È stata imbrattata. È stata rubata. Ma la targa di Aned Verona è ancora al suo posto!

(vedi articolo di Radio Popolare Verona)

 


 

Intervento del presidente nazionale dell’ANED Dario Venegoni in occasione dell’inaugurazione della nuova targa della Sezione ANED di Verona

Verona, 22 aprile 2017

Sono veramente felice di portare a voi il saluto e l’abbraccio di tutte le sezioni dell’ANED, delle donne e degli uomini ex deportati, e dei figli dei nipoti, e di quanti ancora l’Associazione oggi organizza in tutta Italia. Noi siamo una piccola organizzazione, ma sono sicuro che attraverso queste mie parole giungerà a voi qui oggi il calore dell’abbraccio di una organizzazione straordinariamente unita, coerente con gli ideali che furono all’origine, oltre 70 anni fa, della sua nascita.
Ho ritenuto di indossare oggi per la prima volta questo speciale fazzoletto, che reca le firme di una quarantina di superstiti dei lager: mi è sembrato un modo di fare partecipare a questo incontro, idealmente, anche coloro che lo hanno firmato, tra i quali Gino Spiazzi, Gianfranco Maris e tanti altri.
Noi sappiamo di essere eredi di una storia importante, di valori alti, e avvertiamo il peso della responsabilità che ci assumiamo nel momento in cui prendiamo il posto di grandi uomini e di grandi donne che non solo hanno superato la terribile prova della deportazione nei lager nazisti, ma che hanno trovato la forza di portare per tutta la vita tra i giovani delle generazioni successive una lezione di impegno per la pace, per la difesa dei valori della nostra Costituzione, che sono poi quelli indicati nei giuramenti che i deportati appena liberati hanno pronunciato e sottoscritto nel 1945.
Noi forse ci eravamo illusi; pensavamo che lavorare per l’Associazione unitaria degli ex deportati avrebbe potuto essere semplice. Forse qualcuno di noi davvero si era illuso che la memoria delle vittime del fascismo e del nazismo e delle vittime dei lager nazisti in particolare potesse essere oggi, a più di 70 anni di distanza dalla liberazione, una memoria condivisa da tutto il popolo italiano e da tutti i popoli d’Europa, e che noi avremmo potuto limitarci a scavare in questa memoria, per riportare a galla i nomi, le biografie dei protagonisti di quella vicenda per migliorare la conoscenza di un capitolo della storia europea unanimemente riconosciuto come fondante della nostra civiltà contemporanea.
Così non è. Così davvero non è. Abbiamo verificato in questi ultimi anni, e ancor più nel periodo più recente, di essere chiamati a un impegno che forse qualcuno di noi non aveva messo in conto: un impegno che vorrei definire “militante”. Ci troviamo a dovere fronteggiare – non solo qui a Verona, ma in tutta Italia – episodi veramente sconcertanti. E dico sconcertanti soprattutto per la debolezza con la quale le autorità pubbliche ritengono di contrastarli.
Il presidente della sezione ANED di Sesto San Giovanni e Monza, nella sua lettera di solidarietà alla sezione di Verona in occasione di questa nostra cerimonia odierna, ha ricordato lo sfregio fatto al Monumento al Deportato nel Parco Nord, ai confini di Milano. Lì qualcuno – non una persona soltanto: un piccolo gruppo – ha divelto una grande lastra di marmo che riporta alcuni dei nomi dei deportati dall’area industriale di quella zona e l’ha usata come un ariete per cercare di infrangere il vetro blindato di una teca contenente un po’ di terra del campo di Mauthausen. Un lavoro non rapido e non semplice. Un lavoro chiassoso, di un gruppo, nella notte. Uno sfregio che a noi viene da definire sacrilego. Ci chiediamo chi possa avere oggi interesse a impegnarsi in un’impresa del genere per tentare di rubare un po’ di terra di Mauthausen.
Se però ci pensiamo si è trattato di un’impresa che nella sua vigliaccheria non si discosta molto da quella del gruppo fascista che qualche mese fa ha divelto e rubato la targa di pietra della nostra sezione veronese. C’è qualcuno che oggi tiene in casa quella targa, a mo’ di trofeo. Ricordiamo anche che ci sono state organizzazioni che si sono impegnate per rubare il cancello d’ingresso del lager di Dachau, e altre che hanno addirittura sottratto la scritta posta all’ingresso del campo di Auschwitz. Imprese squallide, compiute di notte in luoghi isolati e non vigilati, funzionali a un collezionismo veramente sinistro, macabro, barbaro.
Ma non basta. In provincia di Varese si è istallato un gruppo di fanatici che hanno costituito una comunità che si rifà apertamente ai principi del nazismo, che ostenta il proprio razzismo e che opera da alcuni anni alla luce del sole. E che da qualche tempo, sistematicamente, va a sfregiare il sacrario dei caduti partigiani della battaglia di San Martino, una delle prime e più cruente della Resistenza partigiana.
Francamente sarebbe stato ragionevole immaginare di non dovere affrontare, a oltre 70 anni dalla fine della guerra, episodi squallidi di questo genere. Ma questa è la realtà. E noi certo non ci tiriamo indietro. Nel caso della comunità neonazista del Varesotto, per esempio, l’ANED si è assunta anche l’onere di avviare una causa legale, con la collaborazione di un legale proprio di Verona.
