VITTORIANO ZACCHERINI – Non credo vi sia qualcuno che possa mettere in dubbio l’eccezionalità storica e l’importanza che questo XI congresso dell’Aned riveste per noi, per la vita della nostra associazione, per il nostro paese. Come attestano i numerosi interventi e le appassionate discussioni precongressuali e i documenti che sono stati elaborati nei mesi che l’hanno preceduto, questo congresso si celebra non solo in una fase delicata della nostra storia nazionale, dell’Europa e del mondo, ma si colloca altresì in un mornento critico per la vita della nostra associazione.
I 50 anni che ci separano dai giorni lontani della fine della guerra e della liberazione dei campi costituiscono infatti un tempo lungo se si pensa che coprono l’arco di ben due generazioni, ma lunghissimo per noi che ne siamo i superstiti e gli ultimi sempre più rari testimoni. t giunto dunque il momento, come giustamente molti di noi sempre più -insi stènte mente si ripropongono, di riconsiderare con realismo e concreta determinazione la necessità di studiare iniziative capaci di dar vita e continuità alla memoria.
Il Cinquantenario perciò, soprattutto per noi, non dovrà esaurirsi nell’enfasi celebrativa dei ricordi o, peggio ancora dati i tempi, in uno sterile e sfiduciato ripiegamento in noi stessi. Dovrà, al contrario, offrirci preziose occasioni tramite le importanti manifestazioni nazionali e internazionali che sono previste nei prossimi mesi per dar continuità, da un lato a iniziative ormai consolidate nel tempo e, dall’altro, per sperimentare ed avviare i nuovi progetti che, come si è prima accennato, i dibattiti precongressuali hanno indicato e che questo congresso certamente non mancherà di meglio precisare e definire. Né deve abbatterci l’inevitabfle sentimento di amarezza e di sconforto che ci coglie di fronte al degrado politico e morale dei tempi presenti e agli osceni tentativi di mistificazione storica messi in atto da uno spiegarnento di mezzi informativi imponenti, mai visti fino ad ora.
Dobbiamo fare in modo che le nostre testimonianze, qqe[le dei parenti e dei nostri compagni caduti nei campi, dei partigiani, degli antifascisti, di tutti coloro che parteciparono alla Resistenza raggiungano, ora più che mai, non solo, com’è naturale, i giovani, ma anche tutti coloro che oggi ìnconsapevoli ed immemori sembrano avere definitivamente rimosso dalle loro coscienze i ricordi di quei giorni di sacrificio e di lotta. Se si considera l’esiguità delle nostre forze e dei mezzi a nostra disposizione so bene che questi obiettivi possono sembrare improponibili e le mie parole possono suonare velleitarie o, se si è benevoli, essere considerate in un puro semplìce e patetico incitamento a farei coraggio. Pur tuttavia, a me pare che a dispetto dei tempi e della povertà dei nostri mezzi valga ancora la pena di impegnare le nostre residue energie delle sezioni dell’associazione nazionale nello sforzo di contribuire a far riemergere dal fondo della memoria collettiva del nostro Paese, assieme con i fatti, i sentimenti, le passioni, gli ideali che il sacrificio di intere generazioni, le nostre sofferenze e il martirio dei nostri compagni che persero la vita nei campi di concentramento hanno santificato.
Per questi motivi sono portato a pensare che se è indubbio che l’Aned stia, per l’inesorabile legge del tempo, via via esaurendo il suo compito originario, pur tuttavia non credo che, almeno nel tempo presente, la sua funzione di testimonianza possa dichiararsi ancora definitivamente conclusa. Può darsi, è vero, che le esperienze stimolanti che io e la sezione di Imola stiamo attualmente vivendo facciano velo al giudizio, riconosco anche che le favorevoli condizioni locali di cui noi imolesì godiamo possano costituire sotto certi aspetti un’eccezione. Certo è tuttavia che mai come ora, proprio in coincidenza con l’avvento al potere di forze neofasciste l’interesse, per noi e la nostra associazione è stato più vivo. Certo è che mai come ora, allorché più capillare e raffinata si sta facendo la diffusione di una revisione storica che sotto la finzione dell’obiettività e di una falsa concordia nazionale pretende di confondere perseguitati e persecutori, siamo stati richiesti dalle scuole, dalle associazioni giovanili, dagli istituti culturali. Certo è che mai come ora, quando più duro sembra farsi l’attacco della destra neofascista alle istituzioni e alla Costituzione, siamo stati chiamati tanto spesso all’appello da organizzazioni che, pur essendo state tradizionalmente a noi vicine, sembravano da tempo estinte o assopite in un sonno senza risveglio.
