Italo Tibaldi – La Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea, CEDEC, scrive: “Caro Maris, una grave situazione familiare mi impedisce di partecipare di persona agli importanti lavori del vostro congresso, so quanto sia essenziale questa vostra manifestazione in questo cinquantennale. La società italiana sta smarrendo se stessa ed è dovere primario riproporre all’attenzione di tutti, ma specialmente dei giovani, la necessità di conservare la memoria. Voi lo fate nel modo più idoneo, noi della Fondazione CEDEC lo facciamo; mi auguro che anche in futuro continueremo a lavorare assieme. Con stima e affetto un caloroso saluto a voi. La presidente Luisella Mortara Ottolenghi”, che naturalmente ringraziamo.
Devo dire che questo telegramma è seguito da uno successivo, che è quello di Liliana Picciotto Fargion, autrice di quel libro stupendo: “Nell’impossibilità di essere presente all’XI Congresso nazionale dell’Aned desidero rivolgervi gli auguri più calorosi di buon lavoro. L: opera dell’Aned in questi ultimi anni per la conservazione, la ricostruzione e la fissazione della memoria delle vittime della seconda guerra mondiale è stata ineguagliabile e preziosa. Spero che per il futuro si riesca a fare altrettanto e altrettanto bene. Un abbraccio affettuoso alle donne e a voi tutti”. E poi da Savona la Ilda Melok, quella grandissima ricercatrice, studiosa, attenta ai problemi psicologici nostri, le famose sindromi della deportazione: “Cara Miuccia, ragioni di salute mi impediscono di accogliere il vostro invito a partecipare al congresso di Prato, sarò presente con il cuore. Si è ormai compiuto quel processo di identificazione iniziato quando decisi di studiare la deportazione e le sue conseguenze, i suoi effetti sull’uomo. Sempre più fragile è il diaframma che separa la mia storia personale da quella delle deportate, estremamente sfumati i confini che dividono le mie esperienze da quelle di Edith, Erminia, Ester, Fiorina, Arianna, Lidia, Maria, Ida, Mary, Myriam, Regina e di tante altre. Particolare significato e importanza assume nell’ambito di questo congresso l’incontro delle ex deportate con una delegazione di Ebensee. Le donne hanno la capacità di ignorare le divisioni che spesso la storia suggerisce, così come sanno superare gli ostacoli frapposti dall’appartenenza di parenti in comunità etniche religiose politiche e culturali. Come noi anche le donne di Ebensee che saluto, sanno che è ancora lontano il momento in cui si potrà considerare compiuto il processo di storìcizzazione della deportazione; non dimenticare, ma ricondurre i tragici eventi di allora nell’ambito di quel periodo storico. Un processo lungo, faticoso ed anche doloroso, ma forse necessario per poter guardare al futuro. Un abbraccio a tutti e auguri di buon lavoro”.