ANED – Fondazione Memoria della Deportazione – Gruppo Giovani
– via Dogana 3, Milano –
Giornata di studio: “GLI INTERNATI MILITARI ITALANI”
25 maggio 2005
Claudio Sommaruga
Ex internato militare e deportato politico, ricercatore storico dell’ANRP e del GUISCO
NUOVE PROSPETTIVE DI RICERCA
IL SILENZIO DEI REDUCI E L’AFFOSSAMENTO DELLA LORO STORIA
1945-47: rimpatriammo dai lager nazisti, sovietici e titini in 600.000 (arrotondando), lasciandoci alle spalle più di 120..000 caduti: 30.000 della prima resistenza e poi, nei Lager d’Europa o per postumi al rimpatrio, 50.000 internati (IMI , ex IMI civilizzati, ex IMI deportati) e 40.000 deportati civili (ex partigiani, politici, razziali, asociali).
Non ci sentivamo eroi, perché gli eroi sono eccezioni e noi eravamo massa, ma eravamo fieri della nostra scelta e di non avere rivolto le armi sugli italiani!
Fummo accolti in patria con diffidenza, preoccupazione e indifferenza, da un apparato statale traballante, ancora per poco monarchico e transitato con molti stessi uomini dal regime fascista a quello di Badoglio, al neofascismo repubblichino e al post fascismo tendenzialmente repubblicano dei governi Parri e De Gasperi: questi non volevano noie, ricordando forse le rivendicazioni ed il ruolo dei reduci italiani della Grande Guerra nella “Marcia su Roma” e nell’”Impresa di Fiume” e di quelli tedeschi con gli “Elmetti d’Acciaio”!
Fummo accolti, allora, come il fumo negli occhi da quattro Italie: monarchica, ex repubblichina, repubblicana e attendista! Per la monarchia eravamo i testimoni imbarazzanti e risentiti del pasticciaccio che ci aveva travolto l’ “8 settembre”: come avremmo votato? Per i fascisti eravamo i traditori e nemici, propagandati come loro collaboratori ed ora smentiti. Per i partigiani e per lo più repubblicani, eravamo i relitti dell’ “altra” ben più numerosa Resistenza, e che potevano anche far ombra, ma soprattutto eravamo i relitti di un esercito monarchico compromesso da guerre fasciste perdute, ma riscattato l’8 settembre con l’avvio della Ressitenza coi “NO”! legalitari dei “volontari nei Lager”, e con le armi e poi con l’ addestramento in montagna dei primi partigiani civili: non si doveve sottolineare l’origine monarchica di una resistenza popolare repubblicana! Infine ci accolse la marea degli “attendisti” , non della libertà e della democrazia ma della fine dei bombardamenti alleati! Erano i parenti di tutti, fascisti , antifascisti, agnostici e di “Noi dei Lager”, ma erano i “patres familiae” prudenti, quelli della “non scelta” per sopravvivere tra sfollamento, fame e lavoro, noncompromessi coi tedeschi e i fascisti e poco coinvolti coi partigiani…Ra loro c’erano anche profittatorie voltagabbana…In poche parole stavamo sullo stomaco atutti, salvo mamme e congiunti e poi eravamo troppi, concorrenti di altrettanti di milioni di “senza lavoro” e c’era per giunta la Guerra Fredda: guai dir male della Germania, ora partner nella Nato e in Europa e meta di nostri emigranti!
Così, confessò Taviani, la ragion di Stato affossò Cefalonia e così pure gli IMI! Frustrati, delusi e zittiti, non parlammo come Eduardo interpreò nel reduce zittito del “Oro di Napoli” e gli italiani non vollero sapere. Così la storia dei 700.000, volontari per lealtà nei lager e dei loro 7.000.000 di congiunti e amici angosciati, fu affossata dallo Stato, ignorata dalla gente e dalla scuola e riscoperta solo da 20 anni riscoperta dagli storiografi e dagli ultimi reduci che tentano di ricordarla.
