Il mio intervento a questo Congresso finalmente in presenza non più “dispersi”, vuole essere un accorato appello a non disperdere i nostri preziosissimi documenti.
Ogni Sezione ha lavorato sul suo territorio, recuperando carteggi, foto, facendo interviste a testimoni noti e sconosciuti, ultimamente anche facendo video.
La conservazione di questo straordinario patrimonio credo non possa che essere fatta da una Istituzione che giuridicamente ne garantisca la sicurezza anche necessariamente fisica dei materiali documentali, unica certezza, dopo la scomparsa dei testimoni. La sede della Fondazione è un appartamento donato da un ex deportato e perciò di proprietà nostra. Cosa che, pur con i problemi di mantenimento che stiamo affrontando, ci mette al sicuro.
Nel lavoro svolto dalla Fondazione stessa un posto importante è stato dato all’inventario e alla archiviazione dei materiali via via depositati, ma c’è ancora molto da fare. E deve essere fatto ora. Faccio un esempio: didascalizzare le foto è possibile fino a che ci sono persone che siano in grado di riconoscere i presenti nelle foto stesse, poi? Dunque invito tutti a prendere consapevolezza dell’importanza di questo tipo di lavoro di raccolta e a considerare la Fondazione come un serio interlocutore, non come qualcosa di estraneo.
Il patrimonio documentale di ogni sezione dovrebbe essere considerato la base, il fondamento da preservare per il futuro.
Come Fondazione dobbiamo impegnarci a promuoverne un lavoro di recupero dalle Sezioni Aned, con l’obiettivo anche di aprire un dialogo permanente per il futuro.
Come Sezioni dobbiamo conservare nelle singole sedi, con la massima sicurezza, tutti i documenti locali, ma, servendoci delle nuove tecnologie, digitalizzarli e inviarli alla Fondazione. Questo, credo, significhi, concretamente “raccogliere” e “valorizzare”.
So che, in molti casi, non si hanno gli strumenti (computer, scanner, eccetera) ma vedendo che si sono avvicinati tanti giovani, faccio appello a loro, che hanno grandi capacità e anche ai tanti compagni che si prodigano in molte attività di vario tipo, perché non trascurino questo lavoro, anche nel presente. Siamo abituati ad usare il cellulare per fotografare eventi e, magari, non pensiamo a salvare quelle foto, come documento.
Il Centro di Documentazione Ebraica, che Venegoni ha citato, ha fatto in tal senso un lavoro da anni e ricordo che il primo piccolo opuscolo che ne presentava il programma è stato fatto proprio in collaborazione con mia madre e il nostro studio nel 1975 e ora è cresciuto come sappiamo e costituisce un baluardo contro ogni negazionismo. Dobbiamo prenderne esempio e muoverci in direzione di una collaborazione per custodire i documenti che testimoniano insieme la deportazione ebraica e quella politica.
Voglio poi parlare del patrimonio artistico di proprietà della Fondazione, di cui fanno parte quei “bozzetti” ( 27, mi pare, di grandi dimensioni ) dipinti da Samonà per il Memoriale di Auschwitz, esposti a Milano alla Casa della Memoria purtroppo per un tempo troppo breve in una mostra che durante la pandemia ha potuto essere poco vista. Spero che la Fondazione, in accordo con l’Aned, riesca in futuro a trovare il modo di riproporla. L’arte aiuta a mandare il nostro messaggio e arriva anche oltre.
Penso che questo patrimonio artistico dovrebbe essere oggetto di una riflessione per far sì che le istituzioni pubbliche (Comuni, Regioni …) si facciano carico della loro visibilità, in modo da rendere queste opere parte del vivere civile di tutti.
Forse potremmo decidere di “donare” un pezzo simbolicamente, ad esempio, al Comune di Milano, ottenendo che sia esposto permanentemente in una sede ufficiale della città.
Nel corso degli anni i pezzi “monumentali” sono quanto resta e non sono meno importanti delle attività di memoria e culturali che l’Associazione ha dimostrato di saper fare con risultati notevoli.
Le pietre di inciampo sono un esempio che, non a caso, ha avuto e continua fortunatamente ad avere un importante seguito.
Tutto quanto della nostra storia riusciremo a rendere “istituzionalmente” parte del nostro paese, avrà, credo, contribuito, in modo radicato, se non a incidere, almeno a lasciare una traccia, speriamo, indelebile della storia che non potranno cancellare.
Anna Steiner