Pubblichiamo la nota del Museo Statale di Auschwitz sulla controversia sorta a Parigi a proposito della proprietà della valigia dell’ex deportato Pierre Lévi.
Nell’autunno 2003 un rappresentante del Centro di documentazione ebraica contemporanea (CDJC) di Parigi visitò il museo statale di Auschwitz-Birkenau a Oswiecim. Durante la visita egli avanzò per la prima volta la richiesta di prendere in prestito un oggetto dell’esposizione per una mostra permanente a Parigi intitolata “Il destino degli ebrei francesi durante la Seconda guerra mondiale”. L’oggetto richiesto era una valigia proveniente dai trasporti di deportati ad Auschwitz dai territori francesi occupati.
Le valigie dei deportati ad Auschwitz che oggi sono in possesso del museo statale di Auschwitz-Birkenau sono fra i reperti di maggior valore delle sue raccolte. Esse infatti costituiscono quel poco degli effetti personali delle vittime delle camere a gas che i nazisti non ebbero il tempo di riciclare nel Reich per i propri fini. I nomi che appaiono su alcuni bagagli sono, al tempo stesso, una delle poche prove della morte di singoli individui nel lager di Auschwitz. Nelle raccolte del museo sono poche le valigie che per le loro caratteristiche – scritte o etichette, per esempio – indicano con sicurezza che esse furono portate ad Auschwitz da deportati dalla Francia. Per questa ragione in un primo momento il museo respinse la summenzionata richiesta e offrì in cambio una fotografia di una di questa valigie. Ma l’interlocutore francese non fu soddisfatto di questa soluzione e tornò a chiedere una valigia originale dichiarando che sarebbe stata presa in prestito dal museo solo per il periodo dell’inaugurazione della mostra, nella prima metà del 2005.
In considerazione del fatto che uno dei compiti fondamentali del museo è diffondere la conoscenza del lager di Auschwitz, che l’inaugurazione della mostra a Parigi sarebbe coincisa con il 60° anniversario della fine della Seconda guerra mondiale e che la mostra si sarebbe tenuta nella capitale francese, il museo decise di cambiare la propria decisione iniziale.
Nella seconda metà del 2004 il museo scelse una valigia a questo fine, numero di inventario PMO-II-1786. Su di essa era applicata un’etichetta con la scritta: “Boul. Villette, Paris” (dattiloscritto), “Pierre Lévi”, “48 gruppe 10” [?] (scritto a mano, a malapena leggibile). Furono quindi avviate le formalità per il prestito. La firma del contratto per il prestito e la presa in consegna materiale del reperto da parte francese avvennero nel gennaio 2005. Il contratto stabiliva che per la fine di giugno 2005 la valigia sarebbe stata restituita al museo a Oswiecim.
Alla fine del maggio 2005 gli interlocutori francesi informarono il museo che una persona presentatasi come il figlio del proprietario originario della valigia si era messa in contatto con la loro istituzione. Per rispetto dei sentimenti di questo familiare di una vittima di Auschwitz il CDJC chiedeva pertanto di cambiare il contratto in modo che la valigia potesse rimanere a Parigi per un periodo di “lungo termine”. Nell’avanzare questa richiesta il CDJC disse al museo che se avesse accettato, ciò li avrebbe aiutati a “convincere la famiglia a non chiedere la restituzione della valigia”.
Il museo sollevò la questione al convegno del Consiglio internazionale di Auschwitz il 21 giugno 2005. I membri del consiglio – 25 esperti provenienti da diversi paesi e fra gli altri il rappresentante del Museo Yad Vashem – espressero parecchi dubbi sulla richiesta del CDJC e il loro parere fu che la valigia dovesse essere restituita senza indugi al museo. Tuttavia, su richiesta del membro francese del consiglio alla fine ci si accordò per prolungare il periodo del prestito previsto dal contratto. Nella risposta al CDJC, pertanto, il museo dichiarò che per mantenere buoni rapporti ed evitare ogni sorta di dissapori era disposto a prorogare il termine per la restituzione della valigia fino al gennaio 2006, sottolineando che questa era la data ultima per la fine del prestito. Il museo chiedeva inoltre l’indirizzo del familiare della vittima per contattarlo e spiegargli il ruolo delle mostre e delle raccolte del museo nell’ambito della sua missione educativa su Auschwitz e l’Olocausto.