LA “RIMOZIONE” NEL 90% DEGLI IMI E L’INAFFIDABILITA’ DELLE TESTIMONIANZE TARDIVE
Da un sondaggio a spanne, nei Lager, specie degli ufficiali, furono annotati a futura memoria, in stile telegrafico ed enigmatico per mancanza di carta e pro- censura, forse 10.000 appunti e diari clandestini. Metà pervenne in Italia ma, rifiutata dall’editoria e dai librai per mancanza di lettori, ingilallì nei cassetti dei ricordi. In 60 anni si pubblicarono, per lo più fuori commercio e distribuiti inter nos, meno di 400 memoriali, con una tiratura complessiva di meno d’una copia per reduce, salvo i best seller di Guareschi e Levi letti anche dal grosso pubblico. Solo il 10% dei reduci si iscrisse alle associazioni e magari tardivamente. Se ai memoriali sommiamo le testimonianze brevi delle antologiae e dei media , solo un reduce su 500 ha avuto il coraggio di testimoniare. Anche la saggistica,, per lo più recente e limitatia di fatto agli addetti ai lavori, non raggiunse il grosso pubblico e la scuola. Queste sono le cifre emblematiche della rimozione del lager nel 90% degliIMI e dell’affossamento nazionale di una storia importante: se i 700.000 NO iniziali fossero stati altrettanti SI, che storia si sarebbe poi scritta ?
Ma la rimozione non fu u fenomeno solo dei reduci, ma anche di tanti collaboratori e attendisti al confronto, per non rivelare il passato!
Per gli storiografi, solo poche delle già poche testimonianze sono affidabili, se annotate in tempi reali o a memoria fresca, con originali consultabili, non corrette e inquinate. Sono poi testimonianze ripetitive di tempi, luoghi e cronache dei Lager visti da dentro e fuori dal contesto reale: fame, sofferenze, voci di campo, evasioni virtuali con diario, poesia, religione, solidarietà, cultura per tornare uomini e non più pezzi numerati!
Le lettere a casa poi, tutte standard, hanno omertà e pie bugie per non addolorare le mamme: “Io sto bene, così spero di voi …” e si moriva di fame e gli argomenti erano sempre quelli: la voglia di notizie, la posta, i pacchi, la nostalgia, e mai riferimenti a realtà, alla politica e alle violenze!
Ma in ogni testimonianza c’è sempre un particolare che può sfuggire e che, se notato in più testimonianze, può diventare importante: perciò la caccia alle ultime testimonianze non è superflua, va solo sfruttata con acume prudenza.
VORAGINI DELLA STORIA DEGLI IMI DA ESPLORARE
Il “dovere della memoria” dei nonni e il “diritto della conoscenza” dei nipoti, sollecitati anche dal nostro presidente Ciampi: come e perché i nonni hanno lottato per dare anche ai nipoti la libertà e la democrazia! Per questo la scuola e l’università devono frugare anche nei cassetti di casa, le nostre memorie per tramandarle.
Non ci furono solo la Shoa e i partigiani, né solo Auschwitz e Cefalonia, approdati tardi ma finalmente ai media e alla gente, ma ci furono anche gli altri Lager e le altre resistenze, con o senza armi, dalla Corsica a Roma, all’Egeo, ai Balcani e quella degli IMI, “volontari” nei Lager” e tante altre storie ignorate dai più.
Dobbiamo essere grati ad alcuni storici tedeschi ed in particolare a G. Schreiber (la banca-dati degli IMI!), a G. Hammermann (che la integra), a L. Klinkammer, C.U. Schminck-Gustavus e altri ancora, ed agli storici italiani: G. Rochat, che dal 1984 avviò l’indagine storica sistematica degli IMI, L. Cajani, E. Collotti, N. Labanca, B. Mantelli e altri ancora, che gettarono le basi di una storia dell’internamento e della deportazione militare e delle stragi in Italia e a Cefalonia Italia e a Cefalonia. Ma sono solo basi di partenza da integrare con le testimonianze e gli archivi, estendendole anche a temi di ricerca trascurati magari per carenze di superstiti e cancellazioni volute.
Purtroppo gli archivi istituzionali italiani e tedeschi, scampati alle distruzioni belliche o volute, sono troppo spesso sconosciuti, lacunosi e inagibili. A fine guerra mancò poi, a memoria fresca e abbondanza di reduci, un’esauriente raccolta istituzionale italiana delle fonti, con l’effetto di cancellare fatti e strapazzare la storia in un caos di cifre anche tirate a spanne, contraddittorie e di contenuto enigmatico. Per esempio, secondo gli autori, le cifre degli IMI caduti variano da 33.000 a 51.000: non sono cifre contraddittorie ma fuorvianti se non si precisa cosa contengano, dai soli morti in Germania al totale dei morti nei territori controllati, a quelli per postumi al rimpatrio, nelle seconde prigionie di IMI sotto Stalin e Tito, degli ex IMI “civilizzati” (volontari e precettati) o deportati, dei dispersi, ecc. Così pure gli optanti nei lager variano in letteratura da meno di un 2% propagandistico, ministeriale e per decenni delle associazioni (pari a 10.000 combattenti) a più del 14% (42.000 combattenti e 61.000 ausiliari)! (cfr. Schreiber, 1992 e Sommaruga, 1999).
