GIANFRANCO MARIS – Chiamo alla tribuna il compagno Giuseppe Berruto, che ha chiesto per primo la parola.
 
Intervento di GIUSEPPE BERRUTO Torino
 
GIUSEPPE BERRUTO – Io credo che il nostro Presidente Maris abbia giustamente messo in evidenza due aspetti del nostro congresso: la validità del valore dell’antifascismo, nel momento in cui le emergenti forze politiche lo considerano un fatto storico transitorio e superato, e la necessità di distinguere bene tra l’informazione e la didattica, e l’uso, tra le altre cose, anche sfacciato degli strumenti di comunicazione, mistificatori dei fatti e a volte anche di mal celata disinformazione. Ecco allora la necessità di rapportarci ai giovani, noi testimoni ancora attivi dell’Aned, speriamo ancora per tanto tempo, con un taglio forse più vicino al loro grado di comprensione. Forse a qualcuno alcune cose che dico non piaceranno, o perlomeno creeranno delle perplessità, ma io parlo in funzione di un’esperienza di questi ultimi due anni di incontri che abbiamo avuto con gli studenti, in particolare delle medie superiori. Il grado di comprensione che è funzione purtroppo di una società che inconsciamente tende ad accettare di essere sottomessa dal contingente, che non ritiene importante conoscere l’esperienza del passato, soddisfatta a volte di poter discutere solo del quotidiano. Ha ancora ragione Maris quando dice che la nostra testimonianza va collocata in termini più completi nel contesto storico. Vi è allora la necessità di approfondire forse il nostro modo di incontrare la gioventù. Le indicazioni di Stefania di Savona e dello studente che ha parlato stamani sono emblematiche perché rappresentano una concreta risposta ad una nuova maniera di affrontare il problema. Ma anche chi si rivolge ai giovani deve fare un esame di coscienza; forse il modo di parlare finora usato molte volte risulta influenzato, seppure inconsapevolmente, da comportamenti che si richiamano al reducismo e al protagonismo. Forse si è dato per scontato che le gesta, i sacrifici, il contributo di caduti nel corso delle varie vicende della lotta di liberazione costituisse di per sé un baluardo a rigurgiti reazionari e tentativi di ritorno a forme autoritarie. Forse è stato usato un linguaggio che pur essendo di giusta denuncia per i misfatti del passato e di giusta esaltazione del momento storico della Resistenza non ha tenuto conto dei passaggi generazionali delle già citate carenze dell’informazione sul piano didattico e della’continua diminuzione di eccellenti testimoni e della caduta delle barriere e di muri ideologici. Un linguaggio non più capito e quindi non più di contrapposizione alla crescita di un lento ma continuo disinteresse o di atteggiamenti forse insofferenti o anche di pilotata incredulità. Cosa fare per rapportarsi allora ai giovani, per ridestare interesse ai valori che hanno un riferimento nella Costituzione? Stamattina mi pare che sono venute fuori molte cose interessanti. Forse adeguarsi veramente al loro linguaggio, con la consapevolezza che loro stessi chiedono di poter essere considerati protagonisti in un processo di difesa di quei valori umani e sociali garantisti di una società libera e tollerante. Allora si può pensare che i resistenti, i partigiani e i deportati che si trovano a dialogare coi giovani potranno ottenere da questi una maggiore attenzione partendo da un discorso più incentrato proprio sui valori umani che sono tuttora patrimonio dei giovani, in quanto vissuti quotidianamente, cioè la libertà di opinione, la solidarietà, la convivenza democratica, la giustizia sociale, la tolleranza, la pace. Questi sono i valori che i giovani riescono più facilmente a comprendere e collegare ai molti problemi sociali ciie li affliggono; sono i valori che sono stati negati dal fascismo e che hanno la loro validità nell’antifascismo, valori cbe hanno sempre il primo posto nella nostra opera di informazione. Solo dopo aver dialogato su questo terreno si potranno tentare raffronti con gli analoghi ideali della Resistenza, in un confronto prima sui contenuti e poi sulla storia. Il vittimismo, l’inflazione dei vari “anti” e “contro” senza i necessari chiarimenti e i raffronti, l’eroico protagonismo non paiono forse le forme giuste di approccio coi giovani; conta molto invece la testimonianza reale, quella vera, quella personale. Un sereno dibattito che evidenziando le difficoltà politiche, sociali, economiche della società di oggi ne colga proposte, soluzioni in un raffronto con le esperienze positive e negative del passato. Questo parrebbe perciò più idoneo a stimolare l’attenzione e successivamente l’interesse e l’impegno a lavorarci intorno da parte dei giovani. Altro elemento messo in luce da Maris è la memoria storica, la memoria e gli strumenti necessari per diffonderla, per consolidarla e per trasferirla a chi verrà dopo di noi. E già stato detto: la pubblicazione del testo “Una misura onesta” è un importante compendio di notizie edite ed inedite sulla deportazione, come ha già detto Vasari, dà lo spunto per continuare la raccolta e la pubblicazione del materiale probabiimente ancora presente negli archivi della memoria di tanti deportati. Ma anche gli impatti visivi alimentano l’interesse e la curiosità. Non a caso all’Aned giungono richieste di iniziative per una maggior conoscenza storica sull’argomento a seguito di rappresentazioni o di filmati o documentari. E ne sono ultimi esempi i Schindler’s List al cinema e il Comba Film alla TV. La stessa riduzione teatrale della “Vita offesa” conferma la validità di un percorso alternativo, anche perché il recital può essere integrato da altre forme di info,mazione, i dibattiti e i filmati. Un esempio pratico. L’Aned, in accordo con un gruppo teatrale amatoriale di una Società popolare di mutuo soccorso del comune di Orbassano, il comune dove opero io insieme ad altri compagni, ha allestito il recital in forina itinerante. Esso consente infatti un intervento diretto e concordato con le scuole. Questa operazione è tuttora in corso con notevole successo; ci sono richieste enormi, e attorno a questo recital si stanno sviluppando dei dibattiti interessantissimi. 1 convegni e le conferenze mirati, riferiti cioè ai vari mornenti e ai vari aspetti della storia della deportazione, come è avvenuto a Torino in tanti anni grazie all’impegno personale e continuo di Bruno Vasari (il Lager, le donne, la liberazione, il ritorno) consentono inoltre di conoscere i più reconditi aspetti di dignità e di solidarietà umana non riscontrabili nei libri di storia. t di questi giorni un convegno che è organizzato con la nostra collaborazione dai Comuni di Cremona, Crema e dalla Curia arcivescovile locale per ricordare la deportazione dei religiosi nei Lager, e in particolare a Dachau. Voi vedrete qui una documentazione sul convegno che si terrà il 18 di marzo. Ci sarà Don Manziana, ci sarà il nostro presidente Maris, ci sarà Don Liggeri, ci sarà la testimonianza di Giovanni Melodia. Questa forse è una notizia, ma anche un invito per chi ha la possibilità di partecipare.

