Oscar Luigi Scalfaro

“Il no al razzismo e alla violenza deve essere detto subito e deve essere pagato da ciascuno ad ogni costo, altrimenti i ritorni sono fatali, perchè nascono dalla crisi dell’uomo ” “Il no al razzismo e alla violenza deve essere detto subito e deve essere pagato da ciascuno ad ogni costo, altrimenti i ritorni sono fatali, perchè nascono dalla crisi dell’uomo ” 
( … ) Di fronte a questo memoriale di sofferenza, di tragedia, di morte, di eroismo ( … ) mi tornava alla memoria una cosa molto piccola, di quando ero studente liceale e poi universitario. Si soleva andare a trovare della povera gente – un’epoca in cui io raccolsi molte lezioni umane – e fra le visite si andava al sanatorio. Lì c’era questa terribile malattia che la scienza non riusciva a vincere e andando una volta, dieci, venti, mi accorsi di un fatto che allora mi fece rabbrividire; che i malati secondo gravità passavano da un reparto ad un altro fino a quando, persa ogni speranza, giungevano in un reparto che era l’ultimo. Era l’ultimo anche nella costruzione. Questa distribuzione mi fece tale senso di inumanità, però, forse non c’era altro mezzo, altra strada. E mi colpì maggiormente, quando, andando a trovare un amico giovane e non trovandolo dov’era in genere, lo ritrovai in questo grande stanzone e mi disse: tu sai che questa è l’anticamera del cimitero. Non ho mai dimenticato quel momento che mi è ritornato vivo mentre mi facevate vedere queste casupole che ospitavano, termine terribile, un numero infinito di persone che quando passavano di lì sapevano di essere, si potrebbe dire oggi, in lista di attesa. Perchè se la tragedia è terribile quando si vive, quando l’aguzzino lascia anticipare, quasi pregustare lentamente, credo che sia un’agonia impensabile. Lei professore Ghisalberti ci ha ricordato il cammino del calvario. Ma certo io oggi nel silenzio delle vostre preghiere e qui nell’ascoltarvi uno per uno e uno per uno ringrazio, continuavo a pensare che cosa voleva dire, un luniicino incerto fuinigante di speranza. Cara signora, con quel suo incantevole e terribile ricordo di questi nonni, dove la speranza e l’affetto si intrecciavano in un inodo tale che persino la partenza per la Germania, dove ormai era nell’aria che voleva dire andare a spegnersi, il poter partire assieme però, manteneva acceso questo ultimo aggancio, di possibilità di vita umana e di appoggio nel dolore. E allora a questo punto chiedo comprensione al rabbino e a Monsignor Vescovo e al pastore, li ho ascoltati molto, forse più che le parole ho ascoltato il senso della loro preghiera. lo ero raccolto a pensare e lei mi ha fatto cenno, Professore, a quelli che non erano ebrei, né protestanti, ne cattolici, oppure che nella sofferenza che superava i limiti dell’umana sopportazione hanno finito per dire no, no. Anch’io quando alla televisione anni addietro fu dato “Olocausto” e io trovai un signore ebreo che mi disse: “Lei l’ha visto? Ha avuto il coraggio di vederlo? Si l’ho visto tutto.” Mi disse “ci sono stato, forse era anche peggio” e non riuscii a concepire che cosa potesse dire peggio. Anch’io nella mia povera ragione dicevo: Ma tu Dio, dov’eri? E poi soltanto un pensiero che è servito per me in altre giomate della mia vita, quando sembrava spegnersi la luce, il pensiero che Dio, se uno gli crede, non può che pensarlo come amore altrimenti è inutile che pensi che vi è Dio. Rimasi fermo di fronte a queste sofferenze e il male di innocenti, un Dio che è amore e sentii che a me non veniva chiesto di capire, mi veniva soltanto chiesto di piegare il capo con umiltà e di saper raccogliere parole di amore. Ebbene in quel momento mentre voi ci aiutavate a pregare, io ho pensato quasi soltanto a quelli che non volevano o non potevano pregare, a quelli che non riuscivano a pensare a nulla di amore e di etemo, ho pensato a loro più che ad ogni altro, perchè ho pensato che, in quel momento, per loro la sofferenza che non aveva un aggancio, un appoggio, una speranza, una interpretazione, una comprensione fosse la più arida, la più scarna, la più dura, la più inumana, e meritasse, anche se povera, la mia preghiera, anche se umile, il mio