Il centro di documentazione della Croce Rossa Internazionale
Inesauribile miniera di notizie sulla deportazione 
Negli stessi locali che ospitarono alcuni uffici delle SS la maggiore banca dati dei mondo sui Lager nazisti. 45 milioni di schede individuali contro ogni velleità “revisionistica”. L’Italia deve fare la sua parte per la continuità di questa istituzione meritoria
 
 
 
Tutti noi, quando abbiamo avuto bisogno o dovuto comunque verificare attraverso documenti attendibili ed ufficiali la nostra vicenda concentrazionaria ci siamo ti volti a quella straordinaria istituzione che è il Centro della Croce Rossa Internazionale avente sede ad Arolsen, vicino a Francoforte s/M nei locali che, una volta, ospitavano certi uffici delle SS. “Hic transit gloria mundi” si potrebbe dire non senza una punta d’ironia sul destino della riconversione di quegli uffici. Più d’uno di noi, leggendo le informazioni sul proprio conto, ha scoperto e ritrovato dati e date che erano oramai offuscati nella stessa nostra memoria. Quel foglio magico ha riportato a noi stessi la nostra storia oramai vagante nelle nebbie di quel maledetto passato. Ad Arolsen tutto quello che si sa di ognuno di noi è registrato, catalogato, archiviato, consegnato alla storia di tutti i giorni che verranno. Quando non ci saremo più e per quelli che non ci sono più ad Arolsen rimarranno, come pietre miliari, tonnellate di documenti, milioni di schede personali, l’anagrafe incredibile, unica nel suo genere, delle sorti individuali di milioni di esseri umani travolti dall’apocalisse della guerra nazista.
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Come e perché è sorto questo incredibile servizio?

Alla fine della seconda guerra mondiale, nel 1945, milioni di persone non erano più reperibili nei loro ultimi domicili ufficiali. Popoli interi sono stati costretti a migrare verso altri lidi, sono stati massacrati dalle Einsatzgruppen, hanno subito il “trattamento speciale” per la “soluzione finale” dei loro problemi. Dunque milioni di profughi, di internati civili e militari, di prigionieri di guerra, di lavoratori coatti, di deportati svaniti nel nulla dei campi nazisti o sotto le macerie delle città bombardate. Quando tacquero i cannoni, iniziò in tutto il mondo la ricerca affannosa per ritrovare i dispersi. Ma chi riusciva a raccapezzarsi in quel bailamme quando gli archivi dello stato civile comunale, gli schedari delle polizie erano stati distrutti dai bombardamenti o intenzionalmente sottratti ad ogni eventuale ricostruzione della realtà? Si trattava di stabilire l’identità dei sopravvissuti ma soprattutto chi, dove, quando e perché era diventato irreperibile. Bisognava aggiornare la mappa dell’Europa del dopoguerra attraverso un censimento le cui rielaborazioni statistiche avrebbero rivelato la dimensione spaventosa dei crimini commessi contro l’umanità dai nazisti e non solo da essi. Cifre da capogiro di un’impresa disperata. Per affrontare la situazione le Nazioni Unite affidarono all’UNRRA (United Nations Reliev and Reliabilitation Administration) l’istituzione di un servizio internazionale di ricerca delle DP (displaced person) cioè le persone disperse a qualunque titolo. Il Servizio diventa operativo già nel 1947. Nel 1951 passa alla dipendenza dell’Alta Commissione alleata di controllo della Germania occupata. Quattro anni dopo, nel 1955 un accordo internazionale fra dieci stati (Gran Bretagna, Francia, Repubblica Federale di Germania, Grecia, Lussemburgo, Italia, Belgio, Israele, Olanda, Danimarca e Stati Uniti d’America) conferisce la responsabilità gestionale del Servizio alla Croce Rossa Internazionale. Ai suoi compiti istituzionali la C.R.I. ne aggiunge uno del tutto nuovo accollandosi un impegno immane in una situazione di politica internazionale carica di tensioni, quindi propensa alle reticenze burocratiche. Ognuno diffida dell’altro, ognuno si tiene gelosamente stretto ogni documento nel timore che possa servire chissà a che cosa. La situazione è drammatica. La professionalità del personale addetto al servizio, la neutralità della CRI, l’urgenza di ricostruire un pezzo della storia d’Europa di rispondere all’incalzare delle domande di informazione su chi non si ritrova più, impongono uno sforzo che forse oggi, a tanti anni di distanza, è difficile valutare nella sua intera complessità.
Io credo che fra le tante decisioni ed indecisioni della CRI fra le mille polemiche sul suo operato, le sue presenze ed assenze, questa dell’essersi fatto carico della gestione del Centro di Arolsen sia da ascrivere, senza riserve, a suo onore e merito. I materiali da elaborare erano, nella maggioranza dei casi, quelli raccolti della forze armate alleate, dato che i sovietici custodivano gelosamente tutto quello su cui erano riusciti a metter mano. Si trattava comunque di quarantacinque milioni di schede individuali con nomi, cognomi, luoghi e date di nascita spesso aleatori, deformati da successive trascrizioni, alterati nella grafia o non rispondenti alla realtà quando i rispettivi titolari per proteggersi nella clandestinità hanno dovuto inventarsi generalità di copertura. Un vero bailamme. L’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche rifiutava caparbiamente l’accesso ai suoi archivi che contenevano certamente una quantità enorme di dati di grande importanza. Erano tempi in cui s’andava per atti notori per ristabilire la propria identità, in cui nei giornali apparivano le angosciose richieste del “chi l’ha visto” le sentenze di morte presunta, gli annunzi di ragazzi che chiedevano disperatamente “chi sa dirmi chi sono?”. La CRI intanto, cercava di fronteggiare l’assalto delle domande di inforinazione dei diretti interessati o dei parenti degli scomparsi. L’emergenza, negli uffici di Arolsen, sembrava non cessare mai. Eppure, le risposte venivano. Spesso negative e deludenti, spesso precise, esaurienti, qualche volta addirittura integrate da ulteriori dati emersi chissà come nel frattempo. Se uno ci pensa seriamente, può rendersi conto che cosa siano stati capaci di fare i dirigenti ed i funzionari del Centro di Arolsen. Speriamo che adesso, nella nuova situazione politica determinatasi in Europa, tutti gli archivi di tutti gli stati vengano aperti alla ricerca e alla documentazione. Il 28 settembre 1990 Francia, Gennania, Inghilterra e Stati Uniti hanno sottoscritto un accordo per la gestione finanziaria e la continuità dell’esistenza del Centro di Arolsen invitando tutti gli altri paesi ad aderire e condividere le responsabilità per il mantenimento del Centro. L’Italia, al solito, fa orecchie da mercante. Ed infatti rischia di non interessarsi di un organismo che per noi, invece, è stato ed è tuttora prezioso. Forse sarebbe bene tenere sotto controllo la situazione. Ad Arolsen vi sono le prove dei crimini commessi dai nazisti. Hanno un bel dissertare i cosiddetti revisionisti sulla cifra del massacro. Vadano ad Arolsen e verifichino. Se poi hanno ancora coraggio di blaterare, questo sarà un altro discorso.

Teo Ducci