Arrviamo però a proposte concrete. L’amico Pavia ha fatto riferimento alla possibilità di riunire più forze che si richiamano alla Resistenza e alla deportazione per progetti comuni. Ftn-na restando l’autonomia di ogni singola associazione è pos.ibile creare un coordinamento che svolga un’attività incentiata sull’affermazione dei valori che hanno caratterizzato la storia del movimento di liberazione; già funziona in qualche regione, ma sarebbe il caso di approfondire la fattibilità, magari su progetti stori co-c ul turali mirati. Si potrebbe lavorare .ori gli Enti pubblici, coi vari Informagiovani. C’è un grosse lavoro da fare in questi gruppi organizzati dal Comune, i famosi Informagiovani che si stanno sviluppando in tutti i Comuni d’Italia. Si può portare avanti un progetto, quello che noi riteniamo che abbia anche una denominazione corretta, un progetto chiamato “scuola territorio”, proprio legato a quelle che sono state le nostre esperienze, le esperienze della lotta di liberazione.

La conoscenza dei Lager e dei sotto-campi meno conosciuti in Europa, la loro individuazione, anche se sono scomparsi, e anche la loro storia legata all’esperienza di molti di noi, è ur. settore non completamente affrontato. Anche qui vorrei mettere in evidenza un fatto che forse è stato fino ad oggi un po’ sottovalutato. Perché non attivare un progetto che ne recuperi la presenza e, individuata la località, ne indichi con una targa contenente un messaggio di ricordo e di monito il luogg? Anche solo la targa, perché forse il luogo non c’è più. Aolti come me hanno sostato in vari sotto-campi, Reicnang 3 Uberlingen, lo Stauffiager di Dússeldorf, Molous in Carimia, nel supercarcere di Ingolstadt, luoghi che sono spariti in rari parte fisicamente, ma sono vivi nel ricordo delle testimenianze. E allora quando si testimonia e si parla di queste cose sul posto non si trovano più. Allora noi forse dovremmG ricordarle almeno con una indicazione sul posto, in accordo -ori le autorità locali. Ne è esempio il Lager di Uberlingen sotto-campo di Dachau. Dopo essere riusciti a far aprire le gallerie scavate dai deportati, nel prossimo maggio dall’1 1 al 14, si applicherà una targa presso l’entrata delle stesse. E afiche qui ci sarà, mi auguro, la presenza dell’Aned nazionale, in quanto la targa è anche una proposta dell’Aned nazionale. Linvito quindi anche per questo viaggio è esteso a tutti quelli che vorranno parteciparvi. Non vi sarà soltanto la celebrazione tradizionale che è giusto che ci sia, ma incontri tra studenti italiani e tedeschi, incontri con i giovani del sindacato metalmeccanico. Ci saranno poi gli incontri col movimento antifascista e con gli stessi deportati tedeschi, con le autorità di Dachau e di Uberlingen. Per finire credo importante la sollecitazione di Bruno Vasari circa la necessità di raccogliere ancora le testimonianze. La fondazione americana Spielberg, quella che ha prodotto il film Schindler’s List, ne ha anche riconosciuto l’urgenza, pensate che dopo tanti anni ha messo in piedi questo programma di recupero della memoria storica. E questo in vista dello scioglimento della commissione inglese che era stata attivata per i crimini di guerra. Allora perché tardare ancora? Abbiamo poco tempo davanti, ma collegato all’attività dell’Aned c’è anche lo statuto. Lo statuto Aned, come quello di altre organizzazioni della Resistenza, è limitativo e riduce la possibilità di determinati interventi. Solo un organismo come potrebbe essere la Fondazione Aned, anche questo è-già stato detto da Pavia, potrebbe avere grosse possibilità. Qui però c’è un esempio, la soluzione varata da Torino con la costituzione dell’Associazione Amici del Triangolo Rosso, che ha tra l’altro lo scopo di favorire la preparazione di progetti in forza di un Comitato scientifico funzionante, progetti-programmi, nonché anche il necessario reperimento delle risorse economiche.

