Fabio Minazzi, professore di Filosofia teoretica all’Università di Lecce, ha curato insieme ad Alessandra Chiappano numerosi volumi sulla shoah, tra cui l’ultimo Pagine di storia della shoah, edito da Kaos nel gennaio 2005 e durante il viaggio in treno e i trasferimenti in pullman ha tenuto una serie di brevi lezioni sul problema del male e di Dio dopo Auschwitz.

 

Milano-Brescia 27 gennaio 2005

Appuntamento in Fondazione, in piazza Duomo alle 16. Arrivo puntuale, ma distrutto per una notte di lavoro: si doveva chiudere la revisione delle bozze del Festival dei giovani pensatori. Alessandra saluta e definisce qualche ultimo dettaglio, mentre io cerco di recuperare qualche istante di sonno. Mi trovo così a Brescia senza quasi accorgermi. Alla partenza il caos non scherza. Sembra di essere tornati all’epoca delle gite scolastiche (alias viaggi di istruzione). Poi una scritta straordinaria sui tabelloni dei treni in partenza durata un solo istante: Auschwitz binario 7!

Per me il viaggio inizia con un sonno ristoratore. Mi sveglio alle 5 del giorno dopo. Giro tutto il treno che è immerso in un sonno profondo. Trovo solo una insonne che si aggira per i vagoni dei dormienti. Ma questo non è un treno come tanti. E’ il treno della memoria. Ogni vagone si caratterizza per uno striscione, un manifesto, un volantino, delle magliette-ricordo, tutti segni nati dall’incredibile creatività dei giovani.

L’insonne compagna di viaggio vorrebbe dialogare, ma dopo qualche battuta di cortesia, preferisco leggere tutti i materiali esposti. Tagli diversi, rilievi persino contrastanti, tuttavia tutti convergono nel valorizzare un tema comune: l’antifascismo e la sua attualità. Curioso paradosso: per strane vie, partendo da punti di vista alquanto singolari e persino discutibili tuttavia la dimensione morale e civile dell’antifascismo riemerge in tutta la sua dirompente forza democratica. Taluni obiettano perché a loro avviso la presenza di un “anti” sarebbe sempre limitativa e, comunque, indice di una sorta di intrinseca “strozzatura”. Tuttavia questo limite non dovrebbe affatto preoccupare: ogni presa di posizione, ogni scelta (come ogni conoscenza) nasce sempre da un limite, sempre costitutivo della volontà (e del conoscere) umano. Semmai questo limite rappresenta una dichiarazione di intenti: la lotta di un bene contro un male. La lotta della democrazia della libertà e dell’uguaglianza contro il totalitarismo fascista.

In treno, 28 gennaio 2005

Dopo molte ore di viaggio il treno, gli abitanti, gli scompartimenti, i corridoi, i cessi sono sempre più “vissuti”. Taluno rileva: si immagini cosa dovevano essere i “trasporti” dei deportati sui carri bestiame che duravano giorni e giorni e in ben altre condizioni. Ben vero, tuttavia più “urbanitas” avrebbe forse evitato qualche aspetto meno gradevole. Comunque la situazione non sembra poi così grave: il “vissuto” è del tutto corretto e fisiologico, senza provocare gravi problemi. Del resto durante il viaggio si sono svolti due momenti di ritrovo musicale promossi dai Modena City Ramblers. Musiche irlandesi e canzoni di impegno politico contemporaneo si sono intrecciate nel vagone ristorante creando un clima magico. Potenza della musica che anima le profonde risorse del cuore. Mentre sgorgano, naturali ed amate, le parole di Bella Ciao, suonate in una nuova, ma sempre coinvolgente, versione, penso che proprio questo cuore manchi oggi complessivamente alla sinistra italiana. Quale nostro politico possiede ancora un carisma per essere veramente amato? Eppure è proprio questo cuore che ha consentito di generare e sostenere alcune delle più belle pagine della sinistra. Nonostante e malgrado le tragedie che la sinistra ha vissuto e sofferto, è sempre da quest’anima che è emersa la sua forza indomita con la quale ha affrontato e superato prove terribili come la Resistenza.

