“Non andrò a vedere neppure questo film: non si può ricostruire il Lager”

di Teo Ducci

No, non andrò a vederlo il film “La vita è bella” del Roberto Benigni nazionale. Non andrò a vederlo come mi sono rifiutato di vedere tutti gli altri film nei quali registi di vario calibro hanno tentato di far vedere che cosa era e come era un Konzentrations = Lager nazista. Faccio già fatica a capire quello che mi è capitato, a ricordare quello che il Lager era, come era, come l’ho vissuto. Mi vengono in mente le parole di quel tenente inglese che, entrato per primo nel Kz Belsen Berger, iniziò il suo rapporto ai superiori con queste parole “dovrei descrivere l’indescrivibile”. Figuriamoci, lui che aveva l’ecatombe lì davanti ai suoi occhi, lui che aveva visto questo e altro, davanti a quello spettacolo terrificante, non trovò le parole perché, quello era veramente indescrivibile.
Non si tratta solo delle immagini (forse si tratta proprio di quelle) cioè dei finti, volti emaciati, dei mille particolari che sfuggono al più attento osservatore, ma che ti colpiscono immediatamente, si tratta di ben altro. Dell’atmosfera, del peso dei silenzi, del fetore, delle urla, della tensione nervosa, della paura, senza della fame. Si tratta di quella perversa distruzione della nostra personalità che non si può in alcun modo visualizzare.
E allora tutto è fasullo, tutto è artificiale. Il Lager non è, non può essere, quello che veramente era come noi superstiti l’abbiamo vissuto e che altri, con tutto il rispetto per la loro buona volontà, cercano di ricostruire. Il Lager non può essere ricostruito. Andrei più in là: non deve essere ricostruito. Lasciatemi dire come i nostri vecchi: scherza con i fanti e lascia stare i santi.
Io apprezzo l’interesse di tanti per la nostra vicenda e il tentativo di renderla comprensibile. Premesso che comprensibile non è, non sarà mai, temo che rievocarla sul grande schermo provochi ancora una volta traumi terribili. Penso non solo ai superstiti, penso anzitutto ai familiari. Che poi migliaia di spettatori vadano ad emozionarsi al cinema, questo è un altro discorso. E mi chiedo se questa interpretazione cinematografica, a prescindere dagli svarioni che ognuno di noi avverte, serve veramente a far capire la spaventosa dimensione del crimine commesso. Si dirà: è gente che non vedrebbe documentari, almeno così si fa un’idea di quello che è stato. Può essere. Ma, per me, è sempre un’idea distorta che apre inutilmente nuove piaghe nei nostri già abbastanza tormentati ricordi.