“Una misura onesta” di Anna Bravo e Daniele Jalla

 

Ci sia consentito di manifestare la nostra soddisfazione nel presentare il volume degli scritti di memoria della deportazione dall’Italia, una delle imprese più impegnative nel campo culturale promosse dalla nostra Associazione e non solo in ambito piemontese.
Altre opere di grande rilievo sono state prodotte per iniziativa dell’Aned. E desideriamo in particolare ricordare La Vita offesa a cura dei medesimi curatori di questo volume, Anna Bravo e Daniele Jalla. Ad essi il nostro sentito apprezzamento e plauso che poniamo qui all’inizio sovvertendo la consuetudine che vuole i ringraziamenti in fine.
Pur essendo due opere diverse: – ne La Vita offesa il documento nella sua soggettivit` attinge la poesia, ne Gli scritti prevale l’aspetto storiogratico ma non manca la passione – entrambe sono monumenti alla deportazione destinati a restare nel tempo, a sfidare il tempo.
Considerando l’impegno dell’Aned, Gli scritti di memoria hanno forse qualcosa di più, poiché vengono dopo un lungo percorso, non al termine, intervallato da tappe significative, che ha assorbito tante energie senza per altro denunciare accumulo di fatica. Il volume bibliografico di quasi 500 pagine – edito da Franco Angeli – raggiunge l’obiettivo che l’Aned si era posto di raccogliere e rendere disponibili per la ricerca tutti gli scritti di memoria della deportazione dall’Italia stesi dal 1944 ai giorni nostri. Non solo le monografie e le antologie specifiche, ma anche i contributi presenti in raccolte dedicate a temi affini e in una cinquantina di riviste storiche e di periodici dell’antifascismo e della resistenza, e infine gli inediti che è stato possibile reperire.
Si tratta nel primo caso di 146 titoli, nel secondo di 488 spogli, nel terzo di 37 dattiloscritti e manoscritti: nell’insieme una mole di informazioni e suggestioni cui si deve gran parte delle conoscenze sulla deportazione. Gli apparati che completano il libro – note di lettura, cronologia, schede biobibliografiche delle autrici e degli autori, indice dei nomi citati, dei campi e sottocampi – sono stati concepiti in vista di un progetto di storia della deportazione che l’Aned ha reso da tempo operativo con la collaborazione di studiose e studiosi, e su cui si augura convergano altri ricercatori.
Nell’introduzione, i curatori hanno avviato una riflessione sia sulle forme in cui la memoria si è espressa, sia su alcuni nodi storiografici relativi al rapporto fra deportazione e altri segmenti della storia italiana.
Gli scritti bene si inquadrano tra le iniziative storico-culturali nell’ambito delle manifestazioni celebrative per il cinquantesimo anniversario della “Resistenza e della guerra di liberazione”, non frutto di improvvisazione, a lungo meditata e accuratamente preparata, costruzione originale e non rielaborazione totale o parziale di opere precedenti.

In ambito piemontese, abbiamo detto all’inizio, non per una sorta di localismo, ma per evidenziare l’incoraggiamento costante alla Sezione Aned di Torino da parte del Consiglio regionale del Piemonte e il suo patrocinio alla nostra attività culturale.
Altre Sezioni Aned hanno bene operato e fruito di appoggi istituzionali, ma non in uguale misura. Ci auguriamo che la constatazione delle differenze sia di sprone, susciti sane emulazioni. Non va perr dimenticata la distinzione dei ruoli: alle istituzioni l’attenzione e il sostegno, alle Università e agli Istituti per la storia
della Resistenza la ricerca e l’avallo scientifico, all’Aned la promozione e l’infrastruttura organizzativa.
Gli scritti di memoria, come le precedenti pubblicazioni, fa parte delle opere finalizzate alla storia della deportazione italiana, che oggi richiede un sempre maggiore impegno per il suo completamento.
Il problema della storia è stato da noi pubblicamente esposto come una meta da perseguire nel convegno di Carpi nell’ottobre 1985. Presso il Dipartimento di storia dell’Università di Torino, con la preziosa collaborazione del prof. Aldo Agosti si sono svolti due seminari, rispettivamente il 24 novembre 1992 e il 21 maggio 1993, per uno scambio approfondito di idee sulla impostazione da dare alla storia della Deportazione italiana. Sono emerse indicazioni preziose di cui l’Aned terrà debito conto. Mentre operiamo concretamente sul piano organizzativo che è il nostro piano, facciamo un sentito appello agli Istituti per la storia della Resistenza, alle Università, ai docenti di storia contemporanea per il raggiungimento di questo obiettivo.
La storia della deportazione italiana pone numerosi problemi a noi ben noti che affidiamo coerentemente alla ricerca. In questa prospettiva insistiamo da tempo per una biblioteca che raccolga le opere edite in tutti i paesi, in tutte le lingue, relative alla deportazione durante la seconda guerra mondiale, ma la meta non sembra vicina.
Seguiamo con vivo interesse i progressi della ricerca, e con emozione. Non possiamo in alcun modo estraniarci perché ogni parola che rievochi quei “tempi maledetti” e la ributtante sadica ferocia” che ha imperversato allora, solleva in noi un’onda sconvolgente di ricordi. Ma quei tempi furono anche fulgidi per le eccezionali qualità umane che seppero esprimere uomini in armi sulle montagne o non armati in città con compiti direttivi, organizzativi o di collegamento, rilevanti e modesti e donne mai inferiori agli uomini.