Durante il viaggio in treno si sono svolte anche due conferenze (sempre nel vagone ristoro). Alessandra ha parlato della situazione degli omosessuali nei lager nazisti – che in qualche caso finivano per essere quasi un “buon modello negativo” perlomeno dal punto di vista nazista (soprattutto quando erano, al contempo, omosessuali, comunisti ed ebrei!) e della loro discriminazione all’interno della gerarchia piramidale del lager. Ma gli omosessuali continuarono ad essere discriminati (ed imprigionati) anche dopo il crollo del nazismo, giacché nella legislazione tedesca furono perseguitati legalmente fino al 1969. Le considerazioni di Alessandra suscitano grande interesse e numerose domande. Successivamente mi viene affidato un lieve compito: illustrare il concetto di Dio dopo Auschwitz in un quarto d’ora…. Compito, risolto utilizzando come filo rosso, il classico e fondamentale problema del male. Ancora una volta grazie ad un “guerrigliero della ragione” come Jean Améry si può ben illustrare il contrasto – storico-epocale – tra l’illuminismo e la barbarie del nazifascismo. Il breve excursus termina – curiosamente – proprio nel momento in cui il treno arriva alla stazione di Auschwitz. Ma non ci fermiamo, andiamo direttamente a Cracovia. L’abbandono del treno (che durante il viaggio ha registrato la rottura della motrice e, tanto per gradire, la fusione-fumante dei freni di due vagoni, il numero 6 e il numero 8) avviene nella nostra confusione più totale poiché ci è stato erroneamente ritirato il foglio nel quale è indicato il numero della nostra corriera. Inaspettatamente saliamo sul pullman giusto. Poco dopo siamo in albergo, un poco distrutti da un viaggio durato più di venti ore, che ha anche accumulato due ore di (fisiologico!) ritardo.

Cracovia, 29 gennaio 2005

Sveglia alle 6.30, partenza per Auschwitz alle 7.30. Pur essendo tra i primi, durante la visita siamo sistematicamente sorpassati. Ma non importa, perché i vari blocchi assorbono a tal punto che quasi paralizzano. È la seconda volta che li vedo: l’impressione è sempre sconvolgente, ma diversa. La prima volta lo sconvolgimento era accompagnato da un profondo silenzio. Questa volta il silenzio quasi antecede e accompagna la visita. Anche perché vedendo l’identico in realtà si vede di più e si vedono nuovi aspetti. Ma come sempre, si vede solo ciò che si conosce. Probabilmente è allora cambiata la conoscenza e quindi la visione. O forse più realisticamente, l’esperienza, il vissuto, mi hanno cambiato. Come diceva Sereni in una sua poesia il “Se Stesso” costituisce un perenne panta rei. Non forse, una flebile realtà evanescente, comunque qualcosa in perenne divenire. La guida parla, anche con puntualità, ma non la seguo perché il pensiero, come il mercurio, va per ogni dove. Mille gli spunti – tutti atrocin- che finiscono quasi per ottundere. La visita si svolge con un ritmo serrato, anche perché il numero di visitatori è significativo. Forse sarebbe meglio vedere i vari blocchi in completa solitudine. La guida polacca – durante la visita del blocco della morte (il famigerato blocco 11) – evita- chissà perché – di far vedere il piano superiore del blocco dedicato alle rivolte. Peccato, perché la visione di questi pannelli e di altro materiale analogo consente di rendersi conto come, in situazioni drammatiche, come quelle dei campi di sterminio, la coscienza morale può comunque continuare a rifulgere. La rivolta nasce infatti da una rivolta morale, da un insopprimibile no che si è fatto avvertire anche nei lager nazisti. I nazisti volevano animalizzare i detenuti, spersonalizzandoli, riducendoli a meri pezzi. Tuttavia, tra i sommersi (per dirla à la Levi), non tutti si sono lasciati ridurre a cose, alcuni hanno resistito, hanno detto no e hanno reagito, combattendo segretamente e, a volte, a viso aperto, la tirannia nazista.

A pranzo viviamo un autentico paradosso: mangiamo ad Auschwitz! In un nuovo ristorante. E’ quasi intollerabile: mangiare ad Auschwitz! Là dove la morte per fame era rigorosamente programmata sembra quasi di compiere un autentico crimine.

