Pubblichiamo il testo integrale del discorso preparato dal Presidente nazionale dell’ANED Gianfranco Maris in occasione della tradizionale commemorazione delle vittime dei lager presso il Cimitero ebraico di Milano.
Ogni anno, nella stagione in cui, nel 1938, furono brandite clamorosamente dal fascismo le armi della persecuzione contro gli ebrei, si affollano in noi i ricordi e le sollecitazioni al dovere fondamentale di non dimenticare mai i delitti che nel mondo sono stati perpetrati dal fascismo e dal nazismo, che costituiscono parte integrante della eredità storica della umanità, di ogni popolo, di ogni comunità sociale, di ogni donna e di ogni uomo che siano stati anche soltanto spettatori di tali delitti.
Come potremmo noi, in Italia, dimenticare il 5 settembre del 1938 e il decreto regio, emesso dal fascismo e promulgato dal re, per la “difesa della razza nella scuola” o come potremmo dimenticare il 7 settembre del 1938, con l’altro decreto regio, voluto dal fascismo e sempre promulgato dal re, che bandiva dal Paese, come nemici, tutti gli ebrei stranieri, oltre cinquemila, indesiderabili proprio perché e soltanto perché ebrei e, quindi, perché, essendo ebrei, erano nemici, addirittura ridotti allo stato di stranieri perché a loro veniva retroattivamente revocato il diritto di cittadinanza che ad essi era stato riconosciuto e ad alcuni addirittura sin dal lontano gennaio del 1919?
Sempre più numerosi sono i paesi che, nel mondo ed in Europa, per ricordare e non dimenticare, si dotano di una legislazione che stabilisce quale debba essere il modo corretto di ricordare un determinato evento storico e dispongono che sia punito penalmente chi tale evento storico, come, appunto, la persecuzione ebraica del fascismo e del nazismo, non rivisiti e non rievochi secondo i canoni stabiliti dalla legge.
Questo è pericoloso, perché il razzismo è uno scempio dell’anima e dell’intelligenza che non potrà mai essere efficacemente contrastato se non con la conoscenza, approfondita e non superficiale, storica e non revisionista, di quello che furono effettivamente sia il fascismo che il nazismo.
Comunque, se è opportuno che la verità non possa essere imposta per legge dello Stato, ciò non significa che la menzogna, la manipolazione, il revisionismo riduttivo della storia debbano essere tollerati come libertà democratiche e non combattuti come veleni della coscienza democratica dei popoli.
E’ importantissimo che le nazioni, gli Stati, i popoli, gli individui, culturalmente, politicamente ed eticamente riconoscano il male e la dimensione del male che nel loro paese e nel mondo è stato posto in essere.
L’immagine del leader della Germania Willy Brandt, che a Varsavia si inginocchia in silenzio davanti al monumento delle vittime e agli eroi del ghetto, così come l’immagine del Presidente della repubblica federale tedesca che a Marzabotto chiede scusa per il delitto lì commesso dalle truppe tedesche nel settembre del 1944, sono le iconografie più nobili della storia europea del dopoguerra.
Le leggi razziali sono, esse stesse e in se stesse, “leggi fascistissime”, del medesimo grado e della medesima intensità delle leggi fascistissime, liberticide varate dal fascismo nel 1924 nei confronti di tutti gli abitanti del nostro Paese, subito dopo il delitto Matteotti, dopo che la Camera dei deputati fu degradata da Mussolini al livello di un possibile bivacco delle sue camicie nere.
Con tali leggi il fascismo creò gli strumenti di repressione della stessa libertà di pensiero di tutte le donne e di tutti gli uomini residenti nel nostro Paese, affidando la repressione della libertà del pensiero a un suo privato Tribunale speciale e a un suo personale confino di polizia.
Le leggi razziali, in se stesse e per se stesse, sono leggi fascistissime perché scattano a seguito della maturazione della fascistizzazione totalitaria dello Stato, quando il fascismo può supportarle pseudoscientificamente con il coinvolgimento di scienziati e università italiani, quando può farle supinamente accettare dalla popolazione e può introdurle in istituzioni capaci di realizzarne tutte le finalità; leggi che vengono introdotte nel diritto positivo italiano quando tutti i poteri sono stati occupati e asserviti al fascismo: la monarchia, la chiesa, l’industria, l’agricoltura, il Senato, la Camera, le università, la scuola, la stampa, l’informazione.
È a questo punto che il fascismo può finalmente aggredire anche il “giudaismo”, che è andato acquistando ai suoi occhi le dimensioni e la consistenza di un nemico da abbattere, nella prospettiva che negli ebrei vede il bolscevismo, la finanza internazionale, il cosmopolitismo antinazionale.