Sfortunatamente il museo non ha mai ricevuto quell’indirizzo, né il familiare della vittima ha mai preso contatto con il museo, e ciò ha impedito che si instaurasse un dialogo sulla vicenda.
Nel corso degli anni ci sono stati ex deportati e parenti delle vittime che hanno rivendicato la proprietà di oggetti contenuti nelle raccolte del museo; queste richieste si sono sempre risolte con il dialogo, trattando con queste persone, chiarendo gli scopi del museo e delle sue collezioni.
Alla fine del dicembre 2005 il museo statale di Auschwitz-Birkenau fu informato dal CDJC di Parigi della decisione che era stata presa di sequestrare la valigia in questione per presentarla alla mostra organizzata dal Memoriale della Shoah di Parigi. L’istanza di sequestro proveniva dal sig. Michel Georges Adam Lévi-Leleu, residente a Parigi, figlio di Pierre Lévi, il cui nome corrisponde a quello scritto sull’etichetta della valigia.
Poco tempo dopo il museo ricevette una comunicazione da un tribunale francese al quale il sig. Michel Georges Adam Lévi-Leleu si era rivolto per ottenere il possesso della valigia. E ciò a dispetto della lettera con la quale il museo aveva spiegato il suo punto di vista e sottolineato quanto sia di estrema importanza che le collezioni rimangano integre e inalterato l’ex lager di Auschwitz-Birkenau. Una lettera analoga a quella del Museo fu scritta a Simone Veil dal prof. Wladyslaw Bartoszewski, un ex prigioniero di Auschwitz, cofondatore del Council for Aid to Jews, ex ministro degli Affari esteri della Polonia, cittadino onorario di Israele e presidente del Consiglio internazionale di Auschwitz. La causa è in corso e la discussione è prevista per il settembre di quest’anno.
Il museo ha riconsiderato la sua posizione e ha chiesto un parere anche al Consiglio internazionale di Auschwitz e al suo direttivo, al ministro polacco della Cultura e del patrimonio nazionale e al ministro polacco degli Affari esteri. L’opinione del Consiglio dei direttori del museo è che esso comprende perfettamente, dal profondo, i sentimenti delle famiglie delle vittime della Shoah. Tuttavia, il museo ha la responsabilità di ciò che rimane del campo, una responsabilità cui esso deve assolvere secondo la legge. Man mano che passa il tempo, il ricordo di ciò che accadde ad Auschwitz e l’attività educativa svolta dal museo saranno sempre più affidati a ciò che rimane materialmente del campo, e dell’area su cui esso sorge.
Ogni oggetto conservato nel museo aveva un proprietario prima della guerra: il saccheggio fu perpetrato in modo criminale dai nazisti. Dal punto di vista della conservazione della memoria e della promozione culturale disperdere questi cimeli materiali del campo non porta a nulla. Il museo ritiene che questioni così difficili debbano essere al centro di un dialogo e di un confronto aperto. Non è né opportuno né produttivo risolvere queste vicende attraverso le sentenze dei tribunali. In questo caso particolare, il ricorrente non ha dimostrato alcun interesse al dialogo e per la prima volta nella sua storia il museo è stato citato in giudizio.
Qualunque sarà la conclusione temiamo che la sfortunata quanto inevitabile conseguenza di questa vicenda sarà un rafforzamento delle limitazioni alla disponibilità del museo a prestare oggetti, ovunque, a discapito della conoscenza dell’Olocausto a livello mondiale.