grazie. Eppure signori, io che sono solito a dire che spero di morire prima che mai io venga aggredito dal pessimismo che lo ritengo antiumano prima che antireligioso; io sono fra quelli che pensano che si, signori, tutto questo può tornare, si. E’meglio che ce lo diciamo in tempo utile; è meglio che ce lo diciamo alle soglie di un’Europa che vuole fabbricare degli stati su basi etniche, si. Può tornare, dipende da ciascuno di noi che possa tornare, dipende da ciascuno di noi che non tomi mai più. Dipende da ciascuno di noi che non tomi mai più, dipende da ciascuno di noi da ciascuno ovunque siamo, in qualunque responsabilità, in qualunque impegno, in qualunque sofferenza, dipende da ciascuno di noi se siamo capaci di fratellanza, se siamo capaci di partecipazione, se siamo capaci di amore. Traggo dalle frasi incredibili scritte sulle mura di quel museo che pare un tempio, che è un tempio. Qualche pensiero che purtroppo non so ripetere con le stesse parole: non uscirò di qua, c’è scritto su un muro, se con me non usciranno gli altri duecentonovantanove. Non uscirò di qua, che è un’affermazione di pensare agli altri e non a sé, primo grande male di tormento che può portarci al ripetere delle tragedie nel mondo, primo il pensare a sé e non agli altri è uno sforzo che dobbiamo fare ciascuno a cominciare da chi parla, è il segno primo di sentirci comunità di esseri umani. Lo so dice – un’altra scritta – che è bello morire sulle barricate, forse non è bello morire appesi a un cappio, ma io so comunque, che non mi sono arreso. E un altro principio, non cedere ai valori fondamentali mai, a qualsiasi costo, non cedere mai sui valori dell’uomo e non aver paura di dire no a coloro che questi valori aggrediscono. La tragedia dell’ultima guerra nacque da un mondo diplomatico e politico che credette, cedendo alla prepotenza spietata del dittatore tedesco, di accontentarlo quasi come se esistesse nei secoli l’esempio di un prepotente che accorgendosi della pavidità degli altri rinunci alla sua prepotenza. E da questa specie di furbizia diplomatica, che metteva dei cerotti all’oggi preparando la tragedia di domani, qualche cosa si è potuta imparare. Il no alla violenza, il no alle capacità di razzismo, il no alle distinzioni, il no a mettere in un angolo colui che è diverso. Il no ha da essere detto subito e sempre e deve essere pagato da ciascuno ad ogni costo altrimenti i ritomi sono fatali perchè nascono dalla crisi dei valori dell’uomo.
Chiedo scusa di aver fatto questa aggiunta, vi tomo a dire grazie, grazie perchè mi avete ritenuto idoneo come uomo, non conta in questo momento la responsabilità che io rivesto, di essere partecipe degli eroismi, dei dolori, delle sofferenze non perchè io li abbia vissuti, ma perchè sia capace almeno di comprenderli, sia capace almeno di assorbime i valori, di ricordarlo. Lei signora Zevi, con la solita sua efficacia di parola ci ha messo in questo crinale che non è facile, ma è chiarissimo, fra la memoria e il risentimento e la vendetta e il volere recuperare negativamente qualche cosa. E’ il binario perfetto del dovere di ricordare da che cosa è nata questa realtà di libertà per saperla servire. lo sono convinto, lo dico da capo dello Stato, che abbiamo bisogno noi Italiani di non dimenticare le radici di sofferenza, di dolore, e di sangue; non crediamo che dimenticando siamo capaci di unione, di pacificazione perchè l’unione e la pacificazione partono dal rispetto per la verità che è la storia di questo paese. Ma se in un momento delicato come questo tutti, comunque schierati, comunque schierati politicamente, comunque andremo a votare, comunque vincitori e vinti, comunque non sentiamo prima la forza, la nostra tradizione di civiltà umana, non sentiamo prima la forza della nostra tradizione di valori umani, non sentiamo la forza di essere capaci di amarci perchè la patria comune risorga e allora avremo gettato la spugna. Ma se torneremo a leggere quelle due frasi “se non escono i duccentonovantanove, non esco”, “è più bello morire sulla barricata, ma anche al cappio, l’importante è non arrendersi” sono due appelli alla verità e all’amore, sono la strada per la ripresa.