Nel mio lavoro di ricerca sul campo di Bolzano, sfociato l’anno scorso nella pubblicazione di un volume contenente i nomi di 7.809 deportati in quel campo, mi sono trovato a esaminare moltissimi documenti stilati in varie epoche da persone che misero a repentaglio la propria vita per fare conoscere all’esterno del campo l’identità dei nuovi arrivati, o di coloro che erano stati deportati oltre il Brennero.

Si tratta di elenchi clandestini, per lo più, compilati da prigionieri del campo, i quali li affidavano ai deportati che uscivano dal recinto del Lager per andare a lavorare nella zona; questi, a loro volta, li passavano a lavoratori liberi che avevano modo di avvicinare sul posto di lavoro. Questi lavoratori li recapitavano a persone che fungevano da terminali di una organizzazione che a Bolzano coinvolgeva decine di persone, uomini e donne (ma soprattutto donne). Questa organizzazione, con la complicità di alcuni dirigenti di grandi imprese bolzanine, copiavano gli elenchi e li spedivano clandestinamente a Milano, ai rappresentanti del CLN. È solo così che si è saputo, sessant’anni fa, che centinaia di uomini e donne, scomparsi nella notte, erano in realtà stati avviati verso i lager del Reich.

Grazie a questi elenchi clandestini noi abbiamo potuto, a sessant’anni di distanza da quei giorni, compilare un elenco che contiene, secondo le nostre stime, oltre l’80% dei nomi dei deportati in via Resia, ricostruendo un quadro assai dettagliato delle vittime di quel campo, del quale per moltissimi anni si è troppo poco parlato.

La pubblicazione del libro Uomini, donne e bambini nel campo di Bolzano, un anno fa, ha suscitato grandissimo interesse, e io sono stato inondato da segnalazioni di integrazioni, aggiunte, precisazioni. Tanto che – da tempo esaurita la tiratura della prima edizione, in questi giorni esce in libreria la seconda edizione di quella ricerca, che contiene 7.982 nomi, 173 in più della prima edizione. E soprattutto contiene decine di migliaia di informazioni aggiuntive: rispetto alla prima edizione, per fare solo un esempio, conosciamo oggi il luogo e la data di nascita di circa 500 persone in più.

È quindi con grandissimo piacere che sono qui stasera a partecipare a questo incontro, nel corso del quale gli amici del CDEC ci consegnano un importantissimo registro del campo che ci era stato sottratto abusivamente diversi anni fa, da loro fortunatamente rinvenuto.

Quello di questa sera è quasi un esame di maturità per la nostra Fondazione.

In tre anni siamo passati da una situazione nella quale poteva accadere che un registro di questa importanza si perdesse – come è avvenuto – o anche – come pure è avvenuto – nella quale pezzi del patrimonio documentario dell’ANED venivano dispersi sciaguratamente in mille centri di ricerca, istituti storici e perfino nell’archivio di un seminario arcivescovile, a una situazione del tutto diversa, nella quale la Fondazione diventa polo catalizzatore di nuove iniziative culturali e politiche, ma anche – come questa giornata dimostra – punto di attrazione e di raccolta di libri, di carte, documenti e cimeli di cui talora non conoscevamo neppure l’esistenza.

Se ciò avviene è perché questa Fondazione è nata in questa sede, frutto anch’essa di una generosa donazione; perché l’attività è stata avviata e gestita con dinamismo in questi pochi anni; ma – permettete – soprattutto perché la Fondazione ha trovato in Susanna Massari una archivista di grandissime capacità e di grande generosità. Penso che nessuno, vedendo questa sede e utilizzando questo archivio e questa biblioteca potrebbe credere che tutto questo immenso lavoro di riordino sia stato compiuto in soli tre anni. E invece questo è proprio quello che è avvenuto.

Oggi noi lasciamo la fase della prima organizzazione e dell’impostazione dell’archivio e della biblioteca, per entrare in una fase che io appunto indico come quella della maturità.

Dobbiamo forse fare uno sforzo anche su noi stessi per convincerci della straordinaria ricchezza dei documenti che già oggi noi qui custodiamo, e delle enormi potenzialità di crescita che il nostro archivio ha ancora in sé, in rapporto alle diverse sezioni dell’ANED, in primo luogo, e con centinaia di singoli deportati e familiari.

Prendiamo l’esempio odierno. Recuperando, grazie alla collaborazione degli amici del Cdec, il registro dell’intendenza del 5 febbraio del campo di Bolzano, e con alcune ulteriori importantissime donazioni di cui presto dirò, noi ci accreditiamo oggi uno degli archivi più ricchi e documentati per quanto riguarda il campo di via Resia. Forse, per certi versi in assoluto il principale archivio di documenti relativi a quel campo.

Dei tre registri originali risalenti al 1945 contenenti gli elenchi dei deportati del campo noi ne abbiamo qui due. Il terzo è depositato al Museo di Castel Tirolo.

