Pubblichiamo l’intervento di Ionne Biffi, dell’ANED di Sesto San Giovanni, nel corso della manifestazione internazionale a Gusen, 8 maggio 2010.
Ancora una volta sono qui, davanti al Memoriale che racchiude i forni crematori che vogliono ricordare al mondo intero l’esistenza del Lager di Gusen. In questi forni sono stati inceneriti adulti e bambini che io desidero commemorare insieme con voi. Un deportato Italiano di Gusen, Angelo Signorelli, mi raccontò che, durante la sua deportazione, vide sfilare nel campo “una colonna di bambini dai quattro ai sette anni circa con le manine alzate”. Infatti, una triste cronaca racconta che, alla fine di febbraio 1945 giunsero a Gusen 420 bambini ebrei, dai quattro ai sette anni di età, totalmente deperiti. Nell’ottobre scorso, nel corso dell’inaugurazione del percorso “Audioweg” in lingua italiana, appresi dalla voce di una abitante del luogo, testimone oculare, che tanti bambini furono infilati dai nazisti in sacchi di iuta e lanciati contro un muro, fino alla loro morte.
Bambini ai quali fu negata l’infanzia e, purtroppo, anche la vita. La guerra è un’onda devastatrice, non colpisce tutti allo stesso modo ma tutti quelli che la incontrano devono fare i conti con essa. Anche a me, in quanto figlia di deportato deceduto nel 1945, è stata negata l’infanzia e credo che il mio racconto possa presentare analogie con le memorie di tutti i bambini che persero il padre in simili circostanze. Le memorie private vogliono ricordare gli affetti perduti e la conseguente inesorabile modifica della quotidianità, descrivono le sofferenze di cui non c’è traccia nei libri.
Sono nata a Sesto San Giovanni nel periodo della seconda guerra mondiale e ho trascorso i primissimi anni di vita godendo dell’affetto dei miei genitori. Due persone assolutamente per bene che, trovandosi quotidianamente in difficoltà proprio a causa della guerra, decisero, come tante altre persone, di non restare passive ma di portare il loro contributo personale al bene comune. Erano consapevoli che questa scelta avrebbe anche potuto avere conseguenze devastanti per la nostra famiglia.
E così fu. I fascisti, in una notte del marzo 1944, irruppero nella nostra casa ed arrestarono papà, senza comunicarci dove sarebbe stato portato. Dopo tante disperate ricerche, mamma lo vide recluso a Bergamo. Di lì a qualche giorno seppe che mio padre fu fatto partire per ignota destinazione e noi non avemmo altre notizie di papà fino alla fine della guerra, quando incominciarono a tornare i primi sopravvissuti dai campi nazisti. Ci raccontarono le atrocità e le barbarie avvenute in questi luoghi e ci dissero che la vita di mio padre si era spenta qui, nel Lager di Gusen, dopo tante indicibili sofferenze. Il pensiero di queste sofferenze rese più grave la sua perdita e ha inciso profondamente su tutta la mia vita.
L’arresto di papà rappresentò per me e mamma l’inizio di un nuovo percorso di vita, una vita difficile e drammatica. Dopo tante ricerche e richieste mamma trovò finalmente un lavoro lasciandomi sola a casa durante il giorno. All’epoca ero piccola, avevo quattro anni e ovviamente non ero autosufficiente.
Tutti i nostri vicini di casa ci dimostrarono grande solidarietà e si presero l’impegno, a turno, di accudirmi gratuitamente. Diventai parte di quella grande famiglia allargata e sentii molto anche l’affetto degli zii e dei miei cugini paterni. La famiglia di mamma invece ci abbandonò, chiuse i rapporti con noi, non avendo approvato l’operato dei miei genitori.
In casa mia sparirono i sorrisi e le canzoncine della mamma, ed entrarono tante difficoltà quotidiane. La società che ci circondava offriva solo una vita piena di sacrifici.
La scuola elementare incominciò e mi sentii subito diversa dalle mie compagne. In uno spazio di tempo molto ristretto avevo perso almeno la metà dei miei affetti e il mio mondo era stato sconvolto in modo improvviso e irrimediabile. Non avevo un papà ma non avevo neppure la sua tomba, era proprio sparito dalla mia vita. Non capivo perché parte della famiglia non ci parlasse più, non venisse più a trovarci. Non capivo, non capivo la mia situazione, mi facevo e facevo domande anche sui comportamenti altrui subiti. Mi era difficile trovare o comprendere le risposte che mi venivano date anche perché, così piccola, non possedevo la capacità di elaborare gli avvenimenti accaduti. Inoltre, vivevo sempre con il grande terrore che accadesse qualcosa di spiacevole anche a mamma, che per me era diventata l’unico riferimento. Papà, con il suo operato, mi aveva imposto un percorso di vita totalmente diverso rispetto a quello che avrei avuto se lui fosse vissuto.
Impiegai anni a elaborare i miei sentimenti e poi capii. Capii, capii quanto grande e generosa era stata la decisione di papà di impegnarsi a favore di una causa nobile che voleva ridare la perduta dignità all’Italia e agli Italiani. Intraprese una lotta impari e diede la vita. Ma il suo sacrificio, unito a quello di tutte le persone che lottarono con lui, donò i valori della libertà e della democrazia alla nostra Patria.