Alessandra Chiappano ha curato la formazione avvenuta nei mesi precedenti al viaggio delle classi della Provincia di Milano, il Liceo Russell e l’Istituto Erasmo da Rotterdam di Bollate e degli insegnanti di Carpi.

 

Quando nel luglio dello scorso anno Lorena Pasquini archivista presso l’Archivio storico della CGL di Brescia, mi ha contattato per proporre che come Fondazione Memoria della Deportazione promuovessimo un viaggio ad Auschwitz, in occasione del sessantesimo della liberazione del campo, per seicento studenti sono rimasta molto perplessa. Non era una perplessità solo mia, anche le altri associazioni presenti a questo primo incontro si domandavano in che modo riuscire in una simile impresa. Le difficoltà erano molte: innanzi tutto reperire i finanziamenti ad hoc almeno per pagare agli studenti il viaggio in treno, un costo di circa € 150 ciascuno, poi trovare le scuole sensibili e gli insegnanti disponibili ad accompagnare le classi e, infine, avviare un programma di formazione per gli insegnanti e le classi che avrebbero aderito.

Si trattava di una mole di impegni e di lavoro davvero notevoli. Era luglio e ci lasciammo con l’idea di rivederci a settembre. Soprattutto per me la questione del reperimento dei fondi era un ostacolo non da poc a chi rivolgermi? Infatti né l’INSMLI né la Fondazione avrebbero potuto accollarsi un impegno di spesa simile e gli enti locali non ci erano propriamente amici…

Il primo di settembre ci rincontrammo. L’entusiasmo di Lorena era contagioso e così resa audace provai a rivolgermi la nuovo assessore all’istruzione della Provincia di Milano, Gian Sandro Barzaghi, che si dimostrò immediatamente disponibile, così come gli amici del Centro COOP di Novate Milanese. Grazie alla generosità di questi due sponsor anche Milano poteva avere un suo vagone: l’avrebbero riempito alcune classi del Liceo Russell di Milano e un gruppo di studenti dell’Istituto Erasmo da Rotterdam di Bollate. Superato lo scoglio più difficile, trovare gli sponsor, si è dato avvio ad un capillare lavoro di formazione: personalmente mi sono recata a Carpi, a Bollate, al Liceo Russell. Per me, infatti, era importante che gli studenti e gli insegnanti avessero un’idea di che cosa era Auschwitz e ricevessero una adeguata informazione sul tema della deportazione, nelle sue varie sfaccettature. Oltre a me ha curato l’aspetto formativo Raffaele Mantegazza dell’Università Bicocca.

Lorena e Silvia Mantovani della Fondazione Fossoli si sono mosse per fare in modo che ci fossero contatti con i treni che, rispettivamente, sono partiti dalla Toscana e dal Piemonte e per avere con noi durante il viaggio il gruppo rock dei Modena City Ramblers, assai popolare fra gli studenti.

Insomma, il nostro progetto assumeva proporzioni sempre più vaste e l’attesa era grande. Eppure dentro di me continuava al albergare un dubbi come trasformare un evento che si preannunciava ricco da un punto di vista emotivo in un momento anche formativo? Mi spaventava l’idea del grandissimo numero di studenti e temevo che si perdesse il senso di dove si andava e perché. Certo, il viaggio in treno aveva una sua forte valenza simbolica: in un certo senso avremmo ripercorso il tragitto seguito dai vagoni piombati sessant’anni prima, ma i ragazzi avrebbero colto questo aspetto? Oppure tutto si sarebbe trasformato in nulla più che una gita scolastica come tante altre? Come rendere significativa la visita al Museo di Auschwitz e a Birkenau visto il numero così elevato di ragazzi? Queste erano le domande che mi frullavano in testa nei giorni prima della partenza. Ovviamente avevamo convenuto di usare il vagone ristoro per fare dei momenti di riflessione e per questo avevo coinvolto un filosofo, Fabio Minazzi, che già da tempo seguiva un suo percorso sulla filosofia della shoah.

Tuttavia ero inquieta e questa inquietudine nasceva dal fatto che a mio giudizio ai luoghi di memoria ci si deve accostare tenendo in mente alcuni elementi: innanzi tutto le trasformazioni che essi subiscono, sia per il tempo inevitabilmente trascorso, sia per la mano dell’uomo che di fatto con il trasformare questi luoghi in musei vi ha impresso un profondo mutamento. Inoltre nel luogo occorre immergersi, destrutturarlo con l’immaginazione per comprenderlo in tutta la sua complessità. Affinché i testimoni di pietra ci parlino è necessario che all’emozione che provocano in noi si affianchi la conoscenza. A mio parere infatti la visita ai campi di sterminio non produce quell’apprendimento che si vorrebbe se non si tengono in considerazione questi due poli: l’emozione che inevitabilmente essi producono e la conoscenza che di essi occorre possedere. E’ ovvio infatti che Auschwitz non si presenta affatto ai nostri occhi come era al tempo in cui ha rappresentato, per un enorme numero di prigionieri, l’anus mundi, come ebbe a scrivere un medico nazista di stanza nel campo. Auschwitz uno o campo madre oggi è un museo ed è necessario quindi comprendere che le baracche non si presentano ai nostri occhi, curiosi e desiderosi di capire l’indicibile, come erano al tempo in cui il campo era abitato da una folla di schiavi senza nome. E infine l’immensa vastità di Birkenau ha bisogno anch’essa di essere compresa: soltanto trenta baracche sono rimaste intatte, ma allora erano 300 e i forni sono stati distrutti…Forse le mie considerazioni possono sembrare banali, ma studenti presi da mille suggestioni avrebbero avuto il tempo e la pazienza di comprendere quello che questi luoghi così intrisi di memoria avevano da dire loro? O si sarebbero fermati di fronte ad impressioni immediate? Si tenga conto poi che la struttura museale di Auschwitz non aiuta: si tratta di una esposizione vecchia come impianto narrativo, molto spesso le didascalie sono solo in polacco, lingua, ai più, sconosciuta….

Considerato il numero così consistente di studenti devo dire che è stato fatto un lavoro egregi gli studenti mi sono sembrati consapevoli e complessivamente preparati, le guide e l’organizzazione a cura dell’agenzia Fabello, espertissima , ha fatto sì che tutto si sia svolto in modo soddisfacente. Certo, forse alcune baracche avrebbero potuto essere visitate con maggiore cura, ma, nel complesso, credo che lo scopo del viaggio sia stato raggiunt gli studenti come gli insegnanti una volta sul treno di ritorno hanno chiesto di ripetere l’iniziativa, di farla diventare un appuntamento annuale e questo mi sembra un risultato notevole. Credo inoltre che i momenti comuni, vissuti insieme agli studenti provenienti dalla Toscana e dal Piemonte, al Palazzotto dello sport di Cracovia, segnati dalle splendide e coinvolgenti musiche di Settimelli e di Fink così come dai ritmi travolgenti dei Modena City Ramblers abbiano costituito una tappa importante, un momento di vita vissuta intensamente insieme a moltissimi altri coetanei.

Sebbene resti convinta che un viaggio simile possa essere assai più proficuo da un punto di vista strettamente conoscitivo se i partecipanti sono pochi, tuttavia devo convenire che la scommessa fatta in un freddo giorno di luglio è stata vinta e mi pare di poter dire che abbiamo offerto a questi giovani un’esperienza vera e profonda.