E inutile nasconderlo, questo nuovo clima che ci circonda, le attestazioni di gratitudine, le richieste di approfondimenti che non di rado fanno seguito a questi incontri, provenienti anche da ambienti culturalmente diversi dal solito, non solo ci rinfrancano e ci danno slancio, ma ci convincono pure che la nostra voce è ancora in grado di offrire un utile e insostituibile apporto contro l’offuscamento delle coscienze e per il ripristino di verità storiche minacciate. Con ciò non si vuole certo disconoscere l’urgenza che ognuno di noi sente, di predisporre con decisioni e atti concreti a partire da questo congresso le condizioni più favorevoli possibili per mantenere in vita assieme con il ricordo, l’esiaenza di ampliare ed approfondire, attraverso lo studio e la ricerca sulla deportazione, uno degli eventi più tragici e significativi della storia del nostro Paese e dell’Europa.
Con il rimarcare l’importanza del compito che l’Aned può ancora assolvere nell’urgenza delle oscure giornate che stiamo vivendo, ho voluto solo esprimere sinceramente e semplicemente il senso di disagio che mi assale quando-nel mezzo di una lotta che si annuncia lunga e difficile, il cui esito forse sarà decisivo per i destini del nostro Paese, ingiustamente mi si ricorda che siccome la vita sta declinando è tempo di pensare a chi affidare la nostra preziosa eredità. Lo scontro oggi nel nostro Paese è fra tutti quelli che si sono succeduti dopo la guerra uno dei più gravidi di minacce, e se questa destra, sempre meno liberale e conservatrice, sempre più eversiva, postfascista e televisiva, prevarrà, se questa nuova cultura che, giustificando in nome della libertà del mercato ogni più brutale prevaricazione, esalta la competizione più selvaggia e considera lo scontro e la disuguaglianza come valori alla fine si imporrà possiamo essere certi che tutto sarà travolto. Con i principi e i valori saranno spazzate via ovviamente anche le memorie e non ci sarà monumento che avremo innalzato, non ci saranno fondazioni o istituti storici, musei e archivi che avremo predisposto che non si tramuteranno, bene che vada, in cimiteri abbandonati.
Sempre nel passato, le generazioni che sentirono di essere state protagoniste di eventi storici straordinari, cercarono prima di scomparire di dare alla memoria un futuro, affidando a fondazioni e a istituti storici il compito non facile di non dimenticare, attraverso lo studio, la ricerca e il confronto delle interpretazioni. Ma sappiamo anche che non sempre purtroppo il loro sogno si è realizzato. Mentre dico questo penso, per esempio, alle generazioni che fecero il Risorgimento, i cui ideali furono spesso ben presto sepolti sotto i marmi dei monumenti, o sotto le sigle pompose di fondazioni storiche esigue e deserte. Anzi, molto più spesso e più efficacemente quella funzione perpetuatrice della memoria è stata svolta dalla letteratura e dalla poesia, dalla creazione artistica in genere.
Penso perciò che le ultime iniziative promosse dall’Aned in questo settore siano davvero meritevoli di apprezzamento da parte di tutti noi, data la straordinaria ricchezza e importanza della produzione artistica relativa alla deportazione. Tutte queste cose vivono e crescono solo quando è presente e diffuso nell’animo individuale la collettività, il senso della storia, e quando gli ideali e le grandi passioni che li hanno alimentati riescono a resistere al tempo e al mutare delle circostanze. t il nostro tempo che, si è detto, non pare certo incline a riconoscersi nelle tradizioni, né nei valori per i quali le nostre generazioni si sono battute.
Comunque sia, quando dopo un incontro coi giovani che hanno ora l’età che molti di noi avevamo quando fummo intemati, l’insegnante mi manifesta il suo stupore per l’attenzione, il silenzio, la partecipazione delle classi, mi convinco sempre più che non v’è televisione, telematica, realtà virtuali o simili elettroniche diavolerie berlusconiane che possono sostituire il racconto orale di chi visse le disperazioni di quei giorni lontani. Compagni congressisti, permettetemi dunque l’ingenuità di credere che, benché decimati e ridotti a un numero ormai ir rilevante, l’azione di testimonianza che stiamo oggi svolgendo nelle scuole, fra i giovani e i meno giovani, nelle visite organizzate ai campi, contribuisca a far crescere e consolidare la consapevolezza del passato ed a rinnovare le passioni della protesta, perché la nostra civiltà non sia nuovamente ricacciata nel fondo della barbarie. Sarà l’ultima illusione della nostra esistenza, come tutte le illusioni servirà a renderci meno amari questi giorni altrimenti tristissimi.