Il problema ebraico esplode ed è aggredito perché esplicitamente accusato dal fascismo di essere antifascista e internazionalista e avversario del colonialismo, della sua nuova ideologia razziale per l’impero, della sua svolta legata a una rivoluzione antropologica globale che vuole fare degli italiani una razza di dominatori.
Il problema ebraico è assunto a problema di un nemico interno ed esterno che deve essere abbattuto.
Oggi, per molti – anche sinceramente schierati contro le leggi razziste del 1938 in Italia, a seguito del revisionismo storico in tutti questi anni posto in essere nel nostro Paese – il fascismo non appare più l’espressione di un male assoluto nel suo complesso, costituito cioè da tutta la sua storia e da tutta la sua condotta liberticida e criminale non solo di quella che va dal 1942 al 1943, ma anche di quella successiva all’8 settembre 1943 sino a comprendere anche tutta la sua storia di collaborazione criminale con il regime di occupazione dell’Italia da parte dei nazisti.
Il fascismo non appare più come un male assoluto nel suo complesso, che ha straziato l’Italia prima della guerra, durante la guerra, dopo l’armistizio sino al 25 aprile 1945, ma appare soltanto per molti come un “fenomeno complesso”, nel quale, semmai, si può rilevare soltanto una deriva liberticida, condannabile, ma limitata agli anni che vanno dal 1938 con le leggi razziali all’8 settembre, con l’ulteriore considerazione che, in ogni caso, il fascismo è rimasto sempre fuori dal “cono d’ombra” dell’olocausto.
In questo giudizio vi è una grave sottovalutazione dell’antisemitismo fascista, che fu sempre e soltanto, fin dal primo giorno, non un antisemitismo compreso e concluso in una visione spirituale, come quella che può essere stata la particolare visione di alcuni fascisti fortemente antisemiti, come Evola o Ciano, ma fu un antisemitismo biologico, nel quale lo stesso Mussolini sviluppò un ruolo centrale. Un razzismo biologico che si ricollega al colonialismo e al nazionalismo fascisti, che, nel momento in cui si accinge alla criminale avventura etiopica, introduce, nella legislazione della colonia eritrea dell’Africa orientale, il più chiaro dei razzismi biologici, con tutta una serie di violente repressioni dei rapporti degli italiani con le donne eritree, consentendo tra di loro soltanto fugaci rapporti carnali di sfogo (è questo il lessico fascista dei provvedimenti razziali coloniali) da consumarsi soltanto in postriboli segreti e segregati, con la condanna penale di qualsivoglia cenno anche il più vago a un concubinaggio tra italiani e donne eritree.
La campagna di discriminazione razziale non cominciò in Italia nel settembre del 1938, ma partì, sul piano culturale, ancor prima che politico, già nell’aprile 1934, con la circolare di Mussolini sulla censura e sul sequestro di libri banditi, tra i quali il romanzo di Mura, Maria Volpi, “Sanbadù amore negro”, che mostrava in copertina una italiana che baciava un africano nero.
L’inizio è a monte, dunque, della stessa impresa Etiopia, che era in preparazione e per la quale furono emessi decreti razzisti gravemente discriminatori e persecutori per la vecchia colonia italiana dell’Eritrea nell’Africa orientale.
È vero che Mussolini nella “informazione diplomatica“ del 5 agosto 1938 fece scrivere che “discriminare non significa perseguitare”, ma è altrettanto vero che Mussolini, nel momento stesso in cui avviò la preparazione delle leggi razziali, fece scrivere, nel Manifesto degli scienziati razzisti del 23 luglio 1938 che “la creazione dell’impero ha messo la razza italiana in contatto con altre razze, per cui deve guardarsi da ogni ibridismo e contaminazione, tanto da rendere necessario introdurre nel diritto positivo dello Stato fascista quelle leggi razziali che furono immediatamente applicate con “fascistica energia”, come si esprimeva il lessico fascista, in tutti i “territori dell’impero”. E immediatamente fu prospettato che il medesimo trattamento sarebbe stato riservato anche agli ebrei, i quali “dovunque e anche in Italia hanno costituito coi loro uomini e con i loro mezzi lo stato maggiore dell’antifascismo”.
E nella informazione diplomatica numero 18 Mussolini farà aggiungere che gli ebrei “si sono sempre ritenuti appartenenti a un’altro sangue, a un’altra razza al di sopra di ogni frontiera”, tanto da poter dire che è stata “accertata l’equazione, in questi ultimi 20 anni di vita europea, fra ebraismo, bolscevismo e massoneria”.
