Il Comune di San Bonifacio (VR) ha intitolato la Sala Polivalente di San Bonifacio a Delfina Borgato, staffetta della Brigata Garibaldi deportata a Mauthausen il 5 agosto 1944. Oltre alle autorità ed ai famigliari, alla cerimonia ha partecipato anche una delegazione di Aned Verona con il Presidente Ennio Trivellin e la Vicepresidente Tiziana Valpiana.


Delfina Borgato

(Saonara-PD 7 aprile 1927, San Bonifacio-VR 13 maggio 2015)

Delfina Borgato era di famiglia contadina, il padre Giovanni era affittuario dei fratelli Sgaravatti, nei cui vivai durante la Seconda Guerra Mondiale fu realizzato un campo di lavoro per prigionieri inglesi di origine sudafricana.
Interruppe gli studi dopo la quinta elementare per contribuire con il suo lavoro di apprendista sarta al sostegno economico della numerosa famiglia: ebbe dieci fra fratelli e sorelle minori di lei.
Aveva solo 16 anni quando nel settembre 1943 iniziò a Padova l’occupazione nazista e l’ambasciata inglese prese contatti con alcuni religiosi (tra cui Padre Palcido Cortese della Basilica del Santo) impegnati in azioni di resistenza civile per mettere in salvo i prigionieri, fuggiti dal campo di lavoro e ricercati.
Essi riuscivano a sopravvivere soltanto grazie all’aiuto che la popolazione locale dava loro, nonostante i rischi che questi atti di solidarietà comportavano. Alcune coraggiose giovani, in gran parte studentesse (Teresa, Lidia e Liliana Martini, Milena Zambon, Parisina Lazzari), con la rete di salvataggio creata da Ezio Franceschini ed Armando Romani (FRAMA) in contatto con Egidio Meneghetti del Comitato di Liberazione Regionale Veneto, contribuirono a mettere in salvo almeno trecento inglesi: fingendosi amiche o fidanzate dei ricercati, cui erano stati forniti di abiti civili e documenti falsi, li accompagnavano alla stazione ferroviaria, dove questi prendevano il treno per Milano per passare poi in Svizzera e da lì iniziare un più sicuro percorso di ritorno in patria.
Anche la giovane sartina, coinvolta dalla zia, la quarantacinquenne suora laica Maria Borgato, e educata fin da piccola al valore della solidarietà nell’ambito dell’Azione cattolica, contribuì a mettere in salvo almeno trenta prigionieri.
Ma la notte del 13 marzo 1944 fu arrestata insieme al padre, alla zia e ad altre e condotta nelle carceri di Santa Maria Maggiore a Venezia, dove riuscì a resistere a minacce e percosse senza svelare né i fatti né i nomi di cui era a conoscenza.
Alla fine di luglio fu trasferita nel centro di smistamento di Gries vicino a Bolzano, dove conobbe la veronese Pasquina Chiarotto, con cui strinse un duraturo legame di amicizia.
In agosto partì per Mauthausen, per essere poi destinata al campo satellite di Linz, campo di classe 3, cioè di punizione e di annientamento attraverso il lavoro, dove, secondo quanto riconobbe lo stesso Governo tedesco quando le destinò un modesto risarcimento, fu soggetta a lavori forzati in condizioni di schiavitù.
Sopravvisse agli stenti e alle malattie finché nell’aprile del 1945 riuscì a fuggire e ad iniziare, con mezzi di fortuna, l’avventuroso viaggio di ritorno che, passando per Bolzano e Pescantina (Verona), la riportò a casa il 29 giugno.
Nel campo di Linz intrecciò una interessante corrispondenza con i parenti e le amiche; scrisse un breve diario (diario primo), che registra sommariamente i fatti a partire dal 26 settembre 1944, e tre mesi dopo il rientro in Italia lo ricopiò ampliandolo (diario secondo).
Una dichiarazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 3 marzo 1947 attesta che Delfina Borgato è stata riconosciuta partigiana combattente appartenente alla Brigata Garibaldi Btg 7 zona Padova dal primo ottobre 1943 al primo maggio 1945.

Delfina Borgato

Tessera Aned del 1948