra sentenza, questa volta definitiva: nell’ottobre del 2002 la Corte Suprema di Cassazione confermò la condanna a carico del criminale nazista.
A seguito di queste sentenze, l’Italia ha avanzato richiesta di estradizione del condannato. Seifert si è opposto in ogni modo: ha cercato di farsi passare per demente, ha cercato di ricusare il funzionario del governo incaricato della pratica – “colpevole” a suo giudizio di essere ebreo – e da ultimo ha fatto intervenire nel dibattimento un vicino di casa, suo degno sodale, Peter Makelke, un ex SS già guardiano nel campo di Bolzano, che dichiarò senza vergogna di non aver “mai sentito parlare” di torture e omicidi nel campo.
Tutto fu inutile. La giustizia canadese concluse che tecnicamente non sussistevano motivi per opporsi alla richiesta di estradizione del criminale nazista verso l’Italia. La palla è così passata al governo di Ottawa, che aveva promesso di decidere in merito entro lo scorso giugno, ma che evidentemente non aveva fretta di esporsi. “Mischa”, che allora aveva vent’anni, oggi è un anziano corpulento signore di 81 anni. Forse a Ottawa pensano che attendendo ancora un po’ il problema della sua estradizione potrebbe risolversi da solo, per via naturali.
Michael Seifert |
La giustizia canadese ha però aperto nel frattempo un altro procedimento, relativo al diritto di Seifert di conservare la cittadinanza di quel paese. È evidente che il criminale di guerra ha mentito alle autorità nordamericane già nel 1951, quando giunse a Vancouver dalla Germania. Disse di essere nato in una città diversa da quella vera, e tacque sul suo passato di SS di servizio a Fossoli prima e a Bolzano poi. Poiché queste ragioni sarebbero sufficienti a togliere la cittadinanza al colpevole di tali omissioni, la causa sembrava finita prima ancora di iniziare. E invece no. Seifert ha assunto un legale ultra-nazista, noto per le sue animose arringhe a difesa di altri criminali nazisti, tal Doug Christie. E questi ha avanzato una serie di eccezioni, prima tra tutte quella che le accuse al suo assistito non sono state raccolte secondo i canoni della giustizia canadese, e quindi non sono valide.
E così, incredibilmente, una Corte canadese oggi è in Italia, a rifare un processo che meglio, con più mezzi e più tempo a disposizione ha già svolto in ben tre gradi di giudizio la giustizia italiana.
Secondo le leggi canadesi, le testimonianze giurate raccolte lungo l’arco di oltre 5 decenni, nelle quali decine e decine di superstiti del campo di Bolzano hanno accusato Michael Seifert di torture e di uccisioni nelle celle della prigione del campo di Bolzano non hanno alcun valore, L’unica verità che conta è quella che si afferma in giudizio, nel corso del processo.
Davanti al Tribunale Militare di Verona, nel 2000, passarono una ventina di testimoni oculari, che con grande sforzo personale parlarono degli orrori del campo e delle responsabilità individuali di “Mischa”. Oggi la Corte canadese ha chiesto si riascoltarli tutti. Se ne presenteranno alla fine solo 11: il tempo si è purtroppo incaricato di sfoltire la schiera di chi può ancora testimoniare.
La Corte, dando prova di scarsissima conoscenza dei fatti, ha chiesto ai superstiti di esibire prove concrete della loro deportazione: documenti che provino le date e le circostanze di cui si parla. Forse qualcuno avrebbe dovuto informare questi giudici d’oltre Atlantico che le SS non rilasciavano un regolare biglietto ai “passeggeri” dei loro vagoni piombati verso i Lager. E che a Bolzano per giorni e giorni, alla fine dell’aprile 1945, i nazisti bruciarono ogni documento della loro gestione del campo.
L’escussione dei testimoni avviene in un clima irreale, in una sala di albergo dove si è riprodotto un locale di tribunale canadese, con tanto di bandiera con la foglia d’acero. L’avvocato Christie aggredisce senza ritegno i testimoni, cerca di farli cadere in contraddizione, fa domande su dettagli che i superstiti non possono conoscere o ricordare (a che velocità andava il convoglio che andava verso il campo, com’era composta la scorta, e cose del genere).
A Marisa Scala, coraggiosa partigiana torinese, che a 86 anni conserva lucidità e combattività da vendere, ha rinfacciato, libri alla mano, di aver sbagliato una data di un suo colloquio nel campo con Andrea Gaggero, con l’intento di sminuire l’attendibilità della testimonianza di una donna che vide allora Michael Seifert insieme all’inseparabile SS Otto Sain (irreperibile da decenni) torturare un povero ragazzo nelle celle del Lager, mettendogli con violenza le dita negli occhi.
Il vecchio “Mischa” è comodo in poltrona nella sua villetta in Commercial Street a Vancouver. A Verona ci ha mandato il suo scagnozzo, che si è dato il compito di infierire sulle vittime di allora del suo assistito. Marisa Scala a 86 anni ha preso volontariamente la strada da Torino a Verona solo per amore di giustizia. Essendo una testimone, e non una imputata, non ha avuto diritto all’assistenza di un legale di fronte alle prepotenze dell’avvocato Christie.
Di fronte a questo indegno spettacolo viene quasi da chiedersi se i superstiti del campo di Bolzano non abbiano peccato ancora una volta di un eccesso di generosità, accogliendo l’invito a testimoniare rivolto loro da una Corte canadese che non attribuisce alcun valore ai tre gradi della giustizia italiana.
Converrà ricordare che Michael Seifert è uno dei criminali nazisti più noti nella storia della seconda guerra mondiale in Italia. Esistono su di lui – e sul suo compare Otto Sain – decine e decine di atti d’accusa raccolti già nell’immediato dopoguerra nei tribunali italiani e altre decine e decine di testimonianze scritte in altrettanti libri di memoria di vittime del campo. Il professor Egidio Meneghetti, farmacologo di fama internazionale, che fu rettore dell’Università di Padova dopo essere stato liberato dal Lager di Bolzano, descrisse “Mischa” in una famosa “canta” in veneto (Bortolo e l’ebreeta) che da sola dovrebbe bastare a ricordare imperituramente di che pasta era fatto l’uomo che ancora oggi si permette di fare angariare le proprie vittime di allora.
Per la storia non sussistono dubbi di sorta sulle responsabilità individuali di questo criminale di guerra.
Per la giustizia, dopo i tre gradi di giudizio nel corso dei quali Michael Seifert decise autonomamente di non comparire, preferendo farsi rappresentare da alcuni legali, neanche. Michael Seifert, quando era un SS di servizio nel Lager, si rese responsabile di delitti efferati, di cui porta piena e personale responsabilità. I suoi vicini di casa, i fedeli della parrocchia di Vancouver che da decenni lo vedono ogni domenica alla messa, e che hanno addirittura fatto una colletta per pagargli le spese processuali, dopo la sentenza della Cassazione sanno di avere a che fare con un criminale di guerra che ha ucciso con le sue proprie mani donne giovani e anziane indifese e diversi prigionieri, per il solo gusto di uccidere e di fare del male, con sadismo estremo.
Se quest’uomo debba essere o no considerato un cittadino canadese è affare del Canada. Se si vogliono tenere un simile criminale, che se lo tengano. Ma non abusino della pazienza e dell’amore di giustizia di chi a Seifert e ai suoi pari ha già pagato, allora, un prezzo semplicemente inimmaginabile.
Dario Venegoni