Nel pomeriggio si visita Birkenau- Auschwitz II. Tuttavia, con Alessandra, ci sganciamo dal nostro gruppo e approfittando dei preparativi per la cerimonia di commemorazione prevista per le 16,30, cogliamo al volo l’opportunità per vedere alcuni settori del campo che non avevamo mai visto. Così lasciando sulla nostra sinistra il monumento e i resti dei crematori distrutti dai nazisti poco prima dell’abbandono del campo, ci dirigiamo verso i depuratori e puntiamo direttamente verso il settore – immenso – del Canada per poi visitare l’edificio della Sauna (dove avveniva la registrazione dei prigionieri scelti per il lavoro schiavile e non immediatamente finiti nelle camere a gas). La nostra fuga non solo ci consente di visitare questi settori in una splendida solitudine, ma ci aiuta anche a meglio misurare, con la vista, l’immensità del lager. Così ci spingiamo ben oltre il crematorio fatto saltare durante la rivolta dei Sonderkommandos, ma raggiungiamo anche il cosiddetto bosco delle betulle (dove venivano bruciati a cielo aperto i cadaveri delle persone morte per effetto del gas) e poi, fatti sempre più intrepidi, oltrepassavamo il reticolato – passando per un piccolo spiraglio – e ci dirigiamo verso alcune fattorie esterne attraversando ancora un bosco di betulle ed i qualche rado pino silvestre. Ma anche oltre a questo limite estremo siamo seguiti da evidenti resti dell’originale recinzione in filo spinato e scorgiamo ampie buche sospette, resti inquietanti, di colonne in mattoni etc. L’impressione complessiva è che il campo si estendesse normalmente ben oltre il confine attualmente delimitato. Probabilmente le diverse fattorie e case che ora circondano il lager hanno finito per inglobare settori non irrilevanti del campo di Auschwitz- Birkenau. La neve che ricopre tutto ci aiuta a meglio intendere la tragica vastità di questo inferno nazista. Siamo così giunti probabilmente fino alla Casa Rossa del Campo.

Alle 16 iniziamo a tornare sui nostri passi per raggiungere il luogo convenuto per la cerimonia commemorativa.

I vari interventi ufficiali spiegano la ragioni del viaggio. L’ex ministro Flick tiene il discorso ufficiale, ma non è affatto incisivo: legge (!) alcune cartelle dimenticandosi, però, di accendere il megafono (!) con il risultato che pochissimi lo sentono. Poco male. Anche perché l’ex-ministro parla, addirittura, di leggi razziali (e non razziste) a proposito della legislazione emanata nel 1938 dalla dittatura fascista. L’errore, per quanto diffuso, non manca però di farmi sobbalzare. Chiude la cerimonia un docente della Bicocca di Milano il quale, con un aneddoto familiare, introduce un curioso legame tra lo zucchero e il fascismo che mi lascia solo dell’amaro in bocca. Ma la stragrande maggioranza ha comunque già acceso le candele e in silenzio, ci si reca verso l’uscita. Il silenzio accompagna questa processione e costituisce certamente il modo migliore per chiudere questa visita ad Auschwitz.

Cracovia 31 gennaio, 1-2 febbraio 2005

Gli altri giorni passano in un turbinio di iniziative, durante le quali nascono differenti occasioni di dialogo e di discussioni, a vari livelli. Così, tornando in pullman dalle miniere di sale, viene richiesto un intervento sul male nazista che sviluppo prendendo le mosse dalla riflessione di Hannah Arendt, muovendo poi qualche rilievo critico grazie all’archittetonica kantiana. In ogni caso queste discussioni e i vari campanelli che si formano spontaneamente testimoniano la fecondità dell’iniziativa. L’esperienza vissuta suscita dubbi, pone domande e impone un’ulteriore riflessione. E’ la strada giusta, quella indicata da Levi: ricordate perché questo è stato. È successo una volta e potrebbe riaccadere. Per impedirlo occorre conoscenza ed emozione, i due elementi sui quali il giorno della memoria ha fornito un contributo positivo. Ora occorre approfondire la conoscenza per rafforzare la lotta contro la perenne barbarie del nazi-fascismo.