E tanto evidente appare che queste leggi razziali del 1938 nascono nel cono d’ombra di un fascismo incancrenitosi in venti anni in tutto il tessuto istituzionale del Paese, che alla emarginazione abbina, fin dall’inizio, la persecuzione vera e propria degli ebrei.
Di ciò vi è la prova inconfutabile nel fatto che Mussolini, quando realizza i suoi rapporti con il nazismo, per valutare quali siano i mezzi e i tempi delle persecuzione ebraica che nasce nel Reich, coeva alla persecuzione fascista e nazista, fa visitare anche il campo di Dachau dal capo della polizia italiana, il quale farà su tale visita una dettagliata relazione per il Governo italiano dell’epoca, precisando che in quel campo vi sono politici, omosessuali e “pure ebrei che hanno stuprato ragazze cristiane” e che in quel campo “gli ebrei sono confinati a tempo indeterminato solo sulla base di provvedimenti di polizia e sono sorvegliati con mezzi repressivi violenti”.
E ancora, il 23 dicembre 1938, il professor Guido Landra, dirigente dell’ufficio studi sulla razza al ministero della cultura popolare, quando compì un viaggio in Germania, vi incontrò il capo dell’ufficio razza del partito nazionalsocialista dottor Gross e il capo della scuola di educazione razziale in Germania, e vi incontrò anche Alfredo Roserbergh e lo stesso Himmler, capo della polizia tedesca, e fece anche una visita al campo di concentramento di Sachsenhausen.
Anche questa visita fu portata a conoscenza delle organizzazioni fasciste di Mussolini e alle istituzioni del Governo.
Che cosa vogliamo di più per convenire che nel cono d’ombra dell’olocausto le leggi razziali fasciste si collocarono sin dal 1938, unitamente al confino di polizia, immediatamente aperto in tutta Italia per gli ebrei?
Un ulteriore, preciso, puntuale, innegabile nesso tra le leggi razziali e il cono d’ombra dell’olocausto, già nel corso della guerra e prima dell’8 settembre 1943 è rappresentato dal provvedimento che il fascismo adotta nei confronti degli ebrei il 3 agosto 1942, con il quale, dopo averli estromessi dal diritto di cittadinanza, dopo averli privati di ogni diritto umano, trasforma gli ebrei anche in schiavi, perché li precetta per adibirli al lavoro manuale nell’interesse dell’Italia in guerra.
Un preciso e puntuale nesso tra le leggi razziali e il regime di Salò è provato dal comando formulato a Verona nel novembre 1943 dalla Repubblica Sociale di Mussolini, che stabilì che tutti gli ebrei erano nemici e dovevano essere arrestati, come in effetti furono arrestati, per essere consegnati ai nazisti, come in effetti furono consegnati, per l’internamento in quei campi, come Dachau e Sachsenhausen di cui il fascismo conosceva perfettamente l’esistenza e di cui aveva fatto preventiva conoscenza sin dal 1938.
Noi ci ricordiamo delle leggi razziali.
Ricordiamo tutto e bene, ma abbiamo il timore che il ricordo possa essere, ogni anno che passa, in qualche misura eroso, sino al punto di vederne svaniti i contorni, tanto da sfumarne la sostanza nella nebbia di un “fenomeno complesso” come da molte parti si dice e si afferma che sia stato il regime fascista.
Che sia stato, cioè un fenomeno complesso ridotto temporalmente ad una breve stagione intorno al 1938, avulso da ogni responsabilità genocida nei confronti degli ebrei.
Nel nostro Paese l’epurazione dei razzisti delle leggi del 1938 fallì.
Fallì l’epurazione di Nicola Pende, titolare della cattedra di patologia della Sapienza; fallì l’epurazione di Sabato Visco, ex capo dell’Ufficio razza del Ministero della cultura popolare; fallì l’epurazione dello zoologo Edoardo Zavattin, del demografo Franco Savorgnan, dello psichiatra Arturo Donaggio, di Guido Landra, estensore del Manifesto sulla razza, di Livio Cipriani, Lino Businco, Leone Franzi e Marcello Ricci.
Fallì l’epurazione dei razzisti e fallì la condanna dei fascisti che gestirono la macchina dell’arresto degli ebrei e della loro deportazione nei campi di sterminio nazisti.
Dio non voglia che la nostra memoria di quello che fu il fascismo veramente e di quella che fu la sua responsabilità nel secolo degli eccidi possa essere manipolata dai revisionismi del nostro tempo e possa mai affievolirsi.