Il Monumento in ricordo dei Caduti nei campi di concentramento segna, dopo la pausa forzata dovuta al conflitto mondiale, la ripresa dell’attività professionale dello studio BBPR (Banfi, Belgiojoso, Peressutti e Rogers) orfano di Gianluigi Banfi, morto a Gusen. Quest’opera del 1946 costituisce anche un episodio fondativo per il rinnovamento dell’ambiente architettonico milanese del dopoguerra, al pari del Monumento alle Fosse Ardeatine nell’ambiente romano.
Il monumento, infatti, oltre ad essere la dolente testimonianza della perdita di tanti amici e colleghi come Pagano, Giolli, Labò e Banfi stesso, uccisi nei Lager nazisti, è anche e soprattutto la ripresa di un discorso tragicamente interrotto e la dichiarazione di un rinnovato impegno morale nell’architettura.
La struttura, formata da tubolari metallici saldati e dipinti di bianco, disegna una griglia tridimensionale di 212 centimetri di lato che nasce dall’intersezione tra le figure di un cubo e di una croce greca.
La gabbia poggia a sbalzo su un basamento a croce che rafforza la leggerezza della parte superiore grazie alla forza della pietra di Moltrasio e del marmo bianco di Candoglia.
Al centro, circondata da filo spinato, è posta una gamella del Lager contornata da filo spinato contenente la terra di Mauthausen. La regolarità della figura, che Giuseppe Samonà ha voluto ricondurre a Piero della Francesca, è contraddetta dalla posizione asimmetrica delle lapidi riportanti brani del Discorso della Montagna, tratto dal Vangelo secondo Matteo. Il tema del telaio tridimensionale è un dichiarato omaggio alle più nobili espressioni del Razionalismo: la gabbia filiforme allude, come scrive Manfredo Tafuri, ai «miti illuministi degli anni Trenta» ma anche, in ambito artistico, agli «oggetti prigionieri» di Alberto Giacometti e Fausto Melotti. Attraverso il traliccio di tubi il Monumento ai caduti diventa così la commemorazione di un ideale ancora operante, teso a stabilire la continuità – termine assai caro a Ernerso Rogers – con una certa tradizione del Moderno, identificabile soprattutto nella figura di Edoardo Persico.
Quella attualmente visibile è in realtà la terza versione del monumento, che, di fatto, è la ricostruzione del progetto iniziale del 1946 commissionato ai BBPR dall’Associazione degli ex deportati. L’opera originaria, il cui disegno è attribuito in modo specifico a Enrico Peressutti, venne realizzata in pochissimo tempo nell’arco di pochi mesi dalla fine della guerra. Realizzata con i tubolari di ferro che si era riusciti a recuperare nella Milano devastata dal conflitto, questa prima versione si deteriorò rapidamente per essere sostituita, nel 1950, da una costruzione del tutto simile nel disegno ma con l’intelaiatura in bronzo e il basamento interamente in marmo. Già nel 1955, tuttavia, sono gli stessi BBPR a promuovere un ulteriore rifacimento che riporti il monumento alla prima stesura, dopo avere convinto l’Associazione degli ex deportati che la seconda versione è inadeguata alla gravità del tema a causa dell’eccessiva ricercatezza e opulenza dei materiali. Nel 1958, infine, ai piedi del Monumento furono poste 7 tavole di pietra con incisi i nomi di molti dei Caduti, in sostituzione dei ritratti dei deportati collocati lì nel tempo dai familiari.
[Informazioni tratte da Paolo Brambilla, Lo Studio BBPR e Milano, itinerari della Fondazione dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Milano]