La Resistenza e con essa la Deportazione fu un contributo di lotta, di sacrificio e di vittoria, dalla parte dei giusti, in una guerra che possiamo crocianamente chiamare di religione, in cui i valori di libertà e di uguaglianza, i nostri valori, si sono scontrati con i disvalori del totalitarismo e della disuguaglianza degli uomini in nome dei quali sono stati commessi i più estesi ed efferati crimini che la storia ricordi. E anche guerra civile considerando i comuni caratteri della civiltà europea.
Ma la “storia vissuta” che abbiamo alle spalle non alimenta soltanto stati d’animo intrisi di emozioni, ricordi, ma proietta la nostra volontà verso il futuro, che non possiamo prevedere, ma progettare sì.
Nostro impegno fondamentale è la testimonianza che racchiude anche la storia. Testimonianza corne preciso dovere è il cemento che tiene saldamente unita l’Aned, che comprende uomini e donne appartenenti a diverse aree culturali, cattolici, ebrei, protestanti, agnostici, atei, ma permeati dei medesimi valori etico-politici.
Cosa ha rappresentato il Lager anche per chi ha voluto dire, respingendo il sospetto di farne un vanto, “la cattura è stata un disgraziato incidente”? Un arricchimento di esperienza e di cultura, una chiarificazione e un rafforzamento delle proprie convinzioni esistenziali, morali e politiche, una tensione che dura tutta la vita, una discesa agli inferi, ma anche la scoperta di una nuova solidarietà, di una nuova resistenza. Parliamo del sopravvissuto che mai pur liberarsi dell’angoscioso ricordo dei compagni caduti e della percezione delle sofferenze delle famiglie in lutto.
Aggiungiamo che, per molti deportati, a prescindere dal grado di istruzione, il Lager è stato un’agguerrita scuola di scienze politiche.
Gli scritti di memoria della deportazione dall’Italia sono un rilevante giacimento di testimonianze che l’Aned, come abbiamo già detto, ha voluto venisse conservato in un unico centro e fosse descritto in un inventario, la bibliografia, con criteri scientifici. Non dubitiamo che questo giacimento verrà esplorato, studiato e fornirà alla ricerca storiografica un contributo sensibile. Non solo per la storia: contiamo sull’azione formatrice dell’esempio di coloro che anteposero alla loro salvezza, alla loro sicurezza, alla loro tranquillità, l’imperativo della coscienza.

La riflessione accesa da questo lavoro ci auguriamo possa compenetransi più profondamente nel contesto della memoria collettiva della nazione e non venga accantonata negli scaffali, ma possa svolgere una funzione di ammonimento e di critica e di pietra di paragone per leggere, per capire il nostro tempo e il nostro futuro. Memoria dunque come il “presente del passato”.
La memorialistica italiana, edita e inedita, si lega idealniente con i manoscritti sepolti nei Lager e nel Ghetto di Varsavia, con le deposizioni al processo di Norimberga e successivi, con la vasta produzione europea ed extra europea di libri, con le testimonianze orali, cori le notizie sui Lager raccolte mediante indagini sociologiche ed è partecipe della sacralità della testimonianza.