Ora “che i buoi sono scappati” assistiamo a una crescente caccia agli ultimi testimoni (o adesso o mai più!) da parte degli storiografi, dei media e delle scuole italiane e tedesche: per esempio, quest’anno ho testimoniato ad oltre 2000 studenti (e 600 adulti) contro i 900 dell’anno precedente!
Oggi le testimonianze dei reduci sono numerose, ma anche ripetitive e non sempre affidabili, sono cronaca e non ancora storia e ci sono ancora voragini buie da esplorare: ne cito qualcuna tra le numerose che da anni vado segnalando da reduce, vox clamantis in deserto. (cifr. anche C. Sommaruga, “NO!”, ANRP, 2003 – Articoli su “Rassegna” ANRP., 2000-2005 –”Una storia affossata”, Archivio IMI, dossier n.3 e Internet: www.resistenza.org).
1) – Calvario e resistenza degli IMI, nota dalle cronache “da dentro”, ma da inquadrare nel contesto “fuori” dei reticolati, dai 24 milioni di “schiavi di Hitler” all’economia bellica e ai tempi della disfatta del Reich. Manca una banca dati delle disposizioni, gestioni, movimentazioni naziste degli IMI, disperse in archivi, biblioteche e testimonianze: cioè manca la storia dell’internamento non come cronistoria, ma come programmata e realizzata in un piano utopico dai nazisti (cfr. C. Sommaruga: bibliografia (1997/2001) – Conv. Firenze 1992 – Archivio IMI, Dossier n. 4 e 5 in preparazione).
2) – Gli IMI/KGF – Si parla degli IMI, ma si trascurano gli oltre 20.000 coatti nei battaglioni di lavoratori “ausiliari” (Bau-Btl) al seguito della Wehrmacht (ai fronti italiano, balcanico e russo): erano i “badogliani” resistenti fin dalla prima ora e non assassinati come a Cefalonia, immatricolati formalmente come IMI, ma di fatto KGF senza tutele (come i russi), discriminati dagli IMI e magari frammisti agli “ausiliari” volontari, schedati dalla propaganda nelle FF.AA. di Salò!
Molti IMI e KGF abbandonati ai fronti dalla Wehrmacht subirono una seconda prigionia sotto Stalin o Tito, come collaboratori dei tedeschi e un rimpatrio ritardato (anche nel 1947!) (cfr. C.Sommaruga: Conv. Modena, 1999 – “Rassegna” ANRP 2000 – “NO!“, ANRP 2003).
3) – Deportati in patria – Furono alcune migliaia di ritardatari della “leva Graziani” inquadrati in “battaglioni di disciplina” di lavoratori militarizzati della RSI, sotto controllo tedesco, impiegati ai fronti, prima in Italia e poi in Germania, ma di fatto KGF “sfregiati” con le stellette badogliane, picco e pala, indegni di fregiarsi dei gladi repubblichini e di impugnare le armi: classificati badogliani” dai fascisti e “ragazzi di Salò” dagli antifascisti: dopo la guerra dovranno effettuare un nuovo servizio militare! (cfr. C.L. Facchin, 1995 – C.Sommaruga, “Rassegna” ANRP 2004).
4) – L’epopea delle divisioni “Garibaldi” e “Italia” e dei partigiani italiani all’estero – La storia confusa e lacunosa dei nostri militari sbandati in Grecia e nei Balcani, imboscati tra i contadini e dei prigionieri dei tedeschi spesso in alternanza coi partigiani, come combattenti o prigionieri secondo le opposte fazioni nazionaliste e comuniste.
La guerra fredda ha oscurata l’epopea balcanica dei garibaldini delle divisioni partigiane Garibaldi e Italia, uniche unità di Badoglio “che non si arresero mai”, bollate come comuniste dai tedeschi (KBK, Komunist Badoglio Kamp) e dagli italiani perché alleate necessariamente del comunista Tito, sorvolando che anche gli anglo-americani erano alleati del comunista Stalin e che oltre i due terzi dei nostri partigiani erano socialcomunista! Gli ufficiali della “Garibaldi” catturati dai tedeschi e separati dai soldati, furono concentrati come KBK negli Oflag degli IMI, ma distinti da questi persino col divieto del lavoro civile “volontario” imposto agli IMI (cfr. C. Sommaruga, in Rassegna, 2003 e Camicia Rossa, 2004).