Conclusione. Impegno a continuare un’attività magari più consona ai tempi che corrono, lavorare per i giovani, con i giovani tenendo conto del loro linguaggio, recuperare la storia della deportazione predisponendo, come già detto, un solido serbatolo di conoscenza, arricchire con contenuti di confronto e di dibattito ogni manifestazione, ancorché organizzata a scopo celebrativo. Grazie.

ITALO TIBALDI – Vorrei dare lettura di un telegramma che è pervenuto da Rita Levi Montalcini, che era riferito all’incontro di ieri delle donne: “Comunico con vivo rammarico che non mi è possibile essere presente il giorno 9 marzo al congresso nazionale di Prato per impegni assunti in precedenza. Invio i più vivi auguri di successo per la riuscita della manifestazione diretta ad evidenziare l’attività svolta dalle donne nella Deportazione e nella Resistenza. Con i miei migliori saluti”.

La Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea, CEDEC: “Caro Maris, una grave situazione familiare mi impedisce di partecipare di persona agli importanti lavori del vostro congresso, so quanto sia essenziale questa vostra manifestazione in questo cinquantennale. La società italiana sta smarrendo se stessa ed è dovere primario riproporre all’attenzione di tutti, ma specialmente dei giovani, la necessità di conservare la memoria. Voi lo fate nel modo più idoneo, noi della Fondazione CEDEC lo facciamo; mi auguro che anche in futuro continueremo a lavorare assieme. Con stima e affetto un caloroso saluto a voi. La presidente Luisella Mortara Ottolenghi”, che naturalmente ringraziamo.

Devo dire che questo telegramma è seguito da uno successivo, che è quello di Liliana Picciotto Fargion, autrice di quel libro stupendo: “Nell’impossibilità di essere presente all’XI Congresso nazionale dell’Aned desidero rivolgervi gli auguri più calorosi di buon lavoro. L: opera dell’Aned in questi ultimi anni per la conservazione, la ricostruzione e la fissazione della memoria delle vittime della seconda guerra mondiale è stata ineguagliabile e preziosa. Spero che per il futuro si riesca a fare altrettanto e altrettanto bene. Un abbraccio affettuoso alle donne e a voi tutti”. E poi da Savona la Ilda Melok, quella grandissima ricercatrice, studiosa, attenta ai problemi psicologici nostri, le famose sindromi della deportazione: “Cara Miuccia, ragioni di salute mi impediscono di accogliere il vostro invito a partecipare al congresso di Prato, sarò presente con il cuore. Si è ormai compiuto quel processo di identificazione iniziato quando decisi di studiare la deportazione e le sue conseguenze, i suoi effetti sull’uomo. Sempre più fragile è il diaframma che separa la mia storia personale da quella delle deportate, estremamente sfumati i confini che dividono le mie esperienze da quelle di Edith, Erminia, Ester, Fiorina, Arianna, Lidia, Maria, Ida, Mary, Myriam, Regina e di tante altre. Particolare significato e importanza assume nell’ambito di questo congresso l’incontro delle ex deportate con una delegazione di Ebensee. Le donne hanno la capacità di ignorare le divisioni che spesso la storia suggerisce, così come sanno superare gli ostacoli frapposti dall’appartenenza di parenti in comunità etniche religiose politiche e culturali. Come noi anche le donne di Ebensee che saluto, sanno che è ancora lontano il momento in cui si potrà considerare compiuto il processo di storìcizzazione della deportazione; non dimenticare, ma ricondurre i tragici eventi di allora nell’ambito di quel periodo storico. Un processo lungo, faticoso ed anche doloroso, ma forse necessario per poter guardare al futuro. Un abbraccio a tutti e auguri di buon lavoro”.