Provando a ripercorrere tutti gli interventi precedenti, vorrei poter riprendere e condividere alcuni passaggi salienti che mi sono rimasti impressi:

“Il patrimonio Aned è umano e valoriale. In che modo possiamo tutelarlo?” ci chiede Ambra

“Possiamo definirci testimoni mentali” ci suggerisce Lucio, in riferimento a coloro di noi che non hanno legami di sangue con i deportati e le deportate

“I luoghi restano e possono testimoniare” ci dice Tiziana

“Dobbiamo educare, non istruire” ci ricorda la giovane Giulia

Aldo, per me oggi un nuovo maestro, ci riporta alla “questione della scelta” ed è su questo punto che vorrei soffermarmi restituendo qui oggi la memoria di un giovane deportato torinese, Teresio Fasciolo, che incarna perfettamente il valore della scelta fatta in quegli anni da molte persone.  Leggo alcuni passaggi della la biografia di Teresio a cui è stata dedicata una pietra d’inciampo qualche anni fa:

“Teresio Fasciolo nacque a Torino il 9 ottobre 1925. Non conosciamo molto della sua breve vita, ma sappiamo che abitava in via Pagno 8 e che frequentava l’Istituto per elettrotecnici Amedeo Avogadro di corso San Maurizio 8 a Torino. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, con la nascita della Repubblica Sociale Italiana, i bandi Graziani resero obbligatorio l’arruolamento delle classi dal 1923 al 1925. Teresio rientrava in una classe di leva richiamata, e nei mesi successivi fu costretto a una scelta. Nei primi giorni di marzo del 1944 abbandonò gli studi per unirsi ai partigiani della II Divisione Garibaldi operante nelle Valli di Lanzo. La sua esperienza nelle fila della Resistenza fu interrotta quando le SS e le forze repubblichine organizzarono un grande rastrellamento a partire dal 7 marzo 1944: in seguito ai combattimenti, Teresio fu arrestato e fu condotto alle carceri Nuove di Torino. Il giorno 13 marzo, caricato su un camion insieme ai compagni catturati e agli operai arrestati in seguito alla partecipazione agli sciopero della prima settimana di marzo, percorse corso Vittorio Emanuele II e giunse alla Stazione di Porta Nuova. Di qui, su un convoglio composto da vagoni merci, con i suoi compagni di deportazione giunse a Bergamo nel pomeriggio. Pochi giorni dopo, venne formato un nuovo convoglio, composto da 245 deportati provenienti da Torino, 157 da Milano, 34 da Genova e Savona e i restanti 127 da varie parti della Lombardia. Il treno partì da Bergamo tra il 16 e il 17 marzo del 1944, passò da Verona, Tarvisio, Villach per arrivare il 20 marzo a Mauthausen. Arrivato a destinazione, Teresio venne registrato con il numero di matricola 58855, venne classificato con la categoria Schutz (prigioniero per motivi politici) e dichiarò il mestiere di elettrotecnico. Non si hanno notizie sul periodo trascorso nei lager da Teresio, ma certamente condivise con i compagni la fame, gli stenti, le condizioni di vita disumane e le violenze. Fu in seguito trasferito a Gusen e successivamente a Schwechat-Floridsdorf, entrambi sottocampi di Mauthausen dove i prigionieri venivano sfruttati come forza lavoro. I suoi compagni, tra i quali Ferruccio Maruffi, ricordarono la morte del “giovanissimo ribelle delle Valli di Lanzo”: il suo decesso fu registrato il 30 maggio 1944 a Wien Schwechat, sottocampo di Mauthausen.”

Teresio quindi, all’età di 15 anni, sceglie di arruolarsi tra le file della Resistenza sottraendosi alla chiamata obbligatoria alle armi della RSI per la costruzione di un esercito che affianchi i tedeschi nella lotta agli alleati e per questo muore in campo di concentramento. Teresio fa una scelta. Sceglie da che parte stare, nonostante la sua giovane età e muore per difendere un ideale di pace, di giustizia e di libertà.

In questo specifico esempio si circoscrivono per altro tre degli elementi fondamentali che abbiamo identificato rispetto alla trasmissione della memoria oggi:

  • I protagonisti, perché è necessario partire dal racconti dei vissuti individuali per ridare vigore alla grande Storia (sempre più lontana nel tempo e nello spazio)
  • I luoghi, perché facendoli parlare in quanto teatro di avvenimenti significativi sosteniamo la conoscenza del territorio di appartenenza e delle vicende che lo hanno attraversato
  • Le fonti, perché la verifica del dato storico è quella che ci sostiene più di ogni altra cosa nel fare memoria. Non possiamo basarci solo sull’emotività, per quanto ne riconosca il grande significato.

Per concludere, ritorno anche io ad alcune proposte di lavoro concrete che ritengo quanto mai necessarie per il futuro di Aned: la capacità di rete tra le sezioni, così da poter attingere alle esperienze fatte dalle altre sezioni (e qui vorrei ricordare ancora una volta l’esempio vincente di Aneddoti della sezione di Bergamo) e la costituzione di commissioni di lavoro nazionali per macro temi come scuola/istruzione, ricerca, archivi, comunicazione e così via.

Grazie e buon lavoro!

Federica Tabbò