5) – Le seconde prigionie sotto Stalin di 12.000 IMI/KGF (con oltre 1000 morti!) considerati come “ausiliari” della Wehrmacht. Con la caduta del Muro di Berlino, si sono resi accessibili gli archivi russi del NKVD/KGB con gli elenchi di questi prigionieri frammisti ai superstiti dell’ARMIR, con dati anagrafici, militari, di cattura e Gulag, dei rimpatriati e dei deceduti: dati in riordino presso C. Vicentini (UNIRR, Unione Naz. It. Reduci Russia, Roma), parte in copia nel mio “Archivio IMI” (morti di tutte le divisioni e i reduci “Acqui”).
6) – Le seconde prigionie degli IMI sotto Tito di 10.000 IMI e IMI/KGF, sopravvissuti, collaboratori (assieme a forse 5000 civili dalmati e istriani) forse con 5000 morti complessivi. Le cifre e gli elenchi dei prigionieri di Tito si dovrebbero desumere al Min. Difesa, dagli elenchi dei rimpatriati dai Balcani nel 1946-47.
7) – I tedeschi prigionieri di Badoglio. Non se ne parla, ma il 13 settembre 1943 la div. “Acqui” catturò a Corfù 450-550 militari della Wehrmacht e il 21 ne trasferì 441 (di cui 7 ufficiali) fortunosamente in Italia, scortati da alcune decine di carabinieri, su pescherecci mobilitati dal capo partigiano Papas Spiru. Questi furono gli unici prigionieri di guerra tedeschi in mano a Badoglio! E’ verosimile che si debba ad essi, per reciprocità, il mancato eccidio della “Acqui” a Corfù, a differenza di Cefalonia e altrimenti inspiegabile e del trattamento in Germania (da fine marzo 1944) dei prigionieri italiani del CIL, non come gli IMI ma a livello dei prigionieri di guerra alleati, pur non riconoscendo belligerante il Regno d’Italia sotto controllo Alleato. Del resto, anche per gli Alleati, il Regno d’Italia non era belligerante e solo in un secondo tempo co-belligerante. (cfr. E. Zampetti, 1945, 1984 – C. Sommaruga, Stadium, 1995 e Il Risorgimento, 2005)
8) – I personaggi meritevoli d’essere conosciuti dalla gente – Oltre ai noti scrittori G. Guareschi, P. Levi e A. Natta ed ai beneficandi G. Lazzati e T. Olivelli, approdati ai media, alla gente e alle scuole, vi erano nei Lager altri personaggi carismatici come i fiduciari di campo G. Brignole (M.O.), P. Desana, F. Micheli, P. Testa, il cappellano don L. Pasa e uomini che con la cultura guidavano la resistenza degli ufficiali nei lager, come il pittore umorista G. Novello, il poeta R. Rebora, il filosofo Paci, l’umanista G. Bonfanti, l’attore debuttante G. Tedeschi, il poeta T. Guerra e il fiore dei giovani docenti delle università italiane.
In particolare, tra gli ignorati dalla gente, ricordo il gen. C. Trionfi trucidato in Polonia dalle SS: la salma individuata, riesumata e traslata in Italia nel 1955 per iniziativa della figlia, ebbe l’affronto della sepoltura ritardata e non ufficiale sotto il governo Tambroni! L’assassino, scovato da S. Wiesenthal, restò impunito per l’archiviazione del processo in Germania, nel 1982, per la mancata trasmissione dal nostro Min. Difesa della richiesta “documentazione di servizio” del gen. Trionfi! Infine nel 1998, il Min. della Difesa dichiarava alla figlia di non conservare le testimonianze sul massacro depositate da due generali, né sul suo Of. 64/Z, benché oggetto di pubblicazioni anche dell’Aeronautica (cfr. Unia, 1977) e dove erano internati più di 200 nostri generali! Esempio emblematico dell’affossamento istituzionale della storia degli IMI durante la “guerra fredda”! (cfr. Sommaruga, 2001; Trionfi 2004, postumo).
Poi ricordo il caso unico di don G. Visendaz che segue i soldati, li difende nei Lager tedeschi, evade e raggiunge l’Italia passando dall’Olanda alla Francia (contatti col mquis!), Spagna e Nord Africa, sempre dedicandosi a salvare dai soprusi soldati di mezza Europa abbandonati dai capi. (cfr. Visendaz, 2005 (postumo, pref. G. Rochat)).
