Flossenburg
Una delegazione guidata da Gianfranco Mariconti, deportato di Flossenburg e partigiano nella Resistenza, ha partecipato alla grandiosa manifestazione internazionale che si è svolta negli spazi del campo di concentramento nazista. Mariconti ha portato il saluto del presidente dell’Aned (Associazione Nazionale ex-deportati politici nei campi nazisti), Gianfranco Maris. Della delegazione facevano parte anche Mirco Camia e Diomira Pertini, nipote del defunto presidente della Repubblica italiana.
La celebrazione di Flossenburg è stata allestita per il cinquantenario della liberazione del lager nazista dal governo della Baviera e dalla giunta regionale di Oberpfalz.
Diverse le manifestazioni, tra cui una liturgia ecumenica cristiana nella cappella del complesso commemorativo del campo di concentramento, con la partecipazione del supremo consigliere ecclesiastico Gotthart Preiser e del vescovo vicario Whilhelm Schraml; la Santa Messa da Requiem sulla fossa comune nella “Valle della morte” curata dall’Unione regionale delle Comunità spirituali israelitiche in Baviera condotta dal presidente Simon Snopkowski; quindi la celebrazione commemorativa principale nel complesso del campo di concentramento, sempre nella “Valle della Morte”, con interventi del presidente della giunta provinciale Hand BrandI, del primo sindaco di Flossenburg Johann Werner e di altre autorità. C’è stata anche la deposizione di corone di fiori e l’esecuzione di diversi brani a cura degli allievi della scuola musicale di Oberpfalz.
La delegazione dell’Aned a Flossenburg
“Io, cresciuto nell’opulenza, davanti a quegli orrori…”
E’ stata certamente una notevole emozione rivivere dopo 50 anni la memoria del giorno della liberazione del campo di concentramento di Flossenburg, avvenuta il 23 aprile del 1945.
Io, trentenne, senza alcuna esperienza di guerra vissuta, cresciuto nell’opulenza post-bellica, vissuto nella democrazia occidentale (frutto desiderato ma ancora così acerbo) ho trascorso una magnifica giornata con persone che invece hanno vissuto direttamente la tragedia della guerra e della deportazione, ognuno con la propria storia alle spalle. Emozione notevole vedere uomini dai volti per me nuovi, uomini di diverse razze, ritrovarsi là dove 50 anni prima si erano casualmente trovati, nello stesso luogo, segno di atrocità umane, stele a cielo aperto dell’oppressione nazista che ha insanguinato le strade d’Europa, nel luogo in cui a loro fu tolta la dignità umana, lo stesso luogo in cui molti sono arrivati ma da cui non sono più tornati. Italiani, ebrei, zingari, polacchi, russi, americani, francesi: diverse lingue, diversi uomini… i sopravvissuti dell’indimenticabile esperienza del Lager di Flossenburg si ritrovano dopo 50 anni per ricordare il giorno della liberazione. Ognuno di loro con una storia personale, ma simbolo anche della storia del suo popolo.
Non posso conoscere quali emozioni possano aver provato 50 anni più tardi, nel ritornare negli stessi luoghi dove gli era stata tolta la libertà, dove avevano visto e sperimentato la miseria, la fame, la violenza, la sopraffazione, il disprezzo della dignità umana in nome di un’ideologia”, in nome della “razza eletta”.
Ho sentito parlare diverse lingue, ho parlato con diversi di loro, ho soprattutto sentito ricordare e narrare, narrare di quei tristi giorni: “Ti ricordi di questo? Ti ricordi di quello? Dei morti, della fossa dove bruciavano cadaveri, del kapò, delle baracche, delle ore passate nudi nel gelo tombale, dell’Appelplatz “.
Per un giorno ho ascoltato persone che narrano la loro triste storia, ho visto persone con le lacrime agli occhi vedersi dopo 50 anni e ricordare le sofferenze trascorse.
Sono stato molto rattristato nel vedere che pochi erano i giovani presenti: già, perché se la memoria non si tramanda di generazione in generazione, se i padri non narrano ai figli e i figli a loro volta non narrano ai loro figli allora il ricordo si perde nel tempo e muore. E’ proprio ciò che abbiamo udito che permette di mantenere viva la memoria e di vigilare sempre affinché l’umanità eviti di nuovo la barbarie. Vorrei quindi esortare chi ha vissuto questa esperienza, non a sopprimerla ma a narrarla; raccontare per risvegliare coscienze che rischiano di appiattirsi, di sopportare quella coercizione indiretta che rode la libertà, di inculcare nelle menti quel sano dubbio che la democrazia e la libertà sono eventi quotidiani e non solo grandi teorie da manuale.
Quelle voci hanno ancora molto da narrare.
M.I.