“Solo rendendoci disponibili ancora una volta anche dopo cinquecento o cinquanta anni a farci scandalizzare nuovamente potremo dire di aver fatto un buon uso del nostro passato”

Perché abbia un senso la memoria del passato deve essere intimamente connessa al presente, deve essere un utensile per la sua decodifica, uno strumento per preparare, per quanto possibile, il futuro. Una memoria del passato che non sia “operativa” in questo senso avrebbe al massimo un valore docunientario e probatorio indispensabile dal punto di vista storiografico, certo, ma altrettanto certamente inutile e inagibile dal punto di vista storico e politico.

Chi attraversa oggi la linea d’ombra dei quarant’anni o li ha da poco superati appartiene a quella generazione, la prima, che non ha conosciuto la guerra ed il dopoguerra se non dai racconti dei fratelli maggiori, dei padri o delle madri. Le città che hanno accolto l’infanzia di quelli come me, nati negli anni cinquanta, già cominciavano a cancellare le ferite dei bombardamenti. Dove una volta era crollato un palazzo ora vedevamo piantare le tende di un circo o di un Luna Park. Finivano sulle cronache dei giornali (anche se non erano casi troppo rari) coloro che giocando su un prato di periferia venivano dilàniati da una bomba inesplosa. La guerra guerreggiata era ormai un residuato e l’Italia, anche se forse non lo sapeva, aveva già preso la sua rincorsa per quello che da lì a qualche anno si sarebbe chiamato “boom”. Avevano già cominciato a parlare e a camminare, e a leggere e a scrivere, tutti quelli nati dopo il ’45, tutti quelli nati dopo la Liberazione dei vari campi di concentramento nazisti sparsi in Europa, tutti quelli che hanno superato da poco i quaranta e si avviano oggi verso i cinquant’anni di età. E chi oggi non ha ancora vent’anni? Cosa sa (cosa gli è stato insegnato) di quella guerra e di quei campi?

Perché la memoria abbia un senso ed una funzione deve essere operativa, dicevamo. Ma perché essa possa divenire tale deve essere sottratta ad ogni tentazione di archiviazione spicciola, ad ogni tentativo di seppellimento retorico. Solo riconoscendo alla storia la sua natura di materiale incandescente e scandaloso e solo rendendoci disponibili ancora una volta anche dopo cinquecento o dopo cinquanta anni a farei scandalizzare nuovamente potremo dire di essere dei nani sulle spalle dei giganti, di aver fatto un buon uso del nostro passato senza averlo consumato inutilmente e senza esser “condannati a ripeterlo”. E chi oggi non ha ancora vent’anni, allora? t possibile che percepisca la sciagura nazista conclusasi trent’anni prima della sua venuta al mondo come semplice tassello del suo percorso scolastico (la stele di Rosetta, la porpora, l’impero romano, Napoleone, Hitler)? O come fiction (Indiana Jones come “The Schindler’s list)? Che possa arrivare, addirittura, a negarne l’esistenza?

Il pericolo c’è, ed è sotto gli occhi di tutti noi. Ed è tanto più grave nel mondo di oggi dove (senza nulla togliere alla specificità del dramma ebraico) la coscienza viva dell’Olocausto varrebbe forse a capire meglio e a prevenire i massacri che ci circondano, le nuove intolleranze, i nuovi razzismi, i nuovi genocidi. Per questo è giusto che quando tra un anno si celebrerà il cinquantesimo anniversario della fine dell’orrore nazista si incontrino i sopravvissuti di questo scempio della storia e i loro nipoti che tanto poco sanno e che tanto hanno diritto di sapere. Sarà il passaggio di una testimonianza importante, l’affermazione della volontà comune di non dimenticare, di non interrompere il filo della memoria, di non archiviare ciò che non è archiviabile in nessun modo. Sarà, per molti, la gita scolastica più importante di tutta la vita. Perché ciò che è accaduto una vita fa possa continuare per sempre a bruciare e a dare scandalo.

Francesco De Gregori
 

 

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Umberto Eco
“Come tutti quelli della mia generazione, ho visto gli ebrei arrestati, umiliati, deportati: Ho visto nel dopoguerra quelli che piangevano per essere i soli sopravvissuti di famiglie interamente distrutte (…) Che si voglia fare credere che ciò di cui sono stato testimone quando avevo 13 anni, come del resto milioni d’altri, non è avvenuto; che si tenti di persuaderne i giovani nati dopo, questo è intollerabile! Coloro i quali diffondono questi discorsi intollerabili e quelli che li sostengono, io ho il diritto di non invitarli da me, e di non andare da loro se mi invitano. E se mi si chiede se questo atteggiamento è intollerante, rispondo che per essere tolleranti occorre fissare dei limiti all’intollerabile”.

(intervista alla Le Monde)
 

 

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