Scusi, signore, ha conosciuto mio padre?
Presentazione dell’Autrice Elena Buccoliero

Presso il Tribunale Militare di Verona, dal 20 al 24 novembre 2000, si è svolto il processo di primo grado a carico di Michael Seifert, ucraino, SS in servizio nel lager di Bolzano negli ultimi mesi della II Guerra Mondiale. Il processo è avvenuto nel silenzio generale della stampa italiana. Erano presenti giornalisti francesi, tedeschi e canadesi, e poi redattori di un quotidiano locale di Bolzano e anch’io come collaboratrice di Azione Nonviolenta, la rivista nazionale del Movimento Nonviolento fondata da Aldo Capitini quarant’anni or sono.*

Scusi signore, ha conosciuto mio padre?” è stato presentato a Ferrara nel 2003, nell’ambito delle celebrazioni della Giornata della Memoria. È stato scritto immediatamente dopo il processo per dare uno sbocco e un senso alle molte storie ed emozioni raccolte e per una sorta di dovere di cronaca, di insofferenza all’idea che questa vicenda rimanesse patrimonio di pochi professionisti del diritto o di chi l’ha vissuta direttamente – i testimoni, i loro familiari. Anche per questo è stato costruito come una lettura teatrale a quattro voci (la giornalista, il narratore, il primo testimone, il secondo testimone) molto strutturata, semplicissima da mettere in scena. Un materiale che chiunque può adoperare, magari impastandolo, trasformandolo ancora.

Le note tecniche per la messa in scena sono minime. Il testo si legge come una partitura, dove il carattere (dritto, corsivo, neretto, II colore) distinguono le voci secondo la legenda che precede il tutto. Le parole dei testimoni sono passaggi tratti dalle deposizioni processuali e frammenti di interviste, e vengono intercalate con alcune note storiche offerte dal narratore e con le emozioni e i commenti della giornalista. A Ferrara la lettura è stata accompagnata da musiche di un duo locale, gli Shurk, che hanno eseguito brani composti da loro con fisarmonica, basso elettrico e percussioni – ma poteva andar bene anche musica klezmer o qualsiasi altro genere purché si adatti all’atmosfera generale del testo. In quell’occasione la presenza del P.M. Bartolomeo Costantini, oltre all’ottimo intervento successivo alla lettura, ha permesso di proiettare il lucido di Michael Seifert in divisa da S.S., un dettaglio che ha segnato gran parte dei giorni del dibattimento e ha in qualche misura ricostruito l’atmosfera dell’aula di tribunale. Parole e musica hanno richiesto circa 20’ di attenzione.

Ancora qualcosa preme dire rispetto a questo piccolo testo che tenta un approccio documentato, sobrio, emotivamente coinvolgente. Perché l’intento non era semplicemente quello – importantissimo – di ricordare, non si tratta soltanto di un allenamento per la memoria. Per noi a Verona è stato importante che il processo avvenissero lì e in quel momento, confrontandosi ed anche cozzando con la realtà circostante, le disattenzioni, il tempo trascorso, le trasformazioni intervenute nella vita di tutti – i testimoni per primi. L’interrogativo allora riguarda il tempo, il senso di riportare a galla questi fatti a tanti anni di distanza, e perfino le ragioni del processo mentre intorno c’è chi chiede di perdonare, o di accantonare tutto.

Il processo è stato l’occasione per dare un volto a ciò che altrimenti rischia di diventare uno slogan. I numeri grandi – si ripete ad esempio: 6 milioni di ebrei – colpiscono, sì, ma nel tempo perdono di efficacia. Il grande pubblico conosce l’assuefazione al massacro. Di fronte all’individuo preciso, quello che abbiamo conosciuto o che abbiamo potuto immaginare, non possiamo smettere di piangere. Le vittime per cui Seifert è stato processato erano “appena” diciotto, ma nei giorni del processo, per chi era presente, hanno acquisito una identità, un volto, una storia. E allora ricordiamo il 17enne Bortolo Pissuti, torturato la notte di Pasqua del 1945 a furia di bastonate e squartato con una bottiglia spezzata; la giovane donna incinta di cui nessuno più sa il nome, violentata, torturata con secchi di acqua gelata e infine uccisa; e ancora, la donna impazzita di dolore quando, nella “cella buia” dove era rinchiusa sola, è stato introdotto il povero corpo di un giovane prigioniero massacrato…

Il titolo del testo è dovuto ad un episodio del processo. Un uomo di mezza età si avvicina timidamente ad un testimone – “Scusi, signore, ha conosciuto mio padre?” – sperando di ricevere notizie del papà, internato a Bolzano e poi a Mauthausen quando quest’uomo era un bambino. Nell’aula basta una frase, uno sguardo, per colmare una distanza di anni. Questo andirivieni nel tempo è il segno che contraddistingue l’esperienza del processo, e che abbiamo cercato di rendere attraverso la contemporaneità delle voci che parlano, tutte, al presente.

Per i testimoni il tempo è passato, sono altri uomini altre donne adesso. Hanno nipoti, anni di lavoro, cattiva memoria; hanno acciacchi, pensieri migliori… Solo Seifert, lucido proiettato sulla parete, è ancora lo stesso ventenne biondo dagli occhi porcini in impeccabile divisa di SS. Però durante le deposizioni tutto si avvicina, un testimone ultraottantenne si alza in piedi per mimare una delle tante prepotenze, secondo immagini note solo ai suoi occhi. E intanto un quotidiano canadese ce lo rimanda, Seifert, in altri panni – anziano innocuo signore col berretto da pescatore – e contribuisce a farci sembrare tutto insensato, tutto un po’ impossibile…

*gli articoli pubblicati da “Azione Nonviolenta” sul processo a Michael Seifert sono consultabili in Internet al sito www.nonviolenti.org, nell’archivio di Azione Nonviolenta, scorrendo il numero di aprile 2001. Nel servizio si trova la trascrizione integrale dell’atto di imputazione di Michael Seifert, una nota storica sul lager di Bolzano, una cronaca del dibattimento, alcune interviste a testimoni e un commento sulla possibilità di perdonare.