Altro caso: la crocerossina M.V. Zeme, mancata da poche settimane, ignorata dai media e ricordata solo a Verbania e dalla Croce Rossa. Era la più giovane crocerossina volontaria nei Lager per non abbandonare i soldati, non diversamente dai medici e dai cappellani e rimpatriata in barella. (cfr. Zeme / Sommaruga, 1994).
Oppure il caso straordinario del ten. E. Boletti, degno di una “fiction”, mio compagno di Lager nella fortezza di Deblin, un primato da Guinness di 10 anni di prigionie, uno dei pochi evasi con successo dai Lager nazisti, poi “eroe della resistenza polacca”, prigioniero di Stalin (due anni di Lubianka e sei di Siberia, oltre il circolo polare!), ultimo reduce di guerra europeo (rimpatriato nel 1953!), poi sindaco per 17 anni di Castiglione delle Siviere e ivi fondatore del Museo Internazionale della Croce Rossa. Anche Boletti è mancato da poche settimane nel silenzio della patria e dei media e ricordato solo dalla Croce Rossa e non riscoperto come invece Per lasca dopo mezzo secolo! (cfr. Sommaruga 1995, 2003).
LE FONTI DISPERSE SUGLI IMI
Negli archivi tedeschi e italiani giacciono milioni di dati degli IMI, per lo più colpevolmente ignorati o burocraticamente inaccessibili e che si potrebbero utilizzare, almeno statisticamente e nei fatti (senza nomi per la privacy, benché trascorsi più di 50 anni) mobilitando volontari informatici e laureandi e una forte regia dell’università.
Purtroppo, prima della resa dei conti, i nazisti distrussero parte degli archivi locali dei prigionieri, ma non fecero a tempo, come ordinato da Hitler e da Himmler, a sterminare i prigionieri, con marce della morte e stragi, per non lasciare testimoni in mano agli Alleati! Da parte loro gli italiani, anche per le ragioni politiche esposte, insabbiarono i dati (come le famose “casse di Wietzendorf” scomparse nel 1965 al Min. Difesa) e non raccolsero al rimpatrio le testimonianze a memoria fresca dei reduci, limitandole a poche righe d’ufficio. Nel 1985 il gen. P.L. Bertinaria, direttore dell’Uff. Storico Stato Maggiore Esercito (SME), riferendosi agli IMI, confessava che “l’archivio dell’Ufficio dispone in proprio di una documentazione assai scarsa, per non dire quasi nulla, comunque del tutto insufficiente per…”! (cfr. Bertinaria, Conv. di Studi di Firenze, 1985 (ed. 1986).
In particolare cito, tra le molte fonti trascurate e ancora da indagare:
CONCLUSIONI
Dunque i dati esistono ma gli istituti storici dovrebbero affrontare collegialmente l’improba fatica di individuarli ed accedervi, perché dispersi e troppo spesso burocraticamente bloccati. Scarseggiano, anche se in aumento, i laureandi e i ricercatori volontari: molti me ne hanno promessi per ordinare l’ARCHIVIO IMI, ma ne ho visti pochi. Poi vanno rarefacendosi, a ritmo anagrafico accelerato, i testimoni ancora validi e che possano chiarire enigmi agli storiografi non protagonisti.
C’è una marea di dati da informatizzare, utili per statistiche e ricostruzioni non a spanne degli iter della deportazione, internamento, lavoro, civilizzazione, opzioni, ecc… specie dei soldati di cui si sa meno dei meno numerosi ufficiali. Ma bisogna darsi da fare presto, perché sarà sempre più difficile tamponare i“buchi neri” della storia con quel poco che si è salvato!
Ogni famiglia ha avuto un parente internato o deportato che non ha parlato ma che segretamente aveva note segrete e cimeli: invitiamo i nipoti a recuperare il poco rimasto. Le telefonate che ricevo e l’attenzione commossa di migliaia di nipoti incontrati in questi ultimi anni nelle scuole mi confermano il diritto e il desiderio dei giovani di conoscere la memoria dei nonni, e il dovere della scuola di conservarla anche integrando i manuali scolastici con un capitolo sugli IMI e la resistenza all’estero, che oggi ignorano limitandosi tutt’al più ad un capitolo sulla Shoah e sulle foibe.
Non solo il 27 gennaio, Giornata della Memoria, ma tutto l’anno!