2 maggio 2010 – Cimitero ebraico – Monumentale Milano
Intervento di Gianfranco Maris
Presidente dell’ANED
Domenica 2 maggio 2010 al cimitero Monumentale di Milano si è svolta la tradizionale cerimonia nell’anniversario della liberazione dei Lager nazisti. Presso il monumento progettato da Lodovico Belgiojoso ha preso la parola il presidente della sezione di Milano Dario Venegoni. Presso il cimitero ebraico, come avviene ogni anno da diversi decenni, ha parlato il presidente nazionale dell’ANED Gianfranco Maris (foto di Leonardo Visco Gilardi). Questo il testo del suo intervento.
Domenica scorsa ho celebrato il 25 aprile in piazza del Duomo facendo rilevare che 65 anni fa alla gioia per la liberazione della nostra città non avevano potuto partecipare i deportati politici, che pure avevano avuto parte in quell’evento.
Ho ricordato, in particolare, i lavoratori che avendo accompagnato la Resistenza con incisivi scioperi politici contro la guerra nazifascista, erano stati deportati nel campo di annientamento nazista di Mauthausen, unico campo che praticò una selezione dura e quotidiana dei deportati, dall’ingresso nel campo sino all’ultimo giorno, con le gassazioni collettive e con l’assassinio personale con le punture al cuore dei non idonei al lavoro, tanto da determinare, dal 1943 al 1945, una mortalità media dei deportati.italiani di ogni trasporto del 66%.
Un tasso di annientamento da campo di sterminio.
Il 22 aprile del 1945 – 3 giorni prima dell’insurrezione di Milano – gli scheletri superstiti dei deportati presenti in Mauthausen furono ancora selezionati e 600 furono gasati in una baracca sigillata e il 2 maggio furono ancora gasati tutti i cosiddetti “portatori di segreti”.
Sotto questo profilo la condizione dei deportati politici è la medesima condizione di tutti i deportati ebrei, nessuno dei quali il 25 aprile era ancora libero – anche se Auschwitz era stato liberato dalla Armata Rossa nel gennaio del 1945!
Nel quadro delle apocalittiche “marce della morte”, anche tutti gli ebrei superstiti, disseminati nei campi che stavano per essere investite dalle armate alleate, come fu per i politici, erano stati convogliati su Mauthausen, dove i gas e i forni continuarono ad assassinare e a bruciare gli “uomini-scheletri”, divenuti essi stessi testimoni delle efferatezze del nazismo e delle sue finalità di annientamento fisico di tutti i deportati.
Non c’è dubbio che la data nella quale più è consentito a tutti i deportati indistintamente di riconoscersi come vittime del nazismo, ebrei e politici, è il 5 maggio, la data nella quale gli alleati americani liberarono l’ultimo campo.
Solo il 5 maggio tutti i superstiti seppero che il mostro non li avrebbe più potuti raggiungere, neppure nelle spietate contorsioni della propria agonia.
5 maggio 1945, dunque! É questa la data che qui noi oggi ricordiamo, che ci unisce, che appartiene a tutti e a ciascuno di noi. Su questa data dobbiamo costruire la nostra memoria comune, come strategia di difesa della conoscenza dei fatti e della storia, impedendo ogni manomissione e strumentalizzazione della verità.
Nonostante l’elaborazione di un numero crescente di leggi memoriali, la conoscenza della storia nel nostro Paese appare purtroppo sempre più scarsa, se è vero, come è vero, che razzismo e antisemitismo e manifestazioni nazifasciste appaiono sempre più organizzate, anche per la colpevole tolleranza delle istituzioni.
È un dato che nessuno può negare, che nessuno deve minimizzare, che deve allarmare tutti!
È un dato che coesiste con una correlativa scarsa conoscenza della nostra Costituzione e con una correlativa negativa trasformazione della democrazia italiana.
Nei giorni deputati dalle leggi memoriali e anche nelle feste del nostro calendario politico sono sempre pronunciate parole nobili, con accenti appassionati, ma non è mai adeguata la rivisitazione dei fatti, i quali soltanto, se conosciuti, rappresentano un serio contributo alla cultura storica e democratica, la cui conoscenza è, perciò, condizione fondamentale ed assoluta per la stessa nostra libertà e per la democrazia.
L’incomprensione della rilevanza di una memoria che attinga ad una vera conoscenza dei fatti emerge ogni 25 aprile, quando le istituzioni si affannano per dare prova della loro accettazione formale della ricorrenza.
Non c’è stato 25 aprile negli ultimi anni nel quale qualche sindaco o qualche governatore non si sia disinvoltamente avventurato nella confusione dei concetti, proponendo di volta in volta di sopprimere la festa del 25 aprile per sostituirvi la “festa della primavera”, nel convincimento che questa rozza innovazione nominalistica avrebbe eliminato d’un colpo le “memorie frantumate” del nostro recente passato antifascista e antinazista.
Quest’anno anche il nostro Presidente del Consiglio, che pure lo scorso anno si era impegnato a Onna, in Abruzzo, con tanto di fazzoletto al collo della Brigata Maiella, si è avventurato su questo terreno, spiegando, in un solenne messaggio televisivo alla nazione, che per lui il 25 aprile è e dovrà essere solo la festa della “libertà”.
Da che cosa non lo dice: dalla miseria, dal bisogno, dalla ignoranza?
È un passo avanti rispetto alla festa della primavera? Non lo credo! Anzi, sottolinea maggiormente il rifiuto della “lotta di liberazione” come dato storico fondante della democrazia, conquistata da tutti i popoli soltanto a seguito della lotta contro il fascismo ed il nazismo.
Noi oggi celebriamo il 5 maggio. Per noi tutti è la festa della vita, certamente, ma è anche la festa della liberazione dal delitto, della pace tra i popoli, della democrazia, della Costituzione, della Repubblica!
Con questi sentimenti dobbiamo prepararci a celebrare il 150° dell’Unità del nostro Paese.
Napolitano ci ha indicato – al di là di ogni retorica – la continuità della nostra storia, dal Risorgimento alla Repubblica, passando attraverso una riunificazione territoriale monarchica, una prima guerra mondiale, il fascismo, il nazismo, una seconda guerra di sterminio.
È questo comune percorso che unisce quelli che nella lotta di liberazione furono deportati politici e quelli che, in quanto ebrei, il fascismo ed il nazismo avrebbero voluto totalmente eliminare come popolo.
L’ANED preparerà un numero speciale di Triangolo Rosso per le celebrazioni del 150enario.
In questo numero vorrei che sia i politici che gli ebrei scrivessero la storia della loro partecipazione all’intero percorso storico del Paese: nel Risorgimento, nella Prima guerra mondiale, nella Seconda guerra mondiale, nella Resistenza, sempre!
Tutto ciò non contrasta con l’identità ebraica. È soltanto la storia, ma una storia che ci unisce e dovrà sempre unirci.