E’ successo, potrebbe di nuovo accadere. Non si deve dimenticare”.
E’ un monito a stare in guardia, un “no” quanto mai attuale all’intolleranza, all’odio e al razzismo.
Hanno voluto che fosse scritto in tre lingue (italiano, sloveno ed ebraico) sul monumento ai deportati nei campi di sterminio nazisti inaugurato sul piazzale Martiri della l;bertà d’Italia.
E’ lì che si fermavano i camion delle “Ss”, che venivano incolonnati i goriziani con destinazione, dopo un viaggio allucinante su carri ferroviari adibiti al trasporto del bestiame, i lager. “Il nostro impegno – ha rimarcato Milovan Bressan, presidente dell’Aned goriziana – è quello di testimoniare gli orrori di quel periodo, orrori che possono sempre ritornare. Il silenzio è complicità”.
Commozione e tensione hanno caratterizzato la cerimonia alla quale erano presenti, con i “superstiti” di quella terribile esperienza, autorità civili, militari e religiose tra le quali il prefetto Giovanni Rosa, il questore Angelo Torricelli, il presidente della Provincia Gian Franco Crisci, il sindaco Antonio Scarano e l’arcivescovo Bommarco. Con un picchetto d’onore della Brigata meccanizzata “Gorizia”, alcune scolaresche, anche i gonfaloni dei comuni di Gorizia, Turriaco, San Pier d’Isonzo e Cormons e alcuni sindaci non solo di Amministrazioni isontine ma anche friulane.
Dachau, Buchenwald, Auschwitz, Mauthausen, Flossenburg, Ravensbrck, Risiera di San Sabba: erano nomi sconosciuti, piccoli paesi, agglomerati di poche case.
Diventeranno tristemente famosi: undici milioni di morti. E Milovan Bressan ha ricordato che in quei lager furono deportati 588 goriziani, 354 dei quali non fecero mai ritorno. Ma l’universo concentrazionario non è tutto in quei sette nomi, tra campi e sottocampi i nazisti ne predisposero ben mille 215.
“La città di Gorizia – ha detto il sindaco Scarano – prende in consegna anche questo monumento.
Oggi nel mondo ci sono spaventosi rigurgiti di intolleranza, di razzismo.
E non è in pericolo solo la vita degli ebrei. Rischiamo tutti”. “Quell’esperienza – ha commentato il presidente Crisci – non deve essere considerata solo come un fatto personale di chi è stato coinvolto o le loro famiglie. Riguarda tutti. Fu un dramma collettivo.
Questo monumento per noi è soprattutto un invito alla tolleranza e alla pace”.
Silvino Poletto, presidente dell’Anpi, ha fatto una rievocazione storica (la prima battaglia partigiana, quella di Gorizia, che si combatté proprio dietro alla stazione ferroviaria) mentre Mario Merni, presidente dei Volontafi della libertà, ha rimarcato come questo monumento fosse un atto dovuto, un dovere della “memoria”. E ha citato Primo Levi: “Chi nega l’esistenza dei campi di concentramento, chi nega l’esistenza di Auschwitz è quello che è pronto a rifarlo”.
“Rivisitare il passato – ha sottolineato in chiusura il senatore Gianfranco Maris – è cultura e amore.
E’ con questi monumenti che vogliamo sia arredata la casa comune europea”.