Una lettera di addio dalla sezione Aned di Torino a Margherita Bergesio e Angelo Nigra, recentemente scomparsi. Un modo di ricordare, con affetto e commozione, due preziosi compagni che ci hanno lasciato.
Cari amici, vi scrivo, é appena incominciato l’84 e già ve ne siete andati in due. Così ho pensato di riprendere questa “corrispondenza con l’al di là”. Mia cara Rita, in quest’ultimo anno, soprattutto negli ultimi mesi, mi ero chiesto spesso dove prendevi tutto ‘sto coraggio, tutta ‘sta forza di sopportazione. Quell’affrontare con tanta straordinaria lucidità la certezza di chiudere quanto prima. Quel lottare con il male come se fosse un nemico da sconfiggere. E mai che ti avessi sentito imprecare o lagnarti più che tanto. Oddio, contro le strutture ospedaliere, certe assistenze medico-sanitarie, qualcosa avevi da dire, a forza di viverci e soffrirci dentro. Si sa che questo é un Paese in cui si privilegiano le autostrade. A Torino, per esempio, da dieci anni e forse più stanno costruendo un nuovo ospedale e speriamo che quanto prima sia finito. Orbene, quando una creatura se ne va, tutti giù a dire che fenomeno di vita, la sua. Nel tuo caso non so, né mi interessa saperlo, se sei stata santa o peccatrice, ma certamente un fenomeno di morte é stata la tua. Mi va di pensare che per fare l’ultimo viaggio tu non ti sia vestita da Principessa, come in fondo sognano tutte le donne di fare almeno una volta nella vita, ma che invece tu abbia indossato il vestito a righe delle donne semplici e vere che erano vissute a Rawensbruck. E vuoi mettere, che dignità! Tutti si aspettano di sapere chissà cosa da coloro che sono tornati da un campo di sterminio. Il prima, il durante e il dopo lager. Perché il governo va così, perché c’é l’inflazione, la disoccupazione, la tensione internazionale, la bomba atomica, la violenza e persino perché piove. Se no, cosa ci siamo andati a fare laggiù… ? Scommetto che tu Rita, mai una volta che é una, hai saputo dare la vista a tanti ciechi. A quelli, s’intende, che non vogliono far la fatica di vedere. Ti avranno chiesto di sicuro quanto ha influito la tua esperienza di deportata sul tuo carattere più che sul tuo fisico. Quanto avevano inciso le notti e i giorni tremendi trascorsi sulle rive di quel maledetto lago. Se eri tornata più buona o più cattiva? Tu avrai risposto che sì avevi magari la bronchite ricorrente e certi disturbi. Poi, però come far capire fino in fondo che il dramma tuo e delle tue compagne altro non era che lo specchio ingrandito in cui cogliere il volto di tutte le donne frustrate, vilipese e violentate nei secoli dei secoli? E che dopo si può essere tutto e anche niente, a seconda di chi ti sta vicino o che almeno fa un po’ di strada con te? Così, tutto ad un tratto, ti sei presa la rivincita e giù a morire giorno per giorno stringendo denti, e, tra una pausa e l’altra del male, a dire che sì, ci saresti venuta ancora alle riunioni di Consiglio e anche al prossimo pellegrinaggio. Poi la morfina cessava il suo effetto, il sogno svaniva. Tu tornavi a combattere contro il dolore. Senza una smorfia, naturalmente, per non darla vinta alla KAPO’, che era lì ad aspettare. Ciao Rita, chissà se abbiamo capito la lezione. Angelo Nigra, di professione operaio, con te il discorso é diverso. Se non sbaglio avevamo un appuntamento per il mese di Marzo e ti avevo ben pregato di tener duro sino allora. Adesso dobbiamo darci da fare senza di te perché non è mica una ricorrenza da poco, il quarantesimo anniversario degli scioperi Piemontesi, di Torino e della Fiat in particolare. Si, è purtroppo vero che costarono l’arresto e la deportazione di centinaia di compagni, tuttavia rappresentarono uno dei più straordinari momenti della lotta antifascista e diedero una vigorosa spinta al movimento partigiano. Ricordi che già nel Marzo dell’anno prima, quello del ’43 gli operai erano scesi in piazza, per la prima volta insieme, scoprendo la forza invincibile dell’unita dei lavoratori. Tuttavia nel marzo del ’44 ad attenderli fuori dei cancelli c’erano stavolta anche i nazisti, gente dal lager facile. Tu fosti un testimone importante di quei giorni esaltanti, un protagonista. Figurati che avevo già preso accordi per farti fare un’intervista televisiva. Che colpo per te, così schivo, testardo e riservato. Chiaro che ci saresti stato, anche se poi mi avresti mandato a quel ‘ paese. Tutta una vita d’officina, la tua. Tanti anni, compresi i più belli che ogni essere umano ha a disposizione, consumati nel quotidiano duro monotono lavoro del “barachin”. Estati, inverni, giorni e notti tutti uguali con il solo miraggio della domenica che ti consentiva di mangiare una volta tanto seduto al tavolo. Io lì stavo ad ascoltare, i tuoi racconti di vita grama e non mi era difficile cogliere tra le tue parole la soddisfazione e 1’orgoglio di averli superati. Dicono che gli operai nel lager pativano meno la fame. Per una questione di abitudine. Già, quanta ne facevate di fame tu e gli altri anche prima! Con il tesseramento poi, che in fabbrica scherzandoci sù chiamavate “dieta imperiale”; 600 grammi di pasta e 1400 di riso al mese; 150 grammi di pane al giorno; non c’era da fare indigestione. Certo c’era la borsa nera, per chi poteva. Ma gli operai, si sa, hanno sempre potuto meno di tutti. Tuttavia ideali e fede politica nutrivano e gli incontri clandestini con i compagni a dispetto della vigilanza spionistica eccitavano e davano vigore e scopo a quella modesta esistenza. C’erano anche i momenti di amarezza. L’atmosfera non era soltanto grigia ma addirittura nera. Che menagramo, quelle camicie! Così ti innamoravi sempre più del rosso così vivo, così augurale! Quel colore hai finito col portartelo appresso e ha arricchito la tua vita. L’ultima volta che ti vidi eri un po’ incavolato. Qualcuno aveva scritto che Vittorio, quello che guidava le automobili, pare avesse a suo tempo impedito la deportazione in Germania del suoi operai. Scuotevi la testa poco convinto e ripetevi che eravate andati proprio in tanti a morire laggiù. Ma sai com’è , tu e qualcun altro eravate tornati da inferno; cosi si é complicata la storia. Vedi quanto talvolta sono scomodi i testimoni. Questi – fortunatamente per i nostri ragazzi e per il futuro delle genti -c’erano e ci sono. Non solo, ma adesso ci sono anche dei bravi professori d’università che li fanno parlare. In questa raccolta mancherà la tua testimonianza, forse perché sei stato “soltanto” – si fa per dire – a Gaggenau, uno dei 1634 Lager riconosciuti a quanto pare solo dalla Gazzetta Ufficiale della Germania Federale. Tuttavia qualcuno parlerà anche di te.
Un fraterno saluto da un vostro compagno della Sezione di Torino.