Pur tuttavia, come prima ho accennato, l’invito a non abbandonare proprio ora la postazione non significa che non si debbano contemporaneamente studiare anche quelle forme di istituzioni ed organizzazioni che dovranno raccogliere la nostra eredità storica ed ideale. t questa un’impresa – penso che ognuno di noi ne sia consapevole – non certo di poco conto. La proposta di trasformazione dell’Aned nazionale, o meglio come qualcuno in modo certamente più efficace ha detto, di rifondarla dando vita ad una Fondazione che assieme a noi veda la confluenza e l’apporto di operatori culturalí democratici, organizzazioni giovanili, ricercatori e studiosi, in stretto collegamento con l’Università, ed in particolare con i dipartimenti di Storia, è certamente suggestiva. Anzi, io credo che sia l’unica via che alla fine si dovrà imboccare se intendiamo davvero scongiurare il rischio di qui a poco di una nostra completa dissoluzione.
Quale istituzione può meglio e più efficacemente di una Fondazione storica conservare i documenti, promuovere le ricerche e le descrizioni delle umane vicende memorabilì? Quale disciplina meglio della Storia studiata con criteri significativi può assicurarci contro i rischi che la verità venga stravolta? Se questo è vero, è vero anche comunque che sotto l’aspetto organizzativo non sono poche le perplessità, i dubbi che al proposito possono sorgere. Personalmente sono incline a pensare, per esempio, che il nostro grande singolare patrimonio storico ideale, facendo parte integrante dell’antifascismo e della Resistenza, non potrà alla fine che confluire nel grande fiume della storia dell’antifascismo e quindi trovare in grandi unitarie Fondazioni comuni regionali non solo la sua naturale collocazione, ma anche concreta possibilità di utilizzo e quindi di sopravvivenza.
In una fase iniziale poi, molto più modestamente, in una maniera più concreta, mi chiedo se non sia più utile – soprattutto per non correre il rischio di una dispersione di materiale documentarío sempre più importante e raro – fare capo per un suo utilizzo e conservazione là dove esistono gli istituti e i centri di documentazione storica dell’antifascismo e della Resistenza, comunali, territoriali, regionali. Anche in questo caso non vorrei che mi facesse velo la particolare realtà in cui la mia sezione si trova ad operare, inserita fisicamente nello stesso edificio in cui ha trovato sistemazione il Centro di documentazione della Resistenza e dell’antifascismo imolese (CIDRA). La nostra, sezione e i nostri iscritti hanno trovato, nelle numerosissime iniziative che vengono organizzate nel corso dell’anno dal Consiglio direttivo di cui io faccio parte, occasioni straordinarie per rendersi visibili e presenti nel territorio imolese. Molto materiale documentario relativo alla deportazione che, conservando le sue originali specificità, è confluito nell’archivio e nella mostra permanente del Centro, viene utilizzato dagli studiosi, dagli studenti, stimolati anche da annuali concorsi sui temi della Resistenza, dell’antifascismo e della deportazione.
Mi sono soffermato brevemente su questa esperienza personale unicamente per ricordare che qualunque soluzione si adotterà circa la struttura da dare alla Fondazione di studio o documentazione della deportazione in Italia, centralizzata, nazionale, federativa, regionale, ecc., non si dovrà prescindere prima di decidere da uno studio attento delle condizioni particolari di cui in questi anni, magari in maniera confusa e disordinata, si sono venute a configurare le varie realtà locali, comunali e regionali. In mancanza di questi dati, di queste conoscenze, penso che difficilmente si potrà con serietà gettare le basi di una rifondazione dell’Aned e scongiurare il rischio, mentre si cerca di dargli un futuro, di distruggere solo quel che di solido e di vitale in questi anni si è costituito.
Compagni congressisti, non sarà certo con interventi necessariamente limitati come il mio che si potranno indicare le soluzioni definitive di problemi coá complessi come questi. Del resto compagni ben più qualificati e preparati di me dovranno assolvere questo compito importante. In fondo a me premeva di dire qui, nel modo più chiaro e convincente, tutta l’amarezza e il disagio che le vicende attuali ci procurano e il convincimento unanime, mio e dell’intera sezione, di non cedere, di non abbandonare proprio ora la lotta. L’Aned dunque, almeno per ora, deve continuare a vivere come associazione militante. Non siamo soldati disposti a batterci solo in primavera; se i nostri ideali, se i nostri principi e i valori in cui credemmo e ancora crediamo verranno sconfitti, di essi, statene sicuri, non rimarrà nemmeno la memoria. Non so proprio quale esito avrà questa lotta e se questa volta avremo l’energia e il tempo per condurla fino in fondo; una cosa però so di certo: i nostri compagni caduti e coloro che si immolarono per quei valori per i quali combattiamo, se ora fossero vivi li avremmo tutti, nessuno escluso, al nostro fianco. Grazie.