Conserviamo in questo archivio diversi triangoli originali dei deportati nel campo. Triangoli rossi, dei deportati politici, e anche il triangolo giallo di una deportata ebrea. Abbiamo gli originali di numerose lettere uscite ufficialmente dal campo, e anche di qualche lettera clandestina. Abbiamo alcuni dei lasciapassare firmati da Titho al momento della liberazione dei prigionieri. Abbiamo decine e decine di testimonianze individuali di ex deportati, moltissime delle quali inedite. Abbiamo in copia decine e decine di lettere, dichiarazioni, testimonianze, attestati, i cui originali sono sparsi in innumerevoli piccoli archivi familiari o locali, e di fatto altrimenti irraggiungibili.

Uno dei registri di Franca Turra

Oggi sono orgoglioso di annunciare qui che grazie alla generosità di Gabriella Turra, figlia di Franca Turra, che fu per diversi mesi responsabile del comitato di assistenza al campo, noi acquisiamo in questa occasione alcuni altri importantissimi documenti.

Parlo di tre registri dei primi mesi del 1945, e degli originali di diversi elenchi compilati clandestinamente a Bolzano nel 1944/45.

Di eccezionale importanza sono in particolare i tre registri sui quali Franca Turra, conosciuta negli anni della Resistenza a Bolzano come “Anita”, annotava i nomi dei prigionieri del Lager verso i quali era riuscita ad attivare un canale di solidarietà, con la relativa data, e il contenuto dei pacchi inviati a ciascun prigioniero. Per chi conosce il libro di Luciano Happacher del 1979 uno di questi registri è l’elenco “N”, quello degli “Assistiti” dal comitato clandestino di Bolzano.

Credo che sia per noi tutti un documento molto significativo. Ci parla, oggi, alla vigilia del Sessantesimo del 25 aprile, di una sfaccettatura probabilmente poco nota della Resistenza. Ci parla di uomini e donne che si unirono a Bolzano, nei mesi della guerra, nel pieno di una feroce occupazione nazista, per portare una voce di solidarietà, di aiuto, di vicinanza ai deportati in via Resia. E anche per organizzare alcune fughe, a prezzo della propria vita.

In uno dei registri che oggi acquisiamo al patrimonio del nostro archivio, alla lettera “B”, troviamo accanto al nome di Antonietta Bianchi, numero di matricola 4046, l’annotazione di pugno di Franca Turra: “Partita vinta”; una annotazione in codice che segnalava il successo di un tentativo di fuga organizzato dalla stessa “Anita”.

In questi tre registri sono annotati decine e decine di nomi di prigionieri raggiunti dal comitato clandestino; questi nomi andrebbero integrati con quelli annotati da Fernando Visco Gilardi come quelli dei deportati “assistiti” da lui, fino al giorno del suo arresto, nel dicembre 1944. Possiamo dire così che furono con certezza centinaia gli uomini e le donne deportate in quel campo che ricevettero, in un momento critico della loro vita, un segno tangibile di solidarietà da parte di donne e uomini che neppure conoscevano, ma che non per questo mancarono di prodigarsi con tutte le loro forse al loro fianco.

Altri documenti credo arriveranno in futuro all’archivio della nostra Fondazione, ora che possiamo dire di avere una struttura adeguata alla conservazione di questo genere di documenti storici sulla tragedia dei Lager. E spero che non sia lontano il giorno in cui noi potremo organizzare – magari in questa stessa nostra sede – una mostra di questi documenti e questi cimeli, anche per fare conoscere all’esterno, oltre che ai nostri stessi compagni dell’ANED, i risultati ottenuti in così poco tempo da questa Fondazione.

Penso e spero che l’incontro di questa sera con gli amici del Cdec – che mi permetterete di definire, parafrasando una espressione molto ricordata, in questi giorni, “i nostri fratelli maggiori”, almeno per quanto riguarda l’allestimento e la gestione di un grande, prezioso archivio di memoria – penso e spero dicevo che con loro avremo presto altre occasioni di collaborazione attiva e proficua.

In segno di amicizia e di gratitudine per il ritrovamento e la consegna a noi del registro di Bolzano, vorrei consegnare al Cdec una copia stampata della versione italiana del Kalendarium di Auschwitz di Danuta Czech. È una copia a stampa del libro, che come sapete finora ha soltanto una versione virtuale, sul nostro sito Internet. Dobbiamo questa copia a stampa all’entusiasmo e anche alla generosità concreta di Fiorenza Roncalli, che in questo progetto non ha mai cessato di credere.

Questa che consegniamo oggi al Cdec è in qualche modo una copia tangibile, fisica, di un libro che ancora non c’è. In questo senso una rarità assoluta. Io spero che venga presto il giorno in cui questo testo, vero caposaldo della conoscenza della storia di quel terribile Lager, si trasformerà in un libro vero, curato in tutte le sue parti e stampato a uso del pubblico italiano, magari con un’appendice sulla deportazione italiana ad Auschwitz. Vedo già qui, in questo che finora è ancora un sogno, un possibile terreno di collaborazione tra le nostre due Fondazioni. Chissà!

Dario Venegoni