E’ stato presentato in anteprima alla stampa, venerdì 15 maggio 2009, il film Fratelli d’Italia?, dedicato alle deportazioni avvenute a Milano dal binario 21 della stazione Centrale. Riproduciamo il commento del presidente della sezione milanese dell’ANED, pubblicato sulle pagine milanesi della Repubblica sabato 16 maggio.

Ho assistito come giornalista – non essendo l’ANED tra gli invitati alla proiezione dell’Anteo di lunedì – all’anteprima riservata alla stampa del film Fratelli d’Italia? Ne sono uscito fortemente turbato.
Il film è ben girato, e i ragazzi che ne sono protagonisti semplicemente meravigliosi. Mi sono riconosciuto – io, figlio di due deportati in un lager nazista – nelle loro emozioni, in una certa ansia di raccontare del nonno, del padre, dei familiari vittime dei lager che accomuna la seconda e la terza generazione. Un’ansia e un’emozione che tante volte ho colto in questi anni in occasione nell’annuale appuntamento dei primi di novembre, quando a Milano si riuniscono per iniziativa dell’ANED milanese i figli e i nipoti dei deportati. Tanto che fin d’ora vorrei invitare tutti quei ragazzi al prossimo incontro, previsto per domenica 8 novembre.
I testimoni intervistati nel film aggiungono un tocco straziante. I ricordi dell’arresto, del carcere, della deportazione; le parole indimenticabili scambiate coi genitori, coi fratelli, con i conoscenti aprono nella tragedia collettiva della Shoah finestre cariche di tensione insopportabile. Liliana Segre, come sempre, col suo eloquio asciutto, coi suoi ricordi di donna anziana che parla come attraverso gli occhi di se stessa bambina, inchioda gli spettatori alla poltrona. In sala c’è un silenzio sospeso, vibrante. Le immagini del Binario 21, così simile oggi a come doveva apparire allora, aggiungono emozione alla emozione.
Mano mano che il film srotolava sullo schermo il suo racconto sono stato preso però da un crescente malessere. Il film racconta quella tragedia attraverso il dramma della comunità ebraica, come se questa vivesse allora in un mondo a sé, separato da un compatto, indistinto universo degli “altri”, come se la tragedia della deportazione avesse colpito solo gli ebrei, come se il Binario 21 non fosse stato il teatro anche di altre, analoghe tragedie.
Ovviamente le cose non stanno così. Dal Binario 21, nel 1944, sono stati deportati circa 900 ebrei – donne, uomini e bambini – e almeno 700 antifascisti non ebrei, donne uomini e ragazzi. Spesso – come nel caso del “trasporto” del 27 aprile 1944 diretto a Fossoli – ebrei e non ebrei hanno diviso lo stesso treno, gli stessi vagoni. Tra gli antifascisti deportati il più giovane aveva circa 16 anni, e il più anziano oltre 70. C’erano anche dei mutilati, come il partigiano monzese Enrico Bracesco, che aveva perso una gamba nell’incidente che ne determinò l’arresto e che – inabile al lavoro – fu ucciso nella camera a gas di Hartheim, o come Angelo Paravelli, anch’egli ucciso con il gas ad Hartheim. C’erano gli architetti Banfi e Belgiojoso, le due “B” del famoso studio “BBPR”, c’era don Liggeri, fondatore dell’istituto La Casa di Milano, c’erano operai, dirigenti d’impresa, avvocati, contadini, vetturini, casalinghe, insegnanti… uno spaccato di quel pezzo dell’Italia che aveva detto di no al fascismo e che pagava con la deportazione la propria scelta di libertà.
Non conosco purtroppo la sorte di tutti, ma solo di 465 di questi deportati. Tra questi 465, 344 sono coloro che non sono tornati: 3 ogni 4 partenti, uccisi per la fame, le violenze, il freddo, la fatica o il gas.
A tutti questi compagni di viaggio degli ebrei deportati il film non dedica, in un’ora e tre quarti, neppure una parola. Nessun accenno alla loro tragedia si trova neppure sulla documentazione relativa al film fornita alla stampa.
Non penso che spettasse ai giovani protagonisti del film di parlare di altri che non fossero i loro nonni, padri, congiunti. Ma forse si poteva pensare che chi ha scritto la sceneggiatura, chi ha girato il film, chi l’ha finanziato, o gli enti locali – Comune, Provincia, Regione – che sono tra i fondatori del Memoriale del Binario 21 e anche le stesse organizzazioni ebraiche coinvolte nel progetto – il CDEC, la Comunità di Milano, l’Associazione Figli della Shoah – si premurassero di evitare questa incomprensibile e ingiustificata discriminazione, questa vera e propria obliterazione della memoria.
Fratelli d’Italia?, dicono i suoi promotori, è “un film per tramandare la storia”. Una memoria così amputata e dimezzata aiuterà davvero i giovani di oggi a farsi un’idea corretta di quello che accadde allora?

Dario Venegoni
presidente della sezione di Milano dell’ANED