Gli ” Untermenschen ” di “Pino” Maieron

“Pino ” Maieron, ex deportato a Dachau, ha curato una seconda edizione aggiornata del suo libro “Gli Untermenschen – I sottouomini “. Pubblichiamo uno stralcio dell’ampia introduzione di Claudio Burelli. 
Questa seconda edizione de “Gli Untermenschen” di Piero Maieron è frutto dell’impegno dell’autore, Presidente dell’Aned. Provinciale di Pordenone, di dare un senso ad una esperienza tragica, l’esperienza di un adolescente che viene strappato ai suoi sogni ed alle sue speranze di “apprendista uomo” e diventa l’angosciato testimone, nel campo di concentramento di Dachau, di episodi di crudeltà, fanatismo e sadismo e di genocidio che non si possono rimuovere dalle nostre coscienze collettive e che le giovani generazioni possono e debbono conoscere. Leggendo questo libro e assistendo anche oggi a immagini di violenza inaudita negli schermi della televisione viene da chiederci come fa l’uomo, in tutte le sue espressioni evolutive, a sopportare tanta disperazione e tanto dolore. Per il momento possiamo solo empiricamente supporre che l’uomo ha una straordinaria capacità di adattamento al bene ed al male. Adattamento anche alle forme più inquietanti e subdole di razzismo che ancora oggi, alle soglie del duemila, esiste nei più diversi contesti sociali e culturali d’Europa. Non c’e soltanto un razzismo teatralmente ostentato attraverso cupe simbologie appartenenti ad un passato funesto, attivate dalla sin troppo tollerata esibizione dei “naziskin”, dei profanatori di tombe nei cimiteri ebrei e partigiani, dei teppisti che colorano le cronache sportive degli stadi, dei picchiatori dei venditori ambulanti di colore, degli storici che negano addirittura l’esistenza dell’olocausto, di coloro che utilizzano lo spettro delle migrazioni di massa per acquisire consensi elettorali a buon mercato. Esiste anche un razzismo più sottile, il “razzismo riluttante”, per definire la posizione di coloro che, pur sentendosi immuni da atteggiamenti xenofobi, di fatto possiedono credenze negative nei confronti dei gruppi volta per volta discriminati. ( … ) Anche l’aggressività può essere declinata socialmente oltre che individualmente: esiste una aggressività benigna al servizio della vita ed anche una aggressività maligna, al servizio della morte e della distruzione. Le pulsioni aggressive che si trasformano in crudeltà distruggono la vittima, ma anche l’aguzzino. Costituiscono un paradosso drammatico: la vita che si rivolta contro se stessa per darsi un senso. Nelle ultime righe Piero Maieron ci ricorda un vincolo etico irrinunciabile: nulla di ciò che è umano può esserci estraneo, quindi anche gli aguzzini; l’essere aguzzino è un modo di essere umano, anche se deformato e ridotto a cosa distruttrice. Anche a loro va quindi un rispettoso. cristiano perdono. L’Autore ha curato questa seconda edizione con l’obiettivo di trasmettere le sue esperienze ed il suo orrore, problematicamente trasferibili come tutte le esperienze intense, nelle scuole e più in generale nelle istituzioni educative. La denuncia di questi fatti, ieri come oggi, è molto importante, ma non sufficiente. Capire le perversioni singole e collettive non significa perdonarle. Ma se non le comprendiamo e non le analizziamo non possiamo capire la loro genesi, quali fattori tendono ad accrescerle e come limitarle. La sensibilità e l’orrore attivo verso i fenomeni di distruttività e crudeltà non sono un dono della natura, nulla ci viene regalato. I giovani che si eccitano con i “decibel” di una discoteca o di una motocicletta, sono figli del loro tempo e assieme agli adulti che amano l’oblio possono risvegliarsi all’amore perla vita provando altre emozioni. Una fra queste emozioni è rappresentata dalla lettura di questo libretto, l’emozione di orrore e repulsione che può suscitare. Dare un senso alla propria esistenza e contribuire alla formazione di ordinamenti sociali che promuovono la crescita dello spirito di indipendenza e la limitazione di ogni forma di sfruttamento, di controllo repressivo e necrofilo, rappresentano una sfida per ognuno di noi.

Claudio Burelli