Gli ex deportati non si sono fatti piegare dalla ferocia dei campi delle SS e certo non si faranno impressionare più di tanto da questo genere di imprese. Gli iscritti alla nostra associazione sono figlie e figli, familiari e compagni di quegli ex deportati, dei combattenti della Resistenza che hanno conosciuto ogni sorta di tortura. Non siamo così facilmente impressionabili. Siamo qui, al nostro posto, decisi a fare il nostro dovere.
Però vorrei che fosse chiaro che lo sfregio alla targa di una sezione dell’ANED non può essere considerato solo un problema nostro. Io chiedo al Sindaco di Verona che cosa ha in programma di fare per tutelare in futuro questa targa, che è collocata, tra l’altro, su un edificio di proprietà comunale. Avanziamo questa stessa domanda – che non è una domanda retorica – alla Questura, alla Prefettura di Verona: non credono che sarebbe in caso di assicurare una vigilanza in questo luogo, soprattutto quando si radunano in zona gruppi organizzati dichiaratamente filofascisti?
Un presidio in questa zona costerebbe? Sì, certo: la democrazia costa. La difesa dal nazifascismo costa. Gli ex deportati e i loro familiari lo sanno meglio di ogni altro. Ma questo costo non può essere a carico di una piccola associazione. La difesa delle associazioni democratiche, che costituiscono le strutture di base di ogni vera e solida democrazia, deve essere compito dello stato. Così come il contrasto all’azione di organizzazioni dichiaratamente antidemocratiche. E’ la storia stessa del nostro paese a insegnarcelo: è un film che abbiamo già visto, e che non intendiamo rivedere. La Repubblica deve avere gli anticorpi per tutelarsi.
Noi siamo qui oggi, attorno alla sezione ANED di Verona, per dire questo. Tutta l’associazione è vicina alle compagne e ai compagni veronesi. Il presidente Ennio Trivellin, superstite di Mauthausen, ha avuto modo di rassicurare che “se ci danneggeranno 100 volte questa targa, noi la rimetteremo 101 volte”, e noi tutti siamo qui per confermare questo impegno.
Ma davvero le forze dello Stato, alle quali spetta la tutela dell’ordine pubblico e delle organizzazioni democratiche, pensano di continuare ad assistere inermi a questi attacchi? Hanno fatto qualcosa dopo che qualcuno aveva imbrattato con una svastica la nostra targa? C’è qualche funzionario di polizia che ha speso un minuto del suo tempo per indagare sul furto di quella stessa targa, qualche mese fa? C’è qualcuno che si preoccupa del dovere dello Stato, della Repubblica nata anche da quell’immane sacrificio di vite umane che furono i Lager nazisti, di impedire che in futuro venga anche solo “torto un capello” alla sede della associazione democratica e unitaria che onora il ricordo delle donne e degli uomini che furono deportati?
La memoria delle deportate e dei deportati è un patrimonio dell’umanità intera, e come tale deve essere inteso, tanto più nelle città da cui quelle donne e quegli uomini furono strappati. A Verona, a Milano, a Sesto San Giovanni, a Firenze, ovunque vi sia una sezione dell’ANED che lavora per tener viva quella memoria, quella sezione deve essere intesa come un patrimonio pubblico, collettivo, di quella comunità locale. Perché l’ANED con la sua azione incessante svolge un ruolo pubblico, per il bene comune; supplisce alle carenze dello stato che per fare solo un esempio ha indetto sì il Giorno della Memoria per il 27 gennaio, ma non ha stanziato un solo centesimo per mettere le scuole e i Comuni nelle condizioni di ottemperare all’obbligo di organizzare per quel giorno cerimonie manifestazioni in memoria della tragedia dei lager nazisti. Senza il nostro lavoro volontario mancherebbero al calendario di quella giornata centinaia e centinaia di incontri nelle scuole, nei circoli, nelle sedi delle assemblee elettive dove noi andiamo invece ogni anno a portare la testimonianza di chi quella tragedia ha vissuto in prima persona.
Io affermo che questa nostra attività va tutelata tanto più oggi che si affievolisce la voce dei testimoni diretti e che ci si allontana dagli anni della guerra. Il trascorrere del tempo incrementa il pericolo che quella storia, con le sue tragiche lezioni, venga del tutto dimenticata, come purtroppo tanti segnali, in Italia, in Europa e nel mondo quotidianamente ci dimostrano.
Ogni tanto anche qualcuno di noi viene colto da un dubbio: ha ancora senso tenere in piedi una organizzazione come la nostra, a tanti anni dalla liberazione? Poi accadono episodi come quello che oggi denunciamo a confermare la validità e l’importanza del nostro quotidiano lavoro volontario. Noi siamo qui oggi a confermare che siamo determinati a fare ancora la nostra parte, rimanendo fedeli alla lezione dei nostri compagni, dei nostri genitori, dei familiari che ci portiamo nel cuore.
Quelle donne e quegli uomini ci hanno lasciato un’eredità alla quale noi intendiamo continuare ad essere fedeli. Chiamiamo oggi tutti ad affiancarci, per dare un seguito a quell’insegnamento, per onorare quella memoria, per sbarrare la strada agli avversari di ieri e di oggi della libertà, della democrazia, della pace.