Nella memorialistica gli italiani descrivono se stessi e gli altri prigionieri e i rapporti che intercorrono tra le diverse nazionalità e le vicende particolari cui andarono soggetti in un universo così uniforme ma pure così variegato. Per i tedeschi sono i “traditori”, per le altre nazionalità europee i “fascisti”, gli “invasori”, quelli della “pugnalata nella schiena” e devono sforzarsi di farsi capire e farsi accettare come compagni e resistenti fino ad essere ammessi nei Comitati internazionali.
Gli italiani sono anche quelli del “permesso”, dei “grazieprego”, portatori cioè di forme di cortesia inusitate in quei luoghi. Talvolta nel Lager, e così avvenne negli ultimissimi giorni del Lager di Mauthausen, mentre la camera a gas era in piena funzione, come ombre su di un muro, si proiettavano gli eventi del mondo esterno all’apparenza incoerenti e contraddittori che dopo la liberazione si poterono confrontare con i documenti della storia. In altri casi la ricerca deve ancora risolvere l’origine di talune afferniazioni che non abbiamo motivo di non ritenere veritiere, ma essendo isolate mancano di riscontri.
Le testinionianze degli italiani aggiungono al grande mosaico nuove significative tessere. Naturalmente non tutte le memorie hanno le medesime qualità di stile, ricchezza e originalità di osservazioni, pregnanza di fatti. Ma dalle più alte, come quelle di Prinio Levi, alle più semplici hanno tutte il medesimo valore morale poiché tutti gli autori hanno lavorato nella vigna del Signore.
Aggiungiamo che la Meniorialistica è una delle armi più efficaci e persuasive per combattere il revisionismo che continua a svolgere la sua pericolosa opera di negazione e di minimizzazione in tentativi che sembrerebbero folli se purtroppo non avessero la loro incidenza. Continua con la relativizzazione dei crimini nazisti via via rafforzata nell’opinione delle persone non avvertite dalle notizie che defluiscono dai bacini dell’ex Unione Sovietica.

La memorialistica è un’arma efficace perché l’estensore ha o ha avuto amici, parenti, concittadini che lo conoscono, lo ricordano e sanno che ha detto la verità. Questa noi chiamiamo la localizzazione della testimonianza.
E che cosa resta da fare agli ex deportati?
Continuare a testimoniare fino all’ultimo respiro, obbedendo all’imperativo interiore, aderendo all’incitamento dell’Aned, corrispondendo alle molte richieste soprattutto degli insegnanti e delle scolaresche. L’imperversare dei naziskin, la caccia agli stranieri in Germania, le violazioni dei cimiteri ebraici, gli oltraggi ai monumenti della Resistenza hanno suscitato indignazione e una forte necessità di sapere, di conoscere. Per questi motivi e in concomitanza con il cinquantenario della Resistenza la presenza degli ex deportati nelle scuole ha toccato punte elevatissime. Un esempio tra i tanti la zona di Orbassano in provincia di Torino dove il numiero degli studenti coinvolti è passato da 2.100 nell’anno scolastico ’91-’92 a 7.000 nel successivo ’92-’93.

Nei contatti con i giovani i deportati rimangono nei limiti rigorosi di cir che hanno visto e che conoscono per esperienza personale evitando paternalismi e indottrinamenti.
Il deportato che aveva nel ’43-’44 trent’anni ne ha ora ottanta; chi aveva vent’anni ne ha ora settanta. Rari ma fortunatamente non rarissimi sono i più giovani. Sembra giunto tuttavia il momento di affidare alla carta stampata le proprie memorie.
Ma se vogliamo proiettarci più avanti, non per conservare la memoria di noi singoli, ma per impedire che si tenti di cancellare le tracce della criminalità nazista, di erodere il concetto di unicità dei crimini nazisti, dobbiamo affidarci agli studiosi che hanno lavorato e che lavorano ai nostro fianco a partire dall’81, pienamente meritevoli della nostra fiducia. Ed essi hanno deciso di costituire un’associazione denominata Triangolo rosso dalla forma e dal colore del distintivo di pezza. con sopra impressa in inchiostro nero la sigla IT applicato alle casacche dei deportati politici nei Lagger nazisti, associazione aperta a coloro che vorranno aggiungersi in avvenire.

Dalla premessa all’Atto costitutivo dell’Associazione stralciamo il seguente paragrafo:
Con i proficui risultati alle spalle e gli impegni per il presente e per l’avvenire ed al fine di non disperdere una preziosa specializzazione e di consolidare verso il futuro l’eccezionale armonia di lavoro di gruppo, tutti partecipi degli studi e delle ricerche promosse dall’Aned di Torino, dell’elaborazione dei dati sulla Deportazione e componenti i supporti organizzativi hanno deciso di dar vita ad un’Associazione…
Sulle nostre memorie, storici di più giovani generazioni si chineranno con attenzione congeniale e gli strumenti perfezionati di metodologie via via arricchite dall’apporto di nuove discipline.
Inizia così la corsa fianco a fianco per il passaggio del testimone.

Gianfranco Maris, Bruno Vasari