Signor Sindaco, Signore e Signori, Compagni di deportazione,

Siamo ritornati sul lager “Zement” di Ebensee, qui sul Finkerleiten, in questa zona fittamente boschiva, campo di eliminazione umana sub/Kdo del KZ Mauthausen in funzione dal giovedì 18 novembre 1943 alla domenica 6 maggio 1945.

535 giorni, 27 000 deportati, 7000 morti; date e numeri, ma noi eravamo solo degli Stuck, dei pezzi, solo dei numeri.

Tornando qui, ho un denso affastellarsi di ricordi, pressanti, più vivi, più sofferti, che vorrei ordinare. Sono trascorsi 60 anni, ma i sopravvissuti di numero ormai esiguo, hanno ancora fortemente impressi nella mente:

  • l’ampiezza del campo con le baracche dei servizi disposte a semicerchio intorno all’Appellplatz, e sulla sinistra del residuo arco del portone d’ingresso, la distribuzione delle 32 baracche dei deportati disposte tra gli alberi, non allineate ed a distanze irregolari;
  • l’ultimo appello al mattino del 5 maggio 1945 durante il quale il comandante, l’SS Ganz, con il suadente invito ad entrare nelle gallerie “dove saremmo stati tutti più sicuri”, ma, in realtà, con l’intendimento di eliminare tutta la popolazione del campo, chiamò oltre 18.000 deportati con lo stupefacente appellativo di “Meine Herren”, Signori ; allucinante il tentativo, ridandoci una improvvisa identità, di non lasciare dei deportati-testimoni e far tacere per sempre le nostre voci sulle atrocità di quella tragedia;
  • e finalmente il giorno dopo, la liberazione, alle 14, 50 di domenica 6 maggio 1945.

Aperto il portone, ecco la pattuglia in ricognizione, soldati americani, i Sergenti Bob Persingher, Acton Pomante della F. Company del 3° CAV MCZ del capitano Timothy Brennan, sono fermi sulla piazza dell’appello.

Liberazione imprevista, attesa, sospirata, e il ricordo di quei giovani soldati americani che ci resero da quel giorno nuovamente “vivi”, che ci apparvero con una bellezza sofferente, che esprimeva una dolorosa, passiva protesta. Bob Persingher è tornato in questo sessantesimo anniversario della liberazione. Oggi è con noi. Grazie, Bob per questa partecipata testimonianza che racconta il ricordo e l’amicizia, l’affetto; grazie alla moglie, signora Arlene, ed al giovane Tim Anderson che li ha accompagnati, dalla Louisiana e dall’Illinois; e con un caro pensiero a Brennan e Pomante, “solamente assenti”.

Ricordava Primo Levi che “ad un’ora incerta queste memorie ritornano, il segno lasciato dal lager non si cancella dalla nostra esistenza”. È stata ed è una severa verità.

Anche la liberazione è rimasta psicologicamente incompleta, e quando dolore e tormento sono più acuti, allora i sopravvissuti dello sforzo nazista di annientarci, rivedono tutti i loro compagni con minor fortuna, che vogliono essere contati tra i presenti.

Siamo quindi, noi ultimi, gravati dalla responsabilità di essere voce che rappresenta altre voci, in una sorta di dialogo ininterrotto.

Perciò la nostra memoria è al servizio dell’umanità che deve sapere e ricordare.

È quello di oggi, nel 60° anniversario della liberazione, un incontro eccezionale, denso di commozione, ma con l’adesione della ragione e lo slancio del cuore in un silenzioso maturare perché non vada perduta la memoria di Zement, lager nazista di Ebensee. È una ferita non ancora diventata “ricordo”.

Un grato pensiero va alla signora Hilda Lepetit che ha innalzato un pensiero-monumento in memoria del marito e di tutti i connazionali italiani qui deceduti.

E consentimi una doverosa riflessione. Questo incontro legato ad una esperienza così drammatica, è il frutto anche di un richiamo istituzionale fortemente voluto dalle due comunità dei Comuni di Ebensee e di Prato con il “patto di gemellaggio” che ha richiesto il pieno impegno di un caro compagno di deportazione, Roberto Castellani, che ha realizzato l’idea ed al quale rivolgo un pensiero affettuoso e di particolare gratitudine Ciau, Roberto.

Sono lieto di rivolgere, anche in questa occasione, un sincero apprezzamento al dott. Wolgang Quatember ed ai suoi valenti collaboratori del Museo del Kzgedenkstaette Ebensee per l’impegno, la professionalità e la profonda sensibilità.

Vorrei concludere questo intervento con una frase della lettera che il capitano Brennan mi ha scritto il 6 settembre 1987: “L’agonia e l’orrore di Ebensee saranno sempre con me ed io lavoro qui negli Stati Uniti per assicurarmi che nessuno di noi dimentichi.”

Italo Tibaldi
Mauthausen-Ebensee 42307