Pesa sull’Europa la paura della diversità. E potere legislativo non può essere assente: dobbiamo avere il coraggio di prevedere sanzioni contro la discriminazione razziale

E’ stato George Mosse, il grande storico tedesco, che più di ogni altro ha indicato le origini del razzismo, e dell’antisemitismo, a lanciare proprio in questi ultimi tempi un monito significativo all’Europa civile. “Per vincere la sfida dell’unificazione, l’Europa deve lasciarsi alle spalle i pregiudizi razziali figli dei vari nazionalismi”, avverte l’intellettuale democratico che non dimentica la tragedia dell’Olocausto in cui si erano spenti gli antichi valori di libertà e di dignità umana nel vecchio continente. Prima della rinascita dell’Europa libera. “Per arginare il razzismo nemico dell’Europa – sono sempre parole di Mosse – deve essere ancora fatto molto. E il primo compito rimane quello di sempre: garantire la stabilità, la prosperità e la sicurezza delle nostre democrazie. t l’impegno civile quotidiano e tollerante, protagonista della democrazia, l’antidoto più vincente contro il razzismo”.

Ocorre oggi raccogliere l’appello della cultura libera e demoratica perché la coscienza civile e politica dell’Europa respinga fino in fondo il pericolo di una nuova intolleranza antitetica ai valori di quell’Europa della ragione nella quale crediamo. Perché il razzismo costituisce tout court l’and-Europa, non meno di ogni forma di fanatismo o di xenofobia.

Siamo nuovamente chiamati a dover tornare, quasi quarantanove anni dopo la fine della guerra, al problema del razzismo: non solo in una prospettiva storica ma soprattutto nella consapevolezza che proprio il razzismo non è stato ancora sconfitto dalle democrazie europee. E’ la stessa esperienza storica a insegnarci che sottovalutare un problema coA profondo e drammatico significa solo facilitare il terreno di coltura ideale per il suo sviluppo: un errore che tocca a noi tutti evitare perché sarebbe un errore imperdonabile da parte delle generazioni che verranno.

Una cosa è certa. Non esiste Stato di diritto dove esistono leggi che discriminano: una fondamentale consapevolezza che ha spinto l’Italia repubblicana, nata dalla lotta di Liberazione, a rimuovere nel modo più radicale la vergogna della legislazione razziale degli anni ’38 e’39.

L’Italia democratica e repubblicana ha tutte le carte in regola per partecipare, dopo alcuni decenni di vita democratica piena, alla grande battaglia civile e politica che l’Europa è chiamata a combattere contro il razzismo.

Le barbarie dell’Olocausto non può essere soltanto un tragico .cordo o una colpa collettiva da meditare ed espiare. Deve invece costituire per l’Europa un monito quotidiano ed una forte presa di coscienza delle conseguenze del razzismo sulla vita sociale. Nella coscienza che se il razzismo non può manifestarsi nel nostro continente con lo stesso volto mostruoso del passato, possono tuttavia manifestarsi forme meno virulente ma più insidiose, come la storia dell’antisemitismo ogni giorno insegna.

Pensiamo a certe barriere psicologiche e sociali che vengono troppo spesso opposte all’immigrazione dai paesi in via di sviluppo. Barriere che nascono solo dall’illusione di poter risolvere il problema, ogni giorno più grave, dei rapporti fra Nord e Sud considerando la Comunità europea una specie di castello assediato, che innalza il ponte levatoio col rischio di riproporre solo l’immagine di quella comunità medievale che invece resta irripetibile nell’Europa aperta, figlia dell’illuminismo moderno: l’Europe raisonnable, come diceva Voltaire, e delle Lettere persiane di Montesquieu, il Vecchio Continente che non può rinunciare a quel cosmopolitismo che esso stesso ha prodotto nell’età della ragione.

E’ inutile fingere di non vedere una realtà che è sotto gli occhi di tutti: la realtà di una immigrazione imponente – la stima corrente è quella di tredici milioni di persone – che nella sua variegata composizione ormai configura quasi un nuovo Stato membro della comunità. Un intreccio di etnie che solo il pregiudizio può condannare all’isolamento. Ma quel pregiudizio non deve vincere.

Ecco quindi un primo dovere: non cedere alla tentazione di relegare il razzismo fra i fantasmi del passato, consolando noi stessi e la nostra ragione storica con il ritenere che gli episodi di intolleranza, denunciati in questi ultimi tempi, costituiscano solo delle realtà marginali, non meritevoli di attenzione e preoccupazione.

La verità amara è un’altra. Troppo spesso pesa sull’Europa la paura della diversità, cioè il rifiuto di confrontarsi con chi viene considerato diverso da noi, diverso dal nostro patrimonio storico ed ideale.

Ma quel rifiuto nasce dall’ignoranza, perché dove c’è cultura non può esserci razzismo: con la consegna che combattere l’odio razziale significa in primo luogo estirpare certi nefasti luoghi comuni, rifiutare una cultura troppo approssimativa. Occorre favorire e dìffondere la reale comprensione fra gli individui e fra i popoli. Per questa battaglia civile è essenziale il concorso di mezzi di comunicazione di massa, che possono svolgere un ruolo insostituibile nel promuovere un maggiore raccordo fra culture diverse, fra mondi diversi che non restano insensibili ai richiami dell’Europa civile.

Il potere legislatìvo non può essere assente: dobbiamo avere il coraggio di prevedere una serie di sanzioni contro la discriminazione razziale. In positivo, spetta a noi il compito di tradurre in norme concrete quell’eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge che non può non valere nel mondo del lavoro.

F, l’esigenza di fondare la nuova Europa su un mercato aperto: sia per ì beni di consumo e di ìnvestimento sia per le energie dei mondo dei lavoro che non potranno non essere proiettate in una dimensione sovranazionale. Una prospettiva che nasce proprio da un’idea dell’Europa come continente che non deve chìudersi in se stesso.

Un continente che deve essere capace di misurarsi con i nuovi problemi dell’organizzazione del lavoro. Che richiedono non la costruzione di una nuova barriera ai confini dell’Europa ma un complesso di regole tali da sottrarre il mercato del lavoro all’arbitrio, e alla prepotenza, alla sopraffazione.

Non dobbiamo avere paura di guardare ad un’Europa sempre più multirazziale e legata a quell’intreccio di etnie diverse che appartiene ormai al corso della storia. Non dobbiamo lasciarci vincere dal pregiudizio, se non vogliamo rinunciare proprio ai principi fondamentali che reggono una comunità internazionale che vuole restare comunità civile.

E quando respingiamo l’intolleranza da cui nasce il razzismo non possiamo non condannare il tentatìvo inammissibile di impedire la libera circolazione delle idee, soprattutto se la ragion dì Stato, unendo politica e refigione, si spinge oltre ogni limite consentito da chi come noi, crede nella libertà della cultura.

La nostra solidarietà deve tradursi, in modo concreto, nella volontà di non cedere mai al ricatto e all’intimidazione – così come noi cedemmo mai anche in Italia al ricatto e alla intimidazione del terrorismo – soprattutto quando è in gioco quella libertà di pensiero e di stampa che resta la libertà fondamentale nata in Europa e caratterizzante l’intera civiltà. Una libertà che tocca a noi difendere fino in fondo se vogliamo davvero che il nostro continente conservi intatti i propri valori irrinunciabili.

Ricordiamo le parole di D’Alembert, nella Encyclopédie: Tensiamo che nella repubblica delle lettere la democrazia debba estendersi a tutto, fino a permettere le critiche più acerbe”. Non vorremmo che la Repubblica delle lettere si trovasse nel Novecento in condizioni peggiori che nel Settecento